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La Felicità Umana

La WGI è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati  dagli organi di informazione.

“Povero non è colui che ha poco ma colui che ha bisogno infinitamente tanto.” Questa frase di Seneca, citata dal Presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica nel 2012 durante il discorso alle Nazioni Unite, esprime il tema del documentario, che potremmo definire filosofico, di Maurizio Zaccaro. Dopo la proiezione del film al 34esimo Torino Film Festival, fuori dal cinema Reposi c’è il diluvio, eppure, sotto gli ombrelli, i volti degli spettatori appena usciti sono tutti sorridenti. Forse questo film ha davvero trovato il segreto della felicità.

Per cominciare, raccontami di questo film.

Questo film è nato un po’ per caso: stavo girando un documentario prodotto dalla Cineteca di Bologna, Come voglio che sia il mio futuro. Io abito a Rimini e, prendendo il treno avanti e indietro, sulla strada c’era un fabbricato che ora non c’è più sul quale c’era un graffito: Nasci, Produci, Consuma e Muori, slogan che arriva dall’ideologia Anarchica; davanti a me sul treno c’erano delle adolescenti che hanno commentato ironicamente: – Che felicità.

Mi sono posto la domanda su quale tipo di felicità cercassero dei ragazzi che, leggendo uno slogan del genere, lo rifiutavano a priori. Quelle quattro parole, infatti, contenevano un senso che va al di là dello slogan anarchico: portavano dritto a questo racconto. Ovvero quanto incide l’economia sulle nostre vite.

In Danimarca, il luogo dove ho cominciato a girare, proprio all’arrivo, in aeroporto, al ritiro bagagli, c’è un enorme pannello che recita Benvenuti nel paese più felice del mondo. Peccato che sia la pubblicità di una birra, e anche questo mi ha fatto pensare.

Ho inseguito questo discorso sulla felicità per tre anni e mezzo, tanto sono durate le ricerche e le riprese. A Copenhagen c’è, poi, l’Istituto della Felicità, organismo statale che studia il livello di felicità dei paesi del mondo. Ci sono sette persone che ci lavorano. Proviamo a crearlo qui, un Istituto per la Felicità…. Ti pare sia possibile?

Con questo film parlo dell’economia che ci spinge all’infelicità: è un film-provocazione più che una narrazione. Noi stessi filmmakers sappiamo come indurre la gente a comprare un prodotto che stiamo lanciando sul mercato, noi stessi stiamo in coda dall’alba per avere l’Iphone 8 per essere i primi ad averlo e mostrarlo agli amici. Se non hai quel prodotto non sei al passo con i tempi, hai un gap tecnologico e culturale; ma per ottenere il nuovo prodotto devi lavorare sempre di più e sottrai tempo alla tua vita: si slitta rapidamente verso l’infelicità.

La felicità non esiste, esiste solo la sua ricerca che è indotta dal Mercato. Come dice Serge Latouche, il Mercato, ossia il libero scambio, è Libera volpe nel libero pollaio. La volpe con i suoi artigli è il mercato e le galline indifese siamo noi. Una strage. Ogni spot pubblicitario racconta solo e in modo incessante di come possiamo essere più felici.

La Felicità Umana è un film che deriva in parte da altri film che ho fatto: il piccolo intervento di Ermanno Olmi arriva da Il Foglio Bianco, un documentario che ho realizzato su di lui, quello di Vandana Shiva è preso da Terra Madre, girato in India, ci sono brevi passaggi di Adelante Petroleros, girato in Ecuador. Mi sono accorto, man mano che procedevo nel lavoro, che questi contributi stavano bene all’interno del film che ha un andamento tematico: comincio parlando di immigrazione e finisco parlando di qualità della vita.

I contributi arrivano da persone molto diverse tra loro: ho intervistato quattro registi, Bruno Bozzetto, Ermanno Olmi, Ariane Mnouchkine, Markus Imhoof, quattro artisti che dicono cose inusuali. Imhoff, ad esempio, pone il problema del perché le merci devono girare per tutto il mondo liberamente e gli esseri umani no. Del tutto in armonia con la mia ricerca.

Volevo intervistare Bernie Sanders, candidato allora per la Casa Bianca, che mi interessava più degli altri, ma poi ho deciso di non farlo. Anche se Sanders non è uno dei potenti degli Stati Uniti, non mi piacciono i documentari che intervistano i potenti, i politici. L’unico politico che ho tenuto nel film è Pepe Mujica, che non è un politico ma un guerrigliero.

Il film ha inseguito la Storia e la Storia ha inseguito il film: ero a Berlino mentre arrivavano i migranti, ero a Parigi a girare l’intervista a Latouche due settimane dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo. Ho inserito in questo film delle immagini di quei giorni, a Berlino le file di migranti in attesa di un visto, a Parigi la gente che si ferma attonita, i sacchetti della spesa in mano, in rue Albert: quello è Storia ormai, cioè economia del mondo.

Vivere la decrescita felice, come dice Latouche, non è vivere di ghiande, è capire che forse proprio di quel telefono non ne abbiamo bisogno, che quel collegamento fibra super veloce non è poi necessario. Non sono andato a intervistare chi rifiuta la corrente elettrica o la tecnologia, badate bene. Vicino a Rimini c’è una comunità di persone che vivono così, sentendosi indipendenti e più felici, ma non è quello che io cercavo.

In questo film cerco il legame tra l’essere umano e l’economia imposta del luogo in cui vive. Leggi La favola delle api, di Bernard de Mandeville, scrittore del Settecento. La trovi anche su internet. Un mondo governato dalle api, organizzato, onesto, non può fare a meno dei propri criminali.

Scrittura per Documentario e scrittura per la Fiction: sono strumenti tanto diversi?

No. Lavorare per la Televisione, per il Cinema o per il Documentario sono cose molto simili: raccontiamo delle storie. A volte da sceneggiatori ci viene richiesto di essere leggeri, accattivanti, il pubblico deve essere allietato perché vuole essere felice. Alla Frank Capra. Possiamo dare al pubblico i cinepanettoni, che svolgono benissimo il loro compito, ma non è quello che cerco. Si può fare invece una riflessione più generale sul Cinema Documentario: esiste il Documentario di poesia e di silenzi, come Il grande Silenzio, di Philip Gröning, dove non viene pronunciata una sola parola, dove non c’è

nessuno che ti spiega, o come Le quattro volte di Michelangelo Frammartino che racconta la Calabria senza parole né musica, e c’è un Documentario più guidato.

Nel mio caso sono obbligato a far parlare delle persone non, però, per farle raccontare di se stesse, ma per aiutare lo spettatore a sviluppare un’attenzione più acuta sul ragionamento che gli sto proponendo. La scrittura in un film del genere non esiste. Esiste una scaletta di massima momento per momento, c’è una successione di temi e la storia è condotta a una svolta attraverso le parole delle persone intervistate. Una precisazione sul ritmo di questo mio film: i discorsi degli intervistati sono tenuti volutamente lunghi, diversi dagli incalzanti tempi televisivi. C’è bisogno di tempo per capire.

Il film prende per mano lo spettatore e lo guida attraverso un percorso complicato com’è il parlare della felicità umana senza essere presi per matti, accarezza aspetti inafferrabili della nostra esistenza. Desidero portarvi con me, voi spettatori, a sentire persone che normalmente non potete incontrare. Come ha detto Giorgio Strehler, fondatore del Piccolo Teatro di Milano, anche io cerco di far uscire lo spettatore un po’ diverso da come è entrato.

Non so se ricordi l’Enciclopedia Conoscere: era composta da quindici volumi belli spessi di cui il primo era propedeutico agli altri quattordici e raccontava cosa c’era negli altri. Ecco, se oggi dovessi accarezzare un sogno sarebbe che questo film diventasse come il primo volume dell’Enciclopedia Conoscere: ci sono altri luoghi dove si potrebbe andare, come il Bhutan, dove non c’è il Prodotto Interno Lordo ma la Felicità Interna Lorda, che calcola il benessere della popolazione; oppure, proprio in questi mesi c’è la lotta degli Indiani d’America che combattono contro l’estrazione del petrolio nelle loro terre e vengono presi a fucilate. Non è un caso che siano situazioni che riguardano sempre l’economia dove noi stessi ci agitiamo, sudiamo, diamo l’anima, fino a quando non ci siamo più. Quel giorno, come dice Aleida Guevara nel film, è importante una sola cosa: quello che abbiamo fatto per gli altri.

In questo nostro mondo attuale così instabile c’è ancora spazio per storie inventate? Non è che la realtà sta prendendo il sopravvento tanto che abbiamo bisogno di decifrarla con la sua analisi e non con la finzione?

Puoi raccontare storie. Certo che puoi. Ma devono essere in anticipo sui tempi. Così facendo aiuti lo spettatore a crescere. Questo è l’importante: non dare storie banali. Quando ho realizzato Articolo 2 nel 1994, (che nel 1992 ha vinto il Premio Solinas per la sceneggiatura, ndr), e qui ne La Felicità Umana ne ho inserito alcune immagini, io parlavo di immigrazione. La sceneggiatura di Articolo 2, però, l’avevo scritta negli anni

Ottanta: se guardi bene parlo di quello che sta accadendo oggi. Ugo Pirro, grandissimo sceneggiatore, in Giuria al Solinas, venne a vedere il film finito e commentò che ero troppo in anticipo sui tempi. E’ il saper narrare che è importante, e in questo momento mi rendo conto di quanto sia complicato.

Mi dici cosa pensi della Nuova Legge Cinema?

Non vorrei essere equivocato, ma è una legge che è a favore dell’Industria Cinematografica e ben poco predisposta all’Autore. Se vai a vedere l’evoluzione della Legge precedente, che non difendo, i grandi Produttori faranno sempre meno fatica, i piccoli Produttori indipendenti ne faranno sempre di più.

L’intervista è a cura di Giovanna Volpi

Scrittori a Torino – Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori presenti con le loro opere al 34esimo Torino Film Festival.

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