Campagne WGI

Nel corso della nostra Prima Assemblea, l’avvocato Guido Scorza, Garante WGI, ha scattato una fotografia impietosa delle condizioni contrattuali che attualmente regolano i nostri rapporti di lavoro. Ecco la sua relazione integrale. Buona lettura. Non deprimetevi troppo: da qui bisogna ripartire per cominciare finalmente a cambiare le cose.

Relazione del Garante

Roma, 24 ottobre 2013

 

Premessa

“Vi sono due tipi di scrittori: coloro che scrivono per amore della cosa, e coloro che scrivono per scrivere. I primi hanno avuto idee oppure esperienze che sembrano loro degne di essere comunicate; i secondi hanno bisogno di denaro e perciò scrivono per denaro. Essi pensano al fine di scrivere”.

Questa distinzione netta, rigida, radicale – come nel suo stile – rappresenta l’incipit del saggio di Arthur Schopenhauer “Sul mestiere dello scrittore e sullo stile”.

E’ una classificazione degli scrittori e degli autori dalla quale Schopenhauer trae poi alcune importanti conclusioni.

La prima è che il pubblico non appena si accorga che uno scrittore scrive per denaro dovrebbe “buttar via il libro” perché “il tempo è prezioso” e, in fondo, in questi casi, “l’autore inganna il lettore” dando ad intendere – contrariamente al vero – di “avere qualcosa da comunicare”.

La seconda conclusione è che “onorario e proprietà letteraria per i libri sono, in realtà, la rovina della letteratura”. “Scriverà cose degne di essere scritte – continua Schopenhauer – soltanto colui che sia spinto esclusivamente dalla cosa che gli sta a cuore”.

“Sembra, infatti, che una maledizione pesi sul denaro: ogni scrittore diventa cattivo non appena si mette a scrivere con lo scopo di guadagnare”.

Ho preso in prestito pensieri e parole di Schopenhauer perché, per quanto si tratti di pagine di filosofia decisamente datate ed elaborate in un contesto socio-economico e culturale radicalmente diverso da quello odierno le ho trovate in straordinaria sintonia con quanto – dopo essermi cimentato negli ultimi mesi nella lettura dei contratti che disciplinano i rapporti tra gli scrittori ed i produttori televisivi e cinematografici – mi corre l’obbligo, in quanto primo – ma mi auguro e vi auguro non ultimo – Garante della Vostra associazione, di dirvi.

E’ un obbligo al quale adempio nell’assoluta consapevolezza che, facendolo, difficilmente, mi procurerò amicizie o simpatie tra Voi, i Vostri agenti ed i colleghi che Vi rappresentano ai quali, pure, in alcuni casi mi lega un sentimento di sincera stima professionale.

Credo, d’altra parte, che il Garante di un’associazione con obiettivi e finalità tanto ambiziosidebba essere necessariamente super partese non possa, nello svolgimento della propria attività, preoccuparsi di risultare simpatico o piacere agli associati.

E’ per questo, d’altra parte, che nell’accettare di essere il Garante della Vostra associazione mi sono impegnato a non rappresentare nessuno di Voi singolarmente considerato né, naturalmente, nessun produttore televisivo e cinematografico.

 

1. Alla ricerca dell’identità perduta

La lettura dei Vostri contratti nella quale mi sono cimentato negli ultimi mesi offre uno spaccato della Vostra realtà professionale e, in particolare, del Vostro rapporto con produttori e broadcaster probabilmente peggiore – consentitemi di dirvelo subito senza giri di parole né ipocrisie – di quanto non immaginassi e di quanto non fosse a me noto, occupandomi da tempo di diritto d’autore e proprietà intellettuale.

Se il contratto è specchio del ruolo che lo scrittore ha nel sistema di produzione culturale e nella società, i Vostri contratti raccontano – con formule talvolta ambigue ma dal significato ineludibile – di un ruolo progressivamente svilito, ridimensionato e, forse, persino offeso.

La Vostra intelligenza, la Vostra creatività, il Vostro ingegno sono – a leggere i Vostri contratti – trattati come una qualsiasi merce, commercializzata sul mercato “a peso”, una mercanzia, peraltro, considerata, fungibile, intercambiabile, sostituibile come se la testa di ciascuno di Voi, le Vostre penne ed il Vostro sentire fossero le une eguali alle altre con buona pace – ma di questo dirò diffusamente più avanti – del sacrosanto riconoscimento dell’individualità, della personalità e, soprattutto, dell’identità di ogni autore.

E, d’altra parte, a leggere i contratti che Vi legano a buona parte dei produttori con i quali lavorate, viene il forte sospetto – per non dire che si ha la certezza – che questi ultimi acquistino da Voi forza lavoro – ancorché intellettuale – così come nel mondo degli affari si acquista consulenza contabile o – lo dico con particolare rammarico vista la professione che svolgo – legale su base oraria.

L’unica cosa che sembra davvero valere di Voi – e talvolta neppure troppo – è, infatti, il tempo, le Vostre giornate, le Vostre ore.

I contratti raccontano di Voi come di anelli deboli – e poco importanti – di una filiera produttiva che sempre di meno sembra avere a che fare con il mondo dell’arte e della cultura e sempre di più sembra appartenere al sistema industriale.

Siete – lo dico senza falsa retorica né alcun intento elogiativo – il genio creativo primo dalla cui mente nasce ogni opera televisiva o cinematografica ma con i contratti che ho esaminato svendete i diritti sul Vostro ingegno e sulla Vostra genialità, prestando davvero poca attenzione all’utilizzo che chi li acquista potrà farne, alla ricchezza che genererà e, soprattutto, a quanto i Vostri diritti non solo economici ma anche e, soprattutto, morali saranno davvero garantiti in futuro.

Cedete opera intellettuale e soprattutto diritti con formule flat, “tutto compreso” o da “liquidazione totale” pur nella consapevolezza che il risultato del Vostro sforzo creativo darà poi vita ad opere destinate, al contrario, ad essere sempre di più distribuite in un mercato nel quale ogni esperienza di uso e di consumo è misurata o, almeno, misurabile, parcellizzata, commercializzata bit per bit.

Voi consegnate il risultato del Vostro sforzo creativo nelle mani di produttori che, molto spesso, lo consegnano, a loro volta, nelle mani dei broadcaster prima ancora di essere pagati.

Voi autorizzate i produttori e, talvolta, persino i broadcastera modificare, trasformare, snaturare le Vostre opere senza alcun rispetto per il Vostro diritto morale d’autore, garantendoVi al più, il diritto a ritirare il Vostro nome, diritto vano ed inutilizzato perché nel contesto mediatico nel quale viviamo, sfortunatamente, un nome, magari addirittura costretto in un titolo di coda, in un’opera televisiva o cinematografica divenuta brutta per colpa delle modifiche apportatevi vale – per voi stessi – di più che l’anonimato o l’oblio.

E’ – o questa almeno è la mia impressione – una situazione divenuta insostenibile che sta facendo carne da macello di una professione che, pure, ha un ruolo straordinariamente importante nel processo di formazione della cultura e della coscienza della collettività.

Una situazione che, ormai, minaccia di travolgere la stessa dignità della Vostra categoria.

Chi è ma, soprattutto chi vuole essere l’autore nell’epoca che stiamo vivendo? Quale è, quale è giusto che sia, quale dovrebbe essere e – soprattutto – quale volete che sia la Vostra identità?

Sono queste le domande che preparando questa relazione mi sono trovato a pormi più di frequente senza riuscire – lo dico con assoluta onestà – a darmi una risposta.

Credo però che a questa domanda la Vostra associazione possa e debba dare una risposta se non questa sera nei mesi che verranno nei quali Vi aspetta e ci aspetta – almeno nella misura nella quale tollererete la durezza delle mie parole – un cammino lungo ed in salita in fondo al quale, tuttavia, sono convinto le soddisfazioni non mancheranno.

2. I dieci principi

Ho esaminato oltre cento contratti.

Un lavoro lungo e complesso persino per un avvocato divoratore di carta, clausole e formule da azzeccagarbugli, formule che, evidentemente, scrivo io stesso, leggo ed interpreto quotidianamente.

Una sintesi puntuale della prassi negoziale è difficile, data l’estrema eterogeneità delle clausole inserite in ciascuno degli accordi attraverso un processo di stratificazione successiva e l’ormai diffusa ed irresistibile tentazione – figlia della rivoluzione digitale – al c.d. “cut&paste”.

In questo contesto le mie considerazioni non valgono, evidentemente, in modo assoluto per ciascuno dei contratti che ho letto.

Quella che ho cercato di fare e che vi propongo è una “media” difficilmente traducibile in funzione matematica perfetta e, pertanto, non si sorprenda nessuno se talune mie considerazioni o conclusioni non fotografano in modo puntuale il proprio ultimo contratto o se non dovesse riconoscersi in una determinata situazione.

E’, naturalmente, possibile ed anzi è certamente così.

Ci sono, tuttavia, alcune considerazioni che valgono – in modo pressoché assoluto – se non per la totalità dei contratti che ho esaminato per la stragrande maggioranza di essi.

Una, innanzitutto: nessuno dei contratti che ho esaminato è sintesi perfetta dei dieci principi attorno ai quali vi siete riconosciuti ed uniti, nessuno li contiene tutti e nessuno – o quasi nessuno – ne contiene neppure la metà.

Nel cominciare a tradurre in numeri o almeno in percentuali tali mie considerazioni ritengo, tuttavia, opportuna una precisazione che nasce anche dal confronto con alcuni di Voi: i Vostri contratti lasciano spesso spazio a possibili equivoci interpretativi e, pertanto, potrebbero indurvi a percepire di disporre di diritti dei i quali, in realtà, non disponete davvero.

Non è infrequente che in un articolo vi venga riconosciuto in modo “solenne” un diritto che, tuttavia, finisca poi con l’essere ridimensionato in maniera importante attraverso altre previsioni contenute nello stesso contratto.

Io stesso, nell’esaminarli, e nell’annotare per ogni singolo contratto se e quali tra i dieci principi vi risulta presente ho dovuto, in alcune circostanze – purtroppo frequenti – arrendermi ad insuperabili difficoltà interpretative ed accontentarmi di qualificare come “non classificabile” la presenza del requisito in questione.

Volendo continuare a cercare di fare sintesi del quadro che emerge dalla lettura dei Vostri contratti posso aggiungere che quasi nessuno di essi riconosce davvero all’autore – così come previsto in alcuni dei principi fondamentali cristallizzati nel manifesto della Vostra associazione – il diritto a vedersi riconoscere una percentuale del 10% in caso di eventuale serializzazione dell’opera originale o di vendita all’estero del soggetto.

Il riferimento è ai principi secondo e terzo del Vostro manifesto.

Sfortunatamente – come anticipato tra le righe della mia introduzione – Voi cedete in modo istantaneo tutti i diritti su ogni forma di utilizzazione presente e futura della Vostra opera in tutto il mondo e, in alcuni casi – stando a quanto scritto nei Vostri contratti – in tutto l’universo, inafferrabile concetto, diffuso nella prassi negoziale,con il quale si sta ad indicare qualcosa di più ampio del mondo ma di matrice fantascientifica più che giuridica.

E’ difficile – con i Vostri contratti tra le mani – enucleare una forma di utilizzazione dei Vostri diritti presente, futura o addirittura futuribile in quanto non solo attualmente inesistente ma, addirittura, inimmaginabile allo stato della tecnica che, pure, non rientri nell’oggetto della cessione dei diritti ai quali – a fronte di un corrispettivo inesorabilmente fisso – Voi procedete.

Tanto, evidentemente, chiede il mercato – ovvero domanda il broadcaster al produttore – e tanto Voi cedete al produttore.

E’ però un autentico sacrilegio dei diritti che non ha spiegazione giuridico-economica diversa rispetto allo stato di evidente debolezza – ma talvolta verrebbe da dire sudditanza -negoziale nel quale versate davanti agli interlocutori contrattuali con i quali negoziate i Vostri accordi.

Voi vendete a prezzo fisso i Vostri diritti benché questi ultimi siano poi destinati – se non da parte dei produttori da parte dei broadcaster – ad essere utilizzati attraverso canali sempre più eterogenei e previa micro-parcellazione del loro valore.

Per dirla in modo più semplice voi vendete con una tariffa a forfait un “semi-lavorato” – perdonatemi il termine di derivazione industriale– che viene poi utilizzato per la produzione di un oggetto commercializzato sulla base di tariffe sempre meno forfettarie e sempre più puntuali.

E’ uno scenario perverso che – lo dico in tutta franchezza, specie da cultore delle straordinarie opportunità commerciali e culturali offerte dalle nuove tecnologie – non mi piace ma che pure sembra straordinariamente radicato nei vostri usi negoziali.

Tanto radicato da far apparire lontana anche la semplice ambizione ad una progressiva e parziale trasformazione della struttura dei Vostri contratti in accordi attraverso i quali l’autore condivida con produttore e broadcaster le sorti, il successo o l’insuccesso dell’opera.

Un meccanismo che – a prescindere dall’impatto economico – testimonierebbe un maggiore coinvolgimento dell’autore nel processo produttivo, coinvolgimentoche potrebbe tradursi in termini di condivisione – almeno in una certa misura – dell’investimento e dei ritorni.

Egualmente nei Vostri contratti – benché si tratti di uno dei principi attorno ai quali Vi siete riconosciuti – è pressoché assente la regola fissata dall’art. 50 della legge sul diritto d’autore che Vi riconosce il diritto alla risoluzione del contratto qualora il Vostro sforzo creativo non venga utilizzato in un’opera effettivamente realizzata entro tre anni.

Tale principio che è anche e soprattutto garanzia che la Vostra attività sia visibile e, dunque, valga a riconoscerVi la fama e notorietà che meritate è, nella più parte dei casi, declinato in modo tale da svuotarlo di significato attraverso la previsione di un termine decennale in luogo di quello triennale.

Difficilmente però – considerato il ritmo della rivoluzione tecnologica e culturale che stiamo vivendo – a dieci anni di distanza, qualcosa scritto dieci anni prima conserva davvero un valore e può davvero considerarsi utilizzabile.

Considerazioni analoghe valgono in relazione ad altri due principi presenti nel Vostro manifesto che, pure rivestono un ruolo centrale nella Vostra attività ed hanno un riflesso importante – se non addirittura fondamentale – nel riconoscimento della Vostra identità di autori.

Sto parlando della disciplina delle revisioni e di quella della clausola di gradimento.

Difficilmente, infatti, i Vostri contratti prevedono una disciplina che identifichi in modo puntuale il numero di revisioni che possono esserVi richieste e, soprattutto, cosa debba intendersi per “revisione” ovvero quali ne siano i limiti quantitativi e qualitativi.

E, allo stesso modo, con una certa sorpresa ho, purtroppo, dovuto constatare che la più parte dei Vostri contratti contiene una clausola di gradimento attraverso la quale – in modo più o meno diretto ed immediato – il produttore si riserva il diritto di continuare a chiedervi modifiche dell’opera o di poter considerare il contratto non adempiuto solo perché l’opera da Voi realizzata non gli piace o, magari – ma naturalmente questo non è scritto in questi termini nei Vostri accordi – perché non soddisfa più le proprie esigenze o quelle del broadcaster, modificatesi in corso d’opera.

Stiamo parlando, solo per darvi una percentuale di riferimento, di circa il 70% dei contratti che ho esaminato.

Potrei, sfortunatamente, intrattenerVi – e forse tediarVi – ancora a lungo con l’elenco dei principi presenti nel Vostro manifesto ma assenti nei Vostri contratti.

Mi sembra, tuttavia, un esercizio che è più opportuno rinviare ad alcune delle linee guida per la negoziazione dei Vostri accordi che, come Garante, mi avete chiesto di predisporre e trasmetterVi periodicamente.

Temo, infatti, che l’inserimento nei Vostri contratti di tutti i dieci principi di cui al Vostro manifesto sia – come certamente vi siete detti nel porlo come scopo fondante della Vostra associazione -un obiettivo utopico a breve terminema sia perseguibile come obiettivo di medio-lungo periodo, concentrandosi, nei prossimi mesi, sul raggiungimento di risultati ed obiettivi su questa linea egualmente preziosi – e forse, nella pratica, non meno ambiziosi – ma, in astratto, accessibili e, comunque – a mio avviso – davvero irrinunciabili.

3. Due principi per tornare ad essere “autori d’Autore”

Quasi l’80% dei contratti che ho esaminato prevede – con formulazioni più o meno ambigue – che la cessione dei Vostri diritti al produttore si perfezioni a prescindere dall’effettivo pagamento a Voi di quanto dovutoVi o, comunque, non subordina la cessione dei diritti all’effettivi avvenuto pagamento.

Significa, nella sostanza, che produttore e broadcaster si ritrovano a poter sfruttare economicamente la Vostra opera ed a trarne profitto senza che Voi abbiate ricevuto quanto di Vostra competenza.

In tutte tali circostanza il Vostro unico diritto è quello di essere pagati mentre perdete ogni concreta possibilità di agire contro il broadcaster chiedendo che questi non utilizzi il Vostro – perché tale dovrebbe considerarsi – contenuto creativo.

Si tratta di una situazione a mio avviso inaccettabile.

Un autore non pagato a fronte del proprio sforzo creativo è, infatti, inevitabilmente, un autore che si ritrova, ogni giorno, in una posizione di maggior debolezza negoziale davanti alle sue controparti e che, pertanto, sarà ogni giorno più incline ad accettare di lavorare a termini e condizioni sensibilmente sperequati in proprio danno.

Il meccanismo della legge sul diritto d’autore, d’altra parte, è interamente costruito sul riconoscimento all’autore della remunerazione che merita come strumento di incentivo alla creazione di nuove opere.

Tranciare – come troppo spesso accade nei Vostri contratti – questo nesso, significa snaturare l’essenza ed i principi fondamentali della disciplina autorale che è, prima di tutto, una legge a garanzia della dignità dell’autore.

Tali considerazioni, amaramente tratte dalla lettura dei Vostri contratti, mi spingono ad un primo e parziale suggerimento: porre, subito, questo principio al centro di tutti i Vostri contratti che dovrebbero prevedere che la cessione dei Vostri diritti al produttore resti sospensivamente condizionata all’integrale pagamento da parte di quest’ultimo di quanto dovutoVi con la conseguenza che, fino a quando tale pagamento non arrivi, il produttore non possa acquisire i Vostri diritti né conseguentemente, cederli al broadcaster.

In assenza di un integrale pagamento, in questo modo, a prescindere dalla circostanza che il Vostro elaborato sia o meno stato consegnato al broadcaster, Voi rimarrete sempre in condizione di intimare persino al broadcaster di astenersi dall’utilizzarlo potendoVi, eventualmente, spingere fino a domandare ad un Giudice di ordinargli di non trasmettere o diffondere una determinata opera.

E vengo ora al tema che mi sta più a cuore.

I Vostri diritti morali d’autore, incedibili ed inalienabili per legge, essenza ultima della Vostra dignità ed identità professionale.

Sono diritti che, sfortunatamente, nella prassi negoziale dei rapporti tra Voi ed i produttori sono sistematicamente ignorati e calpestati, ridimensionati – nelle migliori delle ipotesi – così tanto da divenire difficilmente riconoscibili.

Quasi l’80 % dei contratti che ho esaminato contiene clausole che – in termini più o meno chiari – riconoscono al produttore ed al broadcaster non solo il diritto ad apportare alla Vostra opera le modifiche che siano conseguenza diretta di adattamenti che si rendano necessari per diffondere le opere televisive o cinematografiche derivate ma il diritto assoluto ed illimitato di apportarvi qualsiasi genere di modifica sino a snaturarne i tratti essenziali.

Una palese ed intollerabile violazione del sacrosanto diritto alla immodificabilità della Vostra opera che è poi derivazione naturale del diritto alla paternità sull’opera stessa, paternità di un’opera avente il Vostro patrimonio cromosomico e non già di un’opera risultato di imprevedibili mutazioni genetiche.

E’ uno scenario, tristemente diffuso nei Vostri contratti.

Una patologia, un’affezione, una malattia negoziale contro la quale, nelle migliori delle ipotesi, Vi si riconosce un solo vaccino: prendere le distanze dalla Vostra creatura, disconoscerne la paternità, ripudiarla, ritirando il Vostro nome e lasciando che essa risulti figlia d’altri ovvero di colleghi che, di ciò richiesti dal produttore, l’hanno fatta oggetto di interventi di chirurgia plastica più o meno riusciti.

Tutto questo, però, ha davvero poco a che vedere con il diritto morale d’autore.

Il Vostro fondamentale ed inalienabile diritto alla paternità di un’opera non può essere tradotto nel riconoscimento a Voi di un’alternativa tra il ripudio di una Vostra creatura o il riconoscimento della paternità di qualcosa che non Vi appartiene davvero o, almeno, non Vi appartiene più in modo integrale.

Sono, pertanto, convinto che il recupero della Vostra dignità di autori – almeno per quanto è possibile perseguirlo per via negoziale – passi attraverso l’introduzione immediata in tutti i Vostri contratti di clausole capaci di meglio perimetrare e circoscrivere il diritto del produttore e del broadcaster a modificare la Vostra opera in termini di vera eccezione rispetto ad un regime generale di assoluta immodificabilità in difetto di Vostra esplicita autorizzazione.

E’ un principio che, a mio avviso, prima che di diritto d’autore è di semplice ed elementare civiltà giuridica.

Vi si sceglie in ragione del Vostro talento e del Vostro ingegno, tratti e caratteristiche, essenziali della Vostra identità e dignità di autori.

E’ inaccettabile che lungo la strada tortuosa dell’esecuzione di un contratto o peggio ancora a seguito del suo perfezionamento, chicchessia, in autonomia, possa riservarsi il diritto di stravolgere la Vostra opera per piegarla a più o meno nobili esigenze di mercato.

Mi fermo qui, per il momento con il rammarico di aver probabilmente dato corpo, con le mie parole, ad una situazione che ben conoscete e vivete sulla Vostra pelle ma, ad un tempo con l’auspicio che le mie parole – nella misura in cui siano condivise – rappresentino uno stimolo a batterVi per riaffermare ogni giorno di più la centralità della figura dell’autore nel sistema della produzione culturale televisiva e cinematografica.

Mi piacerebbe, un giorno, poter raccontare ai miei figli davanti alla televisione che se quello che vedono segnerà – mi auguro in positivo il loro futuro – lo devono all’ingegno ed alla penna – magari dirò al computer – di un autore che ha lavorato lontano dallo scintillio dei set e dei tappeti rossi di hollywoodiana memoria ma al quale deve andare il loro ed il nostro più profondo ringraziamento.

Frattanto Vi ringrazio per la pazienza e mi metto davanti alla TV a vedere cosa accadrà.

Avv. Guido Scorza, Garante WGI

 

 

 

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