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Odissea

Il viaggio della scrittura di Midnight Sun

Måns Mårlind e Björn Stein, vincitori del Roma Fiction Fest 2016 con la loro serie Midnight Sun di cui sono showrunner, creatori e registihanno tenuto la Masterclass Odissea, organizzata dalla WGI con il sostegno della SIAE, all’interno del Nordic Film Fest 4-7 maggio 2017.

L’incontro, curato dai nostri soci Carla Giulia Casalini, Vinicio Canton e Massimo Torre, ha beneficiato della traduzione di Bruna Cammarano e si è svolto il 6 maggio 2017 in due step: al mattino c’è stata la proiezione dei primi tre episodi di Midnight Sun e al pomeriggio la masterclass frontale con gli autori.

Grazie al sostegno di una registrazione audio, il report, pur sintetizzando le loro parole, restituisce agli autori svedesi la vivacità di chi si esprime in prima persona.

Oggi vi sveleremo i segreti e parleremo di tutti i passaggi che abbiamo affrontato nella realizzazione di Midnight Sun.

  • di come abbiamo costruito il pitching
  • di che tipo di ricerche abbiamo condotto
  • di come siamo passati alla scrittura della storyline
  •  di come abbiamo costruito i personaggi.

L'inizio

Siamo stati contattati da due canali tv, Canal + e la TV svedese – che volevano collaborare con noi su un progetto che aveva come protagonista una detective francese che si sposta nel nord della Svezia per risolvere un caso relativo al delitto di un suo connazionale.

C’era già una sceneggiatura che però non funzionava.

I responsabili dei network erano disperati, ci hanno detto: “Tirate fuori qualsiasi proposta“. Si sono rivolti a noi per il lavoro che avevamo fatto in The Bridge. In effetti le due storie hanno molto in comune: entrambe hanno al centro una squadra composta da due poliziotti provenienti da due paesi diversi. In questo caso erano una francese e uno svedese.

L'assassino ha qualcosa da dirci

In Svezia su dodici show realizzati, tredici sono polizieschi. C’è da dire che le serie poliziesche noi le detestiamo, non le guardiamo mai. A meno che non abbiano quel qualcosa in più. In realtà, come era già capitato in The Bridge, anche in questo caso avevamo la possibilità di andare oltre i poliziotti che si inseguono con le pistole.

Di solito nella nostra vita chiudiamo gli occhi nei confronti di tutti quelli che hanno problemi gravi, che dormono per strada o hanno degli handicap, chiudiamo gli occhi sul fatto che in India ci sono persone sfruttate, pagate a prezzi bassissimi per confezionare abiti che noi compreremo a pochissimo. Insomma noi conduciamo una bella vita in mezzo a enormi disparità e ingiustizie.

L’assassino è qualcuno che mette uno specchio davanti a tutto questo, facendoci vedere cose su cui solitamente chiudiamo gli occhi. L’assassino ha qualcosa da dirci. Questo è quello che volevamo realizzare anche con questa serie.

Abbiamo riflettuto sul fatto che in Svezia, così come in Francia, in Italia, in Ungheria, e in molti paesi d’Europa stanno sempre più emergendo populismo e razzismo. C’è una preoccupante crescita del neo-nazismo. E’ questo che volevamo raccontare, trovando tuttavia un modo non diretto e plateale per farlo.

Siamo svedesi del sud e di Kiruna, la città più a nord della Svezia, abbiamo scoperto di non sapere nulla. Non conoscevamo il conflitto che esiste tra i lapponi e gli svedesi. I lapponi sono svedesi ma hanno un retaggio legato all’essere una popolazione indigena.

Per raccontare questo conflitto siamo partiti dall’immagine di due sorelle, due ragazze molto belle, vestite da black panters, due vere combattenti col volto dipinto di bianco.

Considerando che per noi il genere poliziesco è un fantastico mezzo attraverso il quale parlare di altro, come si fa con i bambini, volevamo somministrare la medicina nascondendola nello zucchero. Il thriller era lo zucchero, la lotta della popolazione indigena, la medicina. Non c’interessa raggiungere un pubblico di nicchia, vogliamo scrivere per il maggior numero possibile di persone .

L’immagine che noi svedesi del sud abbiamo dei lapponi è di gente vestita in modo folcloristico, un popolo semplice che vive pacificamente prendendosi cura degli animali.

Ma in Svezia il termine “lappone” in realtà è una forma dispregiativa, e noi svedesi del sud non eravamo al corrente di questa accezione linguistica che è paragonabile all’uso di “negro” per indicare una persona di colore.

Quando siamo stati nel nord della Svezia, abbiamo avuto l’opportunità di sentire una cantante Sami, Sofia – lei interpreta la sciamana nel terzo episodio – che con la sua musica raccontava la storia della sua gente. Lei stessa e le due ragazze della prima immagine sono entrate come attrici nella nostra serie.

La questione dei Sami è stato il primo importante elemento del nostro pitching, il secondo è stata Kiruna, “la città che si sposta”. Lo spostamento è una storia reale, perché esiste nelle vicinanze della città una miniera i cui scavi stavano mettendo in pericolo la sopravvivenza degli abitanti: così Kiruna è stata distrutta e poi ricostruita a due km di distanza.

A noi è piaciuta l’idea della città, sul cui terreno non è sicuro nemmeno camminare.

Avevamo dunque la questione del razzismo e poi la fantastica arena di Kiruna, ma quale sarebbe stata la “colla” che avrebbe unito la storia di una detective francese che arriva in Svezia con tutto il resto? La “colla” è stata proprio Kahina: la poliziotta francese – vive a Parigi – di origini berbere, araba ma cresciuta a Marsiglia, scappa dalla sua storia e finisce nel nord della Svezia.

Ma prima di Kahina c’è il terzo elemento utilizzato nel pitching che è L’Enigma: ovvero c’è un cospirazione nella città, 22 persone vengono uccise. Sono persone comuni, normali, che nel passato hanno fatto qualcosa di veramente terribile.

–  Perché le vittime sono proprio 22? – chiede Fosca.

– Perché bisognava mantenere il segreto delle 22 persone in un ambiente ristretto. Non sarebbe stato plausibile riuscirci con un numero maggiore di vittime.

La prima scena

All’interno del pitching, dopo l’immagine delle due sorelle Sami, e dopo l’introduzione dei quattro elementi (il razzismo, la città, la cospirazione dei 22, la storia della detective. ndr) , abbiamo proposto un Intro che fa visualizzare la prima scena.

Una scena veramente indimenticabile.

(Vediamo un uomo che viene assassinato. E’ legato alla pala di un elicottero che, girando vorticosamente, gli fa saltare la testa, decapitandolo. ndr)

La scena iniziale da inserire nel pitching è importantissima. Deve essere forte e azzeccata.

Abbiamo dunque avuto l’idea di un omicidio molto originale, cool, ma non sapevamo ancora chi fosse la vittima né perché e da chi fosse stata uccisa.

Siamo partiti dall’immagine più superficiale e poi abbiamo scavato per trovare le risposte.

La sinossi

A questo punto abbiamo inserito la sinossi breve che era la condensazione in poche righe degli elementi della nostra serie. I produttori oltre la mezza pagina non leggono. Dunque dovete lavorare sodo per comprimere tutto quello che volete dire in una breve sinossi.

Dovete avere il fegato di dire: “Non lo so”. Perché nel pitching si illustrano solo l’inizio, la parte centrale e la fine della serie. Se vi chiedono di raccontare parti dettagliate che non avete ancora elaborato o che ancora non conoscete, rispondete: “Non lo so, ma lo scoprirò andando avanti.”

I personaggi

Poi abbiamo inserito i personaggi.

Per la protagonista, abbiamo preso un’immagine dell’attrice franco-araba e l’abbiamo appesa al muro. Da lì poi, l’abbiamo costruita dandole una storia personale. E’ importantissimo partire da immagini che portino in sé il loro contenuto tematico.

Il pitching l’abbiamo realizzato senza ancora avere fatto alcun tipo di ricerca.

Sapevamo dei Sami e e della guerra d’Algeria negli anni ’60. Ma non avevamo ancora nemmeno cominciato la ricerca, tutto è partito dopo aver venduto la nostra idea.

Il personaggio maschile Anders si è evoluto man mano che scrivevamo. Inizialmente era molto più fisico, più macho ma facendo le ricerche ci siamo accorti che non era abbastanza veritiero. E lo abbiamo trasformato in un gay. Anche perché volevamo che tra i due, fosse Kahina l’uomo che tirava i pugni.

Poi abbiamo inserito l’antagonista, le 22 vittime, e ancora la vittima della scena iniziale. E ancora il popolo Sami, tra cui la sciamana Sofia.

La nostra idea, per quanto riguarda i Sami, era quella di affrontare l’argomento centrando il tema dell’Origine e non quello religioso. C’interessava il mondo spirituale ma non quello religioso. Volevamo dare una dimensione di sacro nei luoghi abitati dai Sami. Ma esclusivamente sotto il profilo spirituale. In ultimo va detto che Kiruna e le zone circostanti sono state personaggi fondamentali della serie. Utilizzate le location come personaggi, dove potete.

Dedicate molto tempo e lavoro a preparare il pitching in modo efficace. Nella premessa si racconta cosa si troverà nella serie, quali sono i suoi temi: in questo caso il tema è il razzismo nei confronti degli indigeni.

Nella presentazione abbiamo usato le immagini, per dare la misura del design della serie – noi siamo anche registi – è importante far vedere quali saranno la luce e i colori della serie.

Sii veloce

Ultimo punto. Noi crediamo nel “sii veloce e non lento“. Abbiamo presentato la proposta il venerdì e abbiamo ricevuto la risposta e la convocazione da parte della produzione francese il lunedì. Quando si aspetta troppo, di solito la risposta è negativa.

Canal + ci ha detto che a loro piaceva molto l’idea. I francesi hanno dunque partecipato al 70% mentre la Svezia ha partecipato al 30%. Così ha avuto una serie nazionale quasi senza pagare. Dopo una sola riunione i francesi ci hanno dato l’okay per procedere.

Così ci siamo messi al lavoro. Abbiamo cominciato facendo molta ricerca. Andando nei musei di Stoccolma per sapere dei Sami. E abbiamo contattato una scrittrice berbera cresciuta a Marsiglia che ci ha raccontato tantissimo, tutto quello che serviva per poter costruire il personaggio di Kahina.

Lo scrivere è come una stanza, devi sapere quando tenere la porta chiusa e quando spalancarla. Le nostre porte erano completamente spalancate. Dovevamo ricevere perché non avevamo sufficienti conoscenze su quanto ci accingevamo a raccontare.

Porte spalancate

A questo punto siamo andati a Kiruna dove abbiamo scoperto l’ambiente, la città. Abbiamo realizzato che “spostare” la città in realtà voleva dire distruggerne una e ricostruirne un’altra.

Abbiamo parlato con moltissime persone. Poliziotti, gente della comunità Sami, quelli del movimento Black Panters, e anche con dei gay. Dovevamo sapere come fosse essere omosessuali in un ambiente fondato su valori molto maschili legati al lavoro in miniera.

La ricerca concreta, il dialogo con la gente del posto, sono stati fondamentali. Siamo scesi nella miniera a 1640 metri. Là abbiamo visto il film su come funziona la miniera. E nel film c’è l’immagine del giovane Sami gentile che indica la strada.

Allora abbiamo detto : “Fanculo! I Sami sono discriminati, nessuno usa la gentilezza con loro.”

Col nostro lavoro avremmo dato un’immagine vera dei Sami. Gustav, l’attore che interpreta Anders è chiaro di capelli, ci dicevano che non era possibile che fosse un Sami. Ma noi abbiamo avuto una guida Sami che gli somigliava molto, dunque anche l’idea di un certo tipo somatico di razza era falsa. E anche contro quella idea falsa abbiamo lavorato. Abbiamo trascorso quattro/cinque giorni tra Kiruna e la parte più selvaggia del paese. Ci siamo immersi nella realtà della città e dei suoi abitanti, non avremmo potuto scrivere la serie senza essere stati in quei luoghi. Per quanto riguarda i minatori ne abbiamo incontrato uno molto tranquillo, ricco, con una bella macchina. Aveva per soprannome Morte perché aveva salvato un compagno dalla morte. Ci hanno colpito la sua dolcezza e la tranquillità, mentre lo stereotipo avrebbe previsto un uomo più aggressivo, quasi violento. Noi l’abbiamo scritto dolce e tranquillo.

La storyline

Dopo il viaggio siamo tornati a casa con una montagna di appunti. A Stoccolma abbiamo cominciato a scrivere la storyline. Ci abbiamo messo un mese, lavorando cinque giorni a settimana dalle 9 alle 5. Lavorare di più sarebbe stato inutile, dopo un certo numero di ore non si produce più.

Siamo partiti dalla lavagna su cui abbiamo tracciato gli elementi della storia, colorandoli per linee e non per personaggi. In modo da evidenziare eventuali “buchi” nel racconto.

In un episodio di 52 minuti, 12 minuti di solito li dedichiamo ad approfondire i personaggi.

– A questo punto ci mostrano una clip dove la protagonista ha un toccante e bel dialogo con il figlio adolescente, che aveva lasciato con la madre, per via dei pregiudizi del suo luogo d’origine su di lei che lo ha avuto a soli quindici anni. In lacrime, Kahina spiega al ragazzo di non averlo potuto tenere con sé, ma che per lei lui è tutto, e separarsi da lui è stato come tagliare dal suo corpo una parte di se stessa. Il ragazzo compare nel primo episodio ma il dialogo che ne ricostruisce la storia, e che è il cuore tematico del personaggio di Kahina, appare nel quinto episodio, quando il figlio raggiunge sua madre viaggiando in autostop da Parigi fino a Kiruna.

Il nostro primo pubblico siamo noi. E ci siamo commossi moltissimo nel rivedere la scena di Kahina e suo figlio.

L’attrice aveva fatto un provino in francese eccezionale, era bravissima e bellissima. Nelle parti in inglese, lingua che non parlava, al contrario, sembrava un’attrice porno. In Francia è un’attrice molto famosa e Canal + voleva che prendessimo lei. Avrebbe dovuto parlare al 60% in inglese. Dopo un enorme nostro conflitto, alla fine l’abbiamo presa ed è stata grande. Meravigliosa.

Come abbiamo detto nella premessa il tema dell’Origine è estremamente importante dal punto di vista della trama ma anche dei personaggi. Lei, di origini berbere, francese, fuggiva dalla sua storia, fuggiva da suo figlio. Tutto questo ha creato un personaggio completo. Nell’ultima scena telefona alla madre e parla in arabo e per noi questo era fondamentale.

In questa conversazione, Kahina chiede alla mamma:

Perché se non volevi che avessi mio figlio, quando lui era in pericolo hai spinto l’ostetrica a salvarlo?

Perché la vita è preziosa.” E’ la risposta della madre.

E questo per noi è fondamentale, e non certo perché non ci piace l’aborto, noi siamo assolutamente favorevoli all’aborto, ma perché la serie è molto dark, praticamente muoiono tutti, e far dire una frase a favore della vita, in arabo, è stato davvero importante e significativo. Kahina raggiunge così la “chiusura” della sua storia con la madre, proprio come ha già “chiuso” la sua storia con il figlio. Sapevamo che la serie non sarebbe continuata. Kahina ha dato tutto in questa unica stagione.

Questo non vale solo per Kahina ma anche per Anders, anche lui all’inizio si vergogna della sua condizione, ma le decisioni che prende verso la fine ne ristabiliscono l’identità nel senso del coraggio e dell’affermazione personale.

A che punto del vostro lavoro avete saputo come finiva la storia, quanto della vostra scrittura si sviluppa dentro al processo creativo stesso? – chiedo a questo punto.

Rispondono che la libertà di seguire la storia anche in direzioni prima sconosciute è importantissima,  la sperimentano nella scrittura delle scene. Ma partono sapendo già qual è la conclusione dell’intera serie.

La struttura della serie si articola in tre atti. I primi due episodi corrispondono al primo atto, i quattro successivi, dal terzo al sesto episodio, corrispondono al secondo atto, mentre gli ultimi due episodi, il settimo e l’ottavo, corrispondono al terzo atto.

Il settimo episodio conclude la storia. L’ottavo e ultimo episodio è lo showdown, ovvero la chiarificazione finale con gli esiti della storia su tutti i personaggi.

Gli episodi sono essi stessi strutturati in tre atti come un film con la sola differenza, rispetto alla struttura per il cinema, che nei singoli episodi i tre atti sono temporalmente uguali tra loro, costituiti da circa venti minuti ciascuno.

La Masterclass è stata lunga e appassionata.

Måns e Björn sono stati davvero generosi nel rivelarci tutti gli aspetti del loro processo creativo e nel darci consigli su come articolare un pitching efficace ed esaustivo. Contenti, li ripaghiamo con un lungo e caldo applauso.

Speriamo di rivederci ancora. Intanto faremo tesoro di quanto ci hanno raccontato.

Il report è a cura di Amy Pollicino

WGI Masterclass – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. Questa rassegna offre uno spazio di riflessione tecnica e un contributo di esperienza da parte degli scrittori più esperti.

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