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La Writers Guild Italia è nata con il preciso intento di valorizzare e di far rispettare, sotto ogni aspetto, il lavoro professionale degli sceneggiatori e quindi anche la loro immagine pubblica. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, raccoglie e diffonde la voce degli sceneggiatori italiani e internazionali, per tentare di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori vengono penalizzati dalle comunicazioni dei festival e degli organi di informazione.

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Il numero di settembre/ottobre 2013 della rivista “Written By” è disponibile online. Lo trovate QUI

Il testo originale dell’intervista di Glen Mazzara a Vince Gilligan si trova a pag. 38.

A pag. 2 e 4 trovate, per la rubrica FADE IN, il resoconto della visita della Writers Guild Italia a Los Angeles,

di cui vi abbiamo già raccontato  QUI

 

UNA BRUTTA GIORNATA NELLA WRITERS’ ROOM

DI BREAKING BAD

Estratto e tradotto su gentile autorizzazione di RICHARD STAYTON, che caldamente ringraziamo,
dal suo articolo
BAD DAY AT THE OFFICE,
Vince Gilligan and Glen Mazzara discuss the making and the breaking of a great serie.
WRITTEN BY, Sept/Oct 2013 – vol 17, issue 5

 

Dopo cinque stagioni,sta per concludersi la favolosa serie Breaking Bad, creata da Vince Gilligan. In Italia gli ultimi episodi della serie saranno trasmessi da AXN a partire da sabato 21 settembre alle ore 22:00, in HD e in doppio audio, originale e italiano.

Prima che finisse la lavorazione della serie, Richard Stayton ha invitato GLEN MAZZARA (sceneggiatore e produttore televisivo di serie quali “Crash”, “The Walking Dead” e “The Shield”) a fare una chiacchierata nella writer’s room di Breaking Bad con il creatore della serie VINCE GILLIGAN, più volte vincitore dei WRITERS’ GUILD AWARDS for the series. Ecco quello che si sono detti.

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GLEN MAZZARA: Ci siamo: solo un ultimo missaggio del suono e la vicenda di Breaking Bad sarà completamente finita.

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VINCE GILLIGAN: Sì, stiamo proprio tirando i remi in barca. Attorno a questo tavolo, fino a ieri c’erano ancora i miei sei sceneggiatori. Adesso, sulla mia sedia, ci stai seduto tu. Dopo sei anni passati in questo ufficio mi guardo intorno e mi dico: “Cristo, non ci voglio restare un secondo di più”. Questo posto è una topaia, ammettiamolo. Però, mi mancherà.

GM:  In effetti, è abbastanza squallido.

VG: Avevamo gente che si faceva di eroina nei bagni dell’atrio di sotto.

GM: (ride) Tuoi collaboratori?

VG: Per quel che ne so, no. (ride) Erano quelli dell’altro ufficio, che è meglio non nominare.

GM: Te lo dico subito: non parleremo del finale di BB, perché non ne voglio sapere nulla prima di averlo visto. Sono un fan, ho visto tutti gli episodi. Felice?

VG:  Molto. La questione del finale mi ha tenuto sveglio per quasi un anno. Sono stato contento, quando ho saputo che la serie sarebbe stata chiusa. Da una parte, fosse dipeso da me, avrei continuato in eterno, ma dal punto di vista creativo, sapevo che la storia era arrivata alla fine. Avevamo pensato di chiudere con un cambiamento: prendi un tizio che è il protagonista, e lo fai diventare l’antagonista. Penso ci sia molta più verità in una serie di questo tipo. Quando abbiamo saputo di avere ancora sedici episodi da scrivere, prima della fine, abbiamo spostato l’obiettivo e ci siamo chiesti: “Quali sono le sedici migliori ore dell’intera storia che possiamo tirar fuori?” Non voglio tralasciare nulla, voglio punteggiare tutte le i e far il trattino a tutte le t, voglio rimettere a fuoco quanto abbiamo fatto. Così, ci siamo ritrovati a passare molte più ore del previsto, proprio qui in questa stanza, alla ricerca della mossa migliore, in quello che era diventato un gioco di scacchi, alla ricerca di ogni possibile combinazione. Se Walt (il protagonista n.d.r.) si è comportato in questo modo, perché l’ha fatto, che cosa lo ha spinto? Non sono uno scacchista, ma se cerchi di ragionare come loro, di ipotizzare tutte le possibili mosse, metti in moto un meccanismo di pensiero virtuoso. Serve tempo, sì, ma è il tempo che ti serve a trovare la soluzione e, alla fine, ce la fai, esci dal ginepraio: devi solo trovare le mosse giuste. Ho avuto nottatacce, nelle quali mi sembrava che l’unica cosa da dire agli sceneggiatori il giorno dopo, fosse: “Credo che abbiamo commesso un errore quattro episodi fa, ma adesso non abbiamo modo di tornare indietro, aggiustare e ricreare. Dovremo giocarci questa mano, così come viene, al meglio”. Lo so, sono metafore abusate, ma è esattamente così: affronti quelle nottate insonni, e vai avanti. Adesso che è finita, sono davvero soddisfatto di quanto abbiamo fatto emergere del personaggio. Sono ovviamente curioso di quel che penseranno i fan di questo finale, perché ci siamo arrivati, in piena consapevolezza, sapendo bene a cosa mirare. Non è possibile accontentare tutti, ma alla maggior parte di loro piacerà. I miei sceneggiatori ed io ne saremo felici e fieri, poiché è dal nostro lavoro che Breaking Bad è nato. Insomma, non ci può essere soddisfazione, se prima non si è stati insoddisfatti, almeno un po’, del proprio operato.

Problemi di testa.

GM:  Okay, veniamo ad una domanda seria. Ho una cosa in ballo con gli Studios di Fox TV: sto scrivendo il pilota di una serie che adoro. Ne parlavo a John Landgraf  [Presidente delle reti FX, n.d.r.]: a lui la cosa piace parecchio e mi ha dato degli spunti, ma soprattutto mi ha fatto una richiesta che era un’imposizione: avrei dovuto adottare un punto di vista diverso sulla storia. E’ stato facile capire quel che avrei dovuto cambiare, ma sono rimasto in dubbio per sei settimane. Continuavo a chiedermi: “Perché dovrei scrivere questa roba?” Mi sono messo in gioco come sceneggiatore. Sento che se dovessi creare un personaggio, dovrebbe riflettere il travaglio emotivo che ho avuto io e che sto ancora smaltendo. Non credo si possa separare Tony Soprano da David Chase.

VG: Sì, è un’ottima riflessione.

GM: E tu che mi dici di Walter White, come te la sei passata? La seconda parte della domanda sarà: “Dal momento che Walter White è cambiato, in che modo sei cambiato tu? Che cosa fa di Walter White una creazione di Vince Gilligan e non di  Matt Weiner, David Milch, Chris Carter o altri?”

VG: Bella domanda. Parrà assurdo, ma in verità ci sto pensando da sei anni. Quando ho concepito Walter White, mi ritrovavo a chiedermi: “Che cosa accadrebbe, se…?”. Sono un tipo che si attiene alle convenzioni. Non me ne vanto, ho un carattere noioso e abitudinario. Non ho mai infranto la legge in alcun modo, mai stato un criminale. E non voglio esserlo. Però, tutti adorano i gangster movie, a tutti piace vedere Jimmy Cagney e Humphrey Bogart e sarà così anche per le generazioni future. Amiamo tutti quel brivido che ci assale quando vediamo qualcuno fare qualcosa di scorretto: succede anche a me. Quando è nata questa serie, ero lì lì per superare i 40 anni e pensavo: “Ho vissuto, probabilmente, ormai più della metà della mia vita . Quante altre cose dovrò farmi piacere, oltre a quelle che mi sono già andate di traverso? E che cazzo, è tutto qua?” [ride] Con il senno di poi, posso dire che quando mi è venuto in mente Walter White, ero davvero vicino al suo modo di pensare. Non cercavo ovviamente di diventare uno spacciatore abituale, un criminale, ma è vero che mi chiedevo: “Vivo la mia vita con sufficiente coraggio? Faccio davvero le cose che vorrei fare? Romperei mai con la routine di ogni giorno? Dovrei forse uscire là fuori e prendere il toro per le corna?”

GM: In un certo senso, è stata una crisi di mezza età.

VG: Già. Una crisi creativa di mezza età.

GM: “Qual è la storia che voglio raccontare?”

VG: Esattamente. Mi sono reso conto, poco dopo essermi posto questa domanda, che la storia di Walter White è quella di un uomo che sta vivendo la peggiore crisi possibile di un uomo di mezza età. Certo, nell’episodio pilota non si racconta affatto di una crisi di mezza età, ma piuttosto di un annuncio di morte a breve. Walter è un uomo, che scopre di aver poco tempo da vivere, e con dolore si rende conto che non potrà più realizzare i suoi progetti. Insieme con la consapevolezza gli arriva addosso anche la paura. Questo è l’aspetto che sento più mio. Sono pieno di paure: quasi tutto mi agita. Guidare, lavorare, essere intervistato o che so io.

GM: Agitato anche adesso?

VG: Sì, sono sempre nervoso. Sempre in agitazione: “Dirò qualcosa di sciocco? Mi capiterà quello che è successo a Paula Deen? Distruggerò la mia intera carriera per aver detto una sciocchezza?”

GM: Tranquillo, devo trascrivere l’intervista, possiamo correggerla, sei al sicuro.

VG:  In realtà, non voglio essere al sicuro. Ciò di cui vado più orgoglioso è che non ho freni inibitori. Faccio proprio quello che più mi terrorizza, dallo skydyving alle lezioni di volo. Mi fa diventare matto il pensiero che non ho mai preso la patente: non ho mai dato l’esame di guida. Invece bisogna guardare avanti e affrontare le proprie paure. Altrimenti. non sei vivo. […] Detto questo, aver avuto per sei anni Walter White in testa non è stato facile. Certo, la serie ha avuto successo oltre ogni aspettativa ed immaginazione, ed è stato fantastico. Ma portarsi dentro, notte e giorno, quell’uomo, per sei anni, è stato davvero complicato. Nonostante la tristezza della conclusione, è una gioia poter sfrattare Walt dalla mia mente. Lo sai, specialmente quando scrivi per serie TV così lunghe, i tuoi personaggi diventano omini che si insediano nel tuo cervello e lo abitano. Sembrano parole di uno schizofrenico le mie, ma non è così: ci sono veramente quegli omini e li puoi sentire che fanno casino…

GM: […] E che cosa farai, dopo? Hai voglia di raccontare altre storie, sai già quali? Oppure vuoi ritornartene nei boschi della Virginia a rimpinzarti e startene tranquillo? Oppure ti senti di poter dire: “Okay, per sei anni ho raccontato questa storia, ora ho questo portatile pieno di altre idee che non vedo l’ora di mettere a fuoco”?

VG: Vorrei davvero avere un portatile pieno di idee, ma non è così, purtroppo. E vorrei esser giovane abbastanza per prendermi davvero un annetto di svacco nei boschi della Virginia. Dopo la fine di “X-Files”, 11 anni fa – oddio, non riesco a credere che sia passato tanto tempo – ricordo che mi dicevo: “Ho tutto il tempo che voglio: mi prenderò una pausa per vivermi un po’ della mia vita.” Adesso invece sono troppo vecchio, cazzo [ride] per farmi una vacanza di un anno. E poi il mondo è troppo veloce ora: c’è un milione di canali da soddisfare, ci sono miliardi e miliardi di cose come YouTube, c’è davvero troppo alla TV ed alla radio e sul satellite ed in internet, che ti fanno strabuzzare gli occhi. È più difficile di quanto non sia mai stato farsi strada in mezzo a tutto questo e riuscire a piazzare la tua roba. Vorrei avere davvero quel portatile pieno d’idee. In qualche modo lo riempirò.

Chimica personale

GM: L’anno scorso mi avevi suggerito di dedicarmi alla regia ed era una cosa alla quale stavo già pensando. Quando sono diventato il produttore esecutivo di “Crash” […] mi sono accorto che stavo cambiando il mio modo di sceneggiare, perché sapevo esattamente quello di cui avrei avuto bisogno nella fase della realizzazione. Quando siedi accanto al regista, e gli fai osservare con vivacità la tua opinione, è come se stessi facendo tu stesso la regia: sei in grado di chiedere quello che vuoi che venga fatto, perché nella tua mente sai già come lo userai, come lo monterai. Sentivo che il mio prossimo passo avrebbe dovuto essere la regia, ma sono sempre stato piuttosto scettico a riguardo, finché tu non me l’hai suggerito. Adesso, se faccio fiasco, ti chiamerò, prenderò un aereo, verrò da te e tu porterai a termine per me l’episodio, siamo d’accordo?

VG: Senti, e so di parlare al pubblico di una rivista che si chiama “Written By”, dunque un pubblico poco obiettivo: la regia è difficile, ma scrivere sceneggiature lo è ancora di più. Spiacente, ma lo dovevo dire. Puoi raggiungere un alto livello di rendimento da regista, puoi essere bravo quanto vuoi, ma non sarà mai lo stesso livello di rendimento raggiunto da un solista comeTiger Woods, mi spiego? Se sei un regista, c’è sempre tanta gente intorno a te. Ti procuri i professionisti giusti, li metti sotto pressione ed hai anche l’appoggio del network che ti aiuterà a creare e a realizzare il tuo immaginario. Invece, come ben sappiamo noi sceneggiatori, quando sei tutto solo nella tua stanza o nel tuo ufficio a battere sui tasti senza nessuna altra voce che la tua, è più dura. Al termine della loro giornata, regista e sceneggiatore hanno dato entrambi il massimo per ottenere  il meglio del mestiere, dell’arte e del talento, ma scrivere sistematicamente per far fronte a una scadenza, può esser opprimente. L’unica pecca della TV è il sistema ripetitivo, le scadenze fisse.

GM: Si tratta di un lavoro snervante, alla lunga.

VG:  […] Mi torna in mente quel vecchio aneddoto su Ginger Rogers che doveva fare tutto ciò che Fred Astaire gli chiedeva di fare: soprattutto non rubargli la scena, ballare un passo dietro a lui e non indossare tacchi alti. La stessa cosa succede quando fai televisione di qualità: ti trovi in secondo piano, svolgi un lavoro lungo e faticoso, senza pause, per via delle scadenze fisse. Non credo, al momento, d’aver la forza e l’energia di tornare a far quello che ho fatto. Però essere in TV, esserci così, è comunque fantastico.

GM:  Ti sento incerto tra il sollievo di porre finalmente fine a questa serie e qualcosa che dentro di te si agita e combatte: “No, non voglio prendermi una pausa, voglio far questo, voglio ancora esser in campo!” Insomma, con Breaking Bad, non hai affatto risolto la tua crisi di mezza età. Sei ancora allo stesso punto di quando hai cominciato. [ride]

VG: Sono fatto così. Qualsiasi cosa mi succeda, devo comunque proseguire, senza fermarmi mai, fino alla morte. E poi, lo sai, non è la felicità che fa girare il mondo, che lo manda avanti. E’ l’insoddisfazione a farlo.

GM: Be’, sicuramente l’insoddisfazione guida gli artisti.

VG: Non è il Buddismo che recita: “Il desiderio è la madre di ogni sofferenza”? Credo che sia molto vero. Sei un uomo delle caverne? Il tuo primo desiderio sarà: “Sento freddo, mi serve un rifugio.” Ti muovi per cercarlo. E’ sempre così, anche oggi. Ti guardi intorno e dici, “Non sono felice delle cose che mi circondano adesso, ed è per questo che voglio cambiarle”. Il desiderio può esser la madre di ogni sofferenza, ma l’insoddisfazione è la madre di ogni crescita e cambiamento. Se sei davvero tanto felice, perché dovresti andartene? Per la prima parte della vita ti ripeti: “Perché non posso essere felice? Perché non riesco ad esser soddisfatto?” E poi cominci a pensare: “Mica male, un po’ di insoddisfazione…”

Condividere la responsabilità.

GM: Hai parlato sempre bene dei tuoi collaboratori e delle persone che ti sono state vicine. Hai dovuto imparare a lasciar correre? A collaborare? Ad accettare gli altri? Quando facevo “Crash”, ho scritto la prima versione del pilota. Della seconda stesura si occuparono due sceneggiatori formidabili e cambiarono parecchio. Si sentiva una voce diversa. A tutti sembrava un’altra serie e se ne discusse animatamente. Ne uscii pensando: “Be’, ciò che un produttore esecutivo deve fare è anche dar voce a uno show, non solo metterlo in scena: deve trovare il modo specifico di parlare alla gente di quella serie”.  Dunque, qual è stata la tua esperienza nel far mettere mano a qualcun altro sul tuo lavoro, nel mantenere il tono, riscrivere… è una cosa con cui vai d’accordo? Dici che discuti di ogni dettaglio, in modo tale che tutti possano interagire, ma quanto è stato fluido questo procedimento? Hai dovuto imparare a lasciar correre, per andare veloce, o hai controllato e riscritto, comunque, ogni cosa?

VG: E’ un problema comune degli head writer, e lo capisco. Qualcuno di loro mi ha detto: “Sai cosa? C’è bisogno di molta energia in più per sedersi a fianco di chi scrive e discutere con lui: si rallenta il lavoro. Si fa prima a sbrigarsela da soli, a risolvere, riscrivendo sulla tua tastiera”. E’ la prima reazione. L’ho fatto anch’io, all’inizio, ma poi ho cominciato a capire che era una sorta di fuga da me stesso. Sento che è meglio agire in modo diverso, fare il lavoro sporco in partenza: discutere da subito, il più possibile, con ogni sceneggiatore. Mi sembra d’aver appreso anche da loro a individuare le voci dei personaggi, che è molto diverso dal mettersi lì a riscriverli e ricorreggerli. […] Alcune tra le più divertenti battute di “Breaking Bad” non sono mie. Sono il frutto degli altri sceneggiatori.

Il lungo addio.

GM: Ovviamente quando hai avuto questo nuovo personaggio tra le mani e hai cominciato a plasmarlo, a scrivere il pilota, devi aver pensato: “Wow, questo porterà ad uno sviluppo, ad una seconda stagione, continuerà a traghettare cose…” Ma inevitabilmente, ad un certo punto, devi esserti chiesto: “Qual è l’epilogo che mi riservo per questo personaggio? Cosa devono portarsi a casa gli spettatori?” Sono sicuro che questo fa la differenza.

VG: Sì, è così.

GM: Quando scrivi il finale la prima volta, lo rileggi e pensi: “Sì, perfetto, è proprio ciò che volevo scrivere. Ok, in questi sei anni il frutto è maturato e tutto ha un senso logico e perfetto”? Oppure, immerso in quel viaggio, ti sorprendi e speri che il pubblico si renda conto con te di esser arrivato ad un epilogo? Capisci la domanda?

VG: Sì, sì, l’ho capita, e non sono sicuro di saper rispondere, se non per dirti che non mi fido fino in fondo di quello che mi ricordo. Nel senso che sto invecchiando, che ho passato migliaia di ore ad approfondire questo personaggio, che è cambiato parecchio rispetto al pilota iniziale, e mi sento cambiato anche io con lui. La mia percezione di lui è stata modificata, prima dal processo stesso di metterlo sulla carta e poi dall’aver coinvolto nella scrittura altri sei sceneggiatori, e infine dall’averci lavorato anche con Bryan Cranston,  l’attore che lo interpreta e che ha portato un valore aggiunto all’identità della serie: Walter White non sarebbe stato lo stesso se al posto di Bryan lo avesse interpretato un altro. Durante ogni fase di questo percorso, l’apporto di tutti ha comportato ricadute negative e benefici positivi, e alla fine ha permesso al personaggio di andare avanti e di farlo diventare quello che è oggi.  Ora è difficile dire: “Caspita, ho immaginato questo finale da tempo.” La verità è che non ci ho mai pensato.

GM: Contento di entrare in una nuova fase?

VG: No, non lo so. Sono nervoso come mai. Perché devo affrontare una nuova esperienza e ho già sperimentato il fallimento. Solo il Signore conosce tutti i nostri fallimenti e come li abbiamo pagati… Uno normalmente ha paura di fallire (ed è così), ma il successo ti combina in testa altri brutti scherzi, che nemmeno immagini.  Spunta una vocina che chiede: “E’ questa la tua ultima mossa? E se non la capiscono? E se la gente là fuori ti rimproverasse di aver sbagliato?” Il successo porta a galla le tue tendenze nevrotiche e le ingigantisce. Una volta che ti è andata bene – per me è una assoluta novità, visto che non mi era mai accaduto prima – il successo stesso si impadronisce di te e ti mette sotto pressione. Bisogna ammettere che è una pressione auto-indotta, lo capisci quando dici a te stesso: “La prossima cosa che farò, dovrà essere ancora più grandiosa…” Ti rovini con le tue mani. Sai che non è questo il modo giusto di vedere le cose e di vivere la tua vita, ma non riesci a evitare di finire nel loop.

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GM: Ti prenderai una pausa?

VG: Quando la serie di “X-Files” terminò nel 2002, mi sentivo molto orgoglioso del lavoro svolto, ma anche molto stanco. Ricordo d’aver detto alla mia compagna Holly: “Nessuno al mondo ha mai lavorato così tanto! Ho bisogno di una vacanza. Ho bisogno di prendermi un anno di ferie”. A ripensarci, mi sento un imbecille. Prima di tutto, perché il lavoro in sé era notoriamente un lavoro duro: la TV, chi ci lavora lo sa bene, è un lavoro estenuante. Ma poi, parlando seriamente, di quanto tempo si ha realmente bisogno per recuperare? A meno che il tuo corpo ti abbia mandato segnali negativi, a meno che ti ritrovi con un’ipertensione o subisci un attacco alle coronarie o qualcos’altro, dopo un po’ torni al lavoro: è normale. Prenditi una settimana, prenditi pure un mese, ma poi, rimettiti al lavoro. Ecco, adesso non ti nascondo che mi piacerebbe cazzeggiare per un po’.

GM: Non fa parte dello scrivere anche questo? Non ti sembra giusto doverci passare in mezzo? A me capita adesso. Terminerò di scrivere “The Walking Dead” e penserò al da farsi. Sono così felice di non far parte della produzione. Così contento di non aver quella pistola alla tempia, di poter pensare e dire : “Oh, proviamo questa cosa, cerchiamo in quella direzione…” Mi piace vivere questo periodo di creatività. Vorrei che fosse così anche per te.

VG: Sai cosa? Mi sembra che tu sia uno che si sa organizzare meglio di me. Hai molta più autodisciplina. La TV è stata la miglior cosa che potesse capitarmi. Avere quella metaforica pistola puntata alla tempia, una settimana, sì ed una, no. E’ per me la cosa migliore: dura e stressante quanto basta. A volte penso: “Se non avessi fatto la TV, sarei diventato uno scrittore?” Penso, infatti, che il mio lavoro avrebbe potuto finire nel niente, che sarei rimasto uno scrittore solo a parole, se quello che ho scritto non si fosse realizzato, se nessuno mi avesse fatto fare quello che so fare.

GM: Ho letto in rete, che hai pianto quando hai scritto il finale. E’ vero?

VG: Sì,è vero.

GM: E che lo hai raccontato a fare? [ride]

VG: Perché tendo, se non l’avessi ancora capito dopo due ore che parliamo, be’… tendo ad esagerare.

GM: Hai pianto perché s’è trattato di un finale emozionante?

VG:  No, ho pianto perché era finita. Non mi importa che qualcuno pensi che io sia un piagnone, però…

GM: Ti sto facendo una domanda antipatica?

VG: No, no… Però la gente non deve pensare che mi sia commosso per quanto ero bravo, per la bellezza di quello che avevo scritto. [Mazzara ride] Questo ci tengo a farlo sapere.

GM: Una cosa del tipo: “E questo è tutto.”

VG: “Questo è tutto.”

GM: “E’ l’ultima stesura”

VG: Ho scritto l’ultimo paragrafo, che era la descrizione di una scena, e poi ho aggiunto“FINE.” Ho posizionato il cursore al centro della pagina e ho digitato la parola “FINE” sull’ultima stesura.  E, poi, ho pianto. Per il fatto che era terminata.

GM: Ho capito.

VG: Non si è trattato di un particolare del copione che mi ha emozionato, quanto piuttosto una cosa del tipo: “Non lo rifarò mai più. E’ l’ultima volta: questo è il numero 62.  Non ho mai pensato di arrivare a così tanti episodi, che ci si potesse spingere così in avanti. Non ho mai pensato che BB sarebbe stato così apprezzato. E infine: non avrò mai più un altro progetto così interessante per le mani. Questo è quanto.” La faccenda mi ha colto di sorpresa. Ora, non ci piango più: visto che sono così nevrotico, non so neanche più come si fa a piangerci sopra. Però l’ho fatto, il Signore mi è testimone, ho pianto veramente. È stata una cosa che mi ha sorpreso.

GM:  Era proprio ciò che volevo sentirmi dire. Lo riporto nel testo. Senti, devo ringraziarti per prima cosa come amico, e poi in secondo luogo…

VG: Grazie a te…

GM: Hai fatto davvero un ottimo lavoro. Sono convinto che questa serie rimarrà negli annali della storia della TV. Già ci sta, ma intendo come un capolavoro. E dal momento che tu hai avuto quest’idea e l’hai portata avanti con cura gelosa, e l’hai condivisa con la gente, e sei una persona degna di rispetto e un tipo a posto… vorrei ringraziarti per il lavoro svolto. Capisci

VG: Grazie. Grazie per il tuo lavoro.

GM:    Perché BB mi ha davvero colpito, e ad oggi non ci sono altre serie televisive di cui abbia visto ogni episodio. Be’, sai, quando mi intervistano, mi dicono: “Qual è lo spettacolo migliore in TV?” oppure “Che guardi?” Rispondo sempre “Breaking Bad”. Non vedo l’ora di divorarlo.

VG: Questa è la più alta forma di elogio. [ride]

GM: Cerco e mi circondo solo del meglio.

Traduzione dall’americano di Luca Bergoglio.

Adattamento e riduzione a cura di Aaron Ariotti e Giovanna Koch.