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Janara

L’11 febbraio è uscito nelle sale cinematografiche JANARA, horror prodotto dall’ambiziosa Vargo film e diretto da Roberto Bontà Polito. Per il film, Eugenio Bennato e Sandro Di Stefano hanno scritto il brano ‘È na Janara’

Brando Currarini, socio WGI, è co-sceneggiatore di Janara, assieme a Alessandro Riccardi.

Ciao Brando, raccontaci la tua vita professionale con la sintesi di un pitch.
Biglietto intercity La Spezia – Milano delle 16:40 in una mano e nell’altra solo un trolley: è così che inizia la mia “carriera”.

Mi trasferisco a Milano per studiare alle scuole civiche di cinema e dopo un’ iniziale svista per la regia, vengo ammesso al corso di sceneggiatura e mi sento già più a mio agio. Ma il relax dura poco, durante l’ultimo anno i presupposti per il futuro si fanno scarsi e quindi mi metto a cercare quante più opportunità possibili e trovo un workshop di sceneggiatura a Frosinone, tenuto da Alessandro Riccardi, titolare di Imago, che poi diventerà Vargo. Ci conosciamo e dopo qualche tempo mi telefona: “Ti andrebbe di scrivere un film?”. Scrivo Janara “da casa”, sempre cercando altri lavori nel settore, che però non portano poi troppi successi. Ma Janara è una di quelle poche cose che mi ha portato solo soddisfazioni e me ne sta ancora portando. Quindi la storia per ora finisce così, con un biglietto regionale Milano – Bologna in una mano e nell’altra sempre un trolley, ma pure una videocamera.

E adesso il pitch di Janara: qual è la trama del film?

Marta, giovane donna spirito libero, e suo marito Alessandro, uomo razionale e iperprotettivo, sono diretti a San Lupo, piccolo paese del Beneventano luogo d’origine di lei. C’è in ballo un’eredità, eppure questo viaggio serve anche a loro per ritrovare quell’unione che sembra un ricordo lontano. Ma su San Lupo incombe la maledizione della Janara, bruciata sul rogo anni orsono, che oggi rapisce i bambini del paese per vendicarsi… e Marta è incinta di qualche settimana.

“Tratto da una storia vera” è un claim alla Fargo o la storia vera c’è davvero?

Possiamo dire che abbiamo fatto il verso ai Cohen! No, la storia che raccontiamo non è accaduta veramente e l’intreccio è assolutamente fittizio: ma è comunque una storia vera. È lo stesso discorso che possiamo fare quando abbiamo a che fare con le leggende: non sono vere perchè accadute veramente, ma per le dinamiche interne e il significato che racchiudono. La Janara che rapisce i bambini non esiste e non è mai esistita, ma è una figura allegorica, in questo caso il peso di un tradimento che erode il futuro: la Janara in sé è opera di finzione, ma la sua rappresentazione è più vera che mai!

Come mai buttarsi nell’horror, genere così poco frequentato in Italia? Pensate di aver individuato un pubblico o è puro amore per il genere?

È stato un insieme delle due cose. Si era individuata una storia molto particolare e poco raccontata se non tramite altri media, ma comunque in maniera molto ridotta. A questo comunque va aggiunto anche l’amore per il genere horror, ma più in definitiva l’amore per il cinema di genere. Sia chiaro che non voglio entrare in polemica, ma è pur vero che le produzioni italiane non vedono di buon occhio il cinema di genere se non quando si parla di commedia, non parliamo poi delle produzioni indipendenti. Ecco, io credo che ci sia stata la volontà, prima di ogni altra cosa, di voler realizzare un buon prodotto di cinema di genere e dare spazio a storie quanto meno sconosciute ai più. L’horror in fin dei conti è stato più una necessità visto il soggetto: l’idea di una Janara con elicotteri ed esplosioni non mi entusiasmava!

Una strega, una leggenda contadina, un paesino del Sannio. Janara ha molti temi al suo interno. Il primo è quello classico della donna, dea e strega. Che ne pensi? Ci fingiamo un paese moderno, ma la nostra anima è ancora legata a quello stereotipo di femminilità?

Volendo questo è un discorso molto ampio, quindi cerco di sintetizzare il più possibile! Per quanto riguarda la figura della Janara, non è altro che un’evoluzione della figura atavica della sacerdotessa della natura. Nelle leggende la donna è sempre collegata al mondo magico, proprio per la sua capacità di dare la vita. Nei secoli questa idea che le donne avessero potere è rimasta, ma è cambiata la reazione: non più di adorazione, ma di paura. Alla fine la vulgata è sempre la solita, le donne non possono avere potere e se ce l’hanno sono pericolose, quasi come se fossero una razza aliena imperscrutabile. Ma al di là delle leggende, chi erano le vere Janare? Donne che non volevano conformarsi, ma semplicemente avere una vita indipendente, essere artefici del proprio destino, sposarsi se e quando gli pareva a loro, avere figli o no e così via. E invece cosa hanno ottenuto? L’odio di tutti e l’obbligo a vivere lontane dalla “civilizzazione”. Per carità, oggi siamo anni luce da quella situazione, ma guardandomi intorno capisco che c’è ancora molta strada da fare. La donna vive con addosso il “macigno” del suo essere donna, è una discriminante con la quale deve sempre combattere per essere considerata prima di tutto una persona. Avanti, quanti di voi sentono ancora “donna al volante, pericolo costante!”? Ma cosa vuol dire? Che quando si nasce donna si ha un deficit dell’apprendimento? Sono SICURO che se un maschio non è bravo a guidare tutti inizierebbero a dire “eh, lui non è bravo”, ma basta avere due cromosomi X per vedere tutti partire con “ah, non sa guidare, perché è una donna!”. Ma perché prima di arrivare a quello, non passa per l’anticamera del cervello che forse lei come persona non sa guidare? Ieri come oggi, un uomo può essere assolutamente indipendente e responsabile delle sue azioni, mentre una donna deve prima sfondare questa barriera.

Il secondo tema è l’Italia contadina: un tessuto sociale che arriva dritto dritto dal medioevo, un legame con la terra fortissimo. Cosa pensi? E’ importante il legame con le nostre radici? E’ quel tipo di cultura che ci fa italiani, che ancora ci identifica?

Indubbiamente noi tutti arriviamo da lì ed è una grande parte della nostra cultura, specialmente perché rispetto ad altri paesi europei (limitando l’analisi ai paesi occidentali) non abbiamo mai avuto una fortissima borghesia e la nobiltà è comunque un mondo a sé. Ma dobbiamo stare attenti a dargli il giusto spazio, spesso l’idea del ritorno o comunque il legame al passato tende a trascinarsi dietro un odio assoluto per tutto quello che è moderno. Bisogna trovare un giusto equilibrio o per lo meno rinnovare il legame con quegli elementi positivi delle nostre radici, senza farci influenzare da aspetti che la modernità ha indubbiamente migliorato. Ben venga un ritrovato senso della comunità, ma farei volentieri a meno dell’idea che chi nasce contadino debba morire contadino.

Il Sannio, territorio cinematograficamente poco frequentato: cosa vedremo? Boschi, montagne, solfatare?

Sicuramente boschi e qualche montagna, ma l’intero film è per lo più ambientato a San Lupo e Guardia Sanframondi, piccoli paesini del Beneventano. Dopotutto i nostri personaggi principali sono delle normalissime persone, che vivono una vita banale rinchiudendosi nelle loro case dove tutto sembra razionale e ordinato. Ma già lungo la strada si intravede il bosco e sullo sfondo vediamo quelle aride montagne erose dal vento: quello è il mondo magico e misterioso della Janara. Inutile dire che questi due mondi dovranno collidere e come avete capito la cosa non è esattamente indolore. 

E’ il tuo primo film, la produzione è appena nata: presentacela. Chi è la Vargo Film?

Inizialmente era solo Imago Produzioni e si occupava per lo più di realizzare spot o riprese per dei programmi televisivi dal tono documentaristico. Ma Alessandro Riccardi, il titolare, ha sempre avuto il sogno di fare cinema, così hanno realizzato vari cortometraggi per “farsi le ossa” e l’ultimo loro cortometraggio è stato Margerita che ha vinto ben 77 premi tra i vari festival a cui ha partecipato: quindi le ossa erano pronte per qualcosa di più grande. Vargo Film è nata principalmente dalla fusione di Imago e Centro Sviluppo Neapolis di Gianluca Varriale. Attualmente l’obbiettivo di Vargo Film è proprio quello di specializzarsi nella realizzazione di film di genere.

La sceneggiatura porta la firma anche di Alessandro Riccardi. Puoi spiegarci come avete portato avanti il processo di scrittura?

Dopo i primi incontri e sopralluoghi, abbiamo principalmente lavorato a distanza. Io scrivevo un documento completo (che esso sia stato il soggetto revisionato, il trattamento o la stessa sceneggiatura) e inviavo tutto ad Alessandro. A quel punto si discuteva sulle possibili modifiche da apportare oppure su come cambiare delle parti che semplicemente non funzionavano. Ma in definitiva è stato un processo molto fluido ed entrambi eravamo pronti a rivedere la nostra posizione, se dall’altra parte c’erano della argomentazioni solide.

Quanto è cambiato il copione sul set rispetto allo script? Per quali ragioni?
Questo credo succeda sempre, anche nel cortometraggio girato nel giardino di casa. Alcuni cambiamenti sono stati effettuati per ragioni produttive; una delle prime scene doveva essere realizzata in centro città, ma invece è stata trasportata dentro una location interna. Altre scene, invece, sono state leggermente modificate per quanto riguarda i dialoghi, ma si sa, è un po’ il mestiere degli attori quello di masticare le battute e renderle proprie. I cambiamenti, a mio dire, più drastici sono stati fatti per scelta registica: è stata cambiata l’intenzione di un attore in una sequenza perché il regista trovava più forte una scelta alternativa. Ma l’intreccio del film è rimasto fedele a se stesso e non si sono persi pezzi per strada! 

Ci regaleresti la scena più bella del copione? Potresti anche commentarcela?

Ho un po’ il terrore di spoilerare! E le parti che considero più belle sono degli snodi abbastanza centrali nella trama, una scena singola non è il caso… ma una sequenza sì!

(Leggi la sequenza di Janara)

Come sicuramente avete capito, questa è una sequenza classica di qualsiasi horror. Avevamo bisogno di questa scena per far percepire la pericolosità della Janara, la sua connessione con la protagonista e seminare un’azione che verrà ripresa più avanti.

Buona parte degli elementi che vengono utilizzati sono ripresi da altrettante leggende sulla figura della Janara o la storia del paese in cui ci troviamo!

Il ponte sul fiume esiste veramente ed è lì a San Lupo, il bassorilievo pure (anche se è una fontana in città). L’acqua è un elemento ricorrente in molte leggende delle Janare, così come il bosco e la luna (sapevate che la versione maschile della leggenda delle Janare è il lupo mannaro?). Idem per la questione dei capelli, esattamente come per Sansone, nelle leggende i capelli sono la sede della forza vitale e stringere i capelli di una Janara con “ferro e acciaio” è l’unico modo per catturarla. E buona parte degli elementi presenti nella storia non sono altro che un’unione di più leggende sulla figura della strega di Benevento: così da creare una vulgata che le racchiuda tutte.

Ma non bastavano questi elementi simbolici, dovevamo fare paura e farlo con pochi soldi. Mi sono ricordato di un sogno che avevo fatto e mi aveva terrorizzato: ero disteso sulla mia schiena e non mi potevo assolutamente muovere da terra, mentre attorno a me si muovevano le persone come nulla fosse. Questa sensazione di “impotenza” era molto rappresentativa di Marta in un momento della storia, ma avevamo bisogno di una minaccia.

Ed ecco le mani che si protendono, senza riuscire a capirne l’origine et voilà: il cervello ti urla di scappare da un qualcosa che non riesci a capire.

Cosa pensi della situazione del nostro cinema in questi anni?

La parola che mi sento di usare è “stagnante”. Salvo delle mosche bianche, mi sembra di vedere sempre le stesse cose ripetute allo sfinimento. Sappiamo tutti che il semplice stare a galla non funziona, anche perché basta un niente per annegare. Non voglio addentrarmi troppo in una discussione di cui faccio parte da poco e, alla fine, non conosco del tutto, ma se devo dare un parere da ignorante sulla cosa, credo che il cinema italiano dovrebbe guardare un po’ più oltre le Alpi e non mungere sempre le stesse mucche: prima o poi si stancano e il latte non ce l’hai più.

Sei il Ministro della Cultura: in che settore del cinema butteresti tempo e denaro? Una nuova legge? Più mercato? Più distribuzione?

Riprendendo la risposta data prima, investirei più energie possibili nell’incentivare quei prodotti realizzati con un’ottica di distribuzione per lo meno europea. A meno che come Ministro della Cultura non possa buttare giù un piano per aumentare la natalità, la soluzione più immediata, e forse legale, è quella di spingere per aumentare il bacino di utenza, così da poter incrementare le risorse dell’intero settore. Questo comunque non significa che dobbiamo snaturarci, dopotutto l’essere italiani non si ferma a battute dialettali troppo difficili per essere tradotte, e nemmeno di lasciare completamente perdere il mercato interno. Forse basterebbe concentrarsi sul realizzare più prodotti di genere (ok, sto portando l’acqua al mio mulino, lo so!) che sono infinitamente più fruibili anche da un pubblico internazionale. Ma sono sicuro di una cosa: quando ci sono più soldi, c’è più spazio per la diversità. 

Come sceneggiatore cosa pensi della Guild? Dove fa e dove dovrebbe fare.

Purtroppo io sono veramente un novellino del campo della sceneggiatura e non mi è ancora possibile dire che quella è la mia unica professione, questo mi porta a concentrarmi su altri campi. Ma anche se non seguo assiduamente tutto quello che fa la Guild vedo che tutti si impegnano moltissimo per migliorare la condizione degli sceneggiatori in italia e creare l’idea che è una vera professione. Se proprio devo dire una cosa che potrebbe fare “in più”, magari è il puntare sulla visibilità, sul farsi conoscere non solo da chi già lavora da anni, ma anche da quelli che si approcciano per la prima volta al settore. Dopotutto se s’inizia a formare chi verrà dopo di noi, sicuramente stiamo formando il futuro (e lo dico senza voglia di far retorica).

Nuovi progetti in cantiere?

A livello di scrittura non molto. Se ricordate io avevo in mano un biglietto per Bologna, un trolley e una videocamera. Bene, la videocamera mi serve perché ora sto lavorando come Videomaker a Bologna. Dopotutto è un lavoro che mi permette di continuare a lavorare con le storie e preferisco infinitamente Bologna a Milano! Sto pensando di riesumare dei miei vecchi progetti e di lavorare con due collaboratori che vivono qui a Bologna, ma è meglio non scucirsi troppo, porta male!

Grazie mille e in bocca al lupo per i progetti futuri.

Grazie, e anche a voi di WGI!

L’intervista è a cura di Mario Olivieri

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.

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