L’Eredità di Vali Myers: un romanzo e un sogno cinematografico
In questa intervista la nostra socia Chiara Centioni, ci accompagna nel suo affascinante mondo creativo, svelando i retroscena del suo romanzo “Cara Vali,”. Il libro, edito a fine maggio 2025 da Castelvecchi, è un’intensa lettera d’amore alla libertà creativa che esplora la figura della ballerina e pittrice Vali Myers e il profondo legame che unisce due vite straordinarie.
Carissima Chiara, il tuo libro Cara Vali, è presentato come un romanzo autobiografico che esplora la figura di Vali Myers. Quali aspetti della vita e dell’arte di Vali Myers ti hanno spinta a intraprendere questo percorso autobiografico?
Cara Vali, è un romanzo che intreccia la mia vita a quella dell’artista australiana Vali Myers (1930-2003), raccontando il rapporto che mi lega a lei. In realtà il progetto non nasce come autobiografico ma lo è diventato, diciamo, per disperazione. La storia di Vali è stata, infatti, la sua più grande opera d’arte – a diciotto anni si è trasferita a Parigi vivendo con gli esistenzialisti, a trenta, in un canyon selvaggio a Positano circondata da decine di animali, a sessanta, al Chelsea Hotel di New York e, a settanta, è tornata in Australia – e mi ha così colpita da farmi desiderare di trasformarla in un film.
Sono undici anni che raccolgo materiale su di lei e otto che perseguo l’intento di realizzare un lungometraggio che la veda protagonista, tra picchi altissimi (sono riuscita a far leggere la sceneggiatura a Bertolucci e a farla opzionare da un grande produttore americano… per un periodo) e tracolli clamorosi. Questo libro è la sintesi di questo viaggio, il viaggio emozionante, accidentato, gioioso, creativo, disperato, delirante che la maggior parte dei filmaker si trova a dover affrontare prima di riuscire a portare i propri progetti sul grande schermo.
Nel romanzo, tu, come Chiara, abbandoni “certezze borghesi per inseguire un sogno ossessivo: raccontare la vita di Vali Myers”. Puoi descrivere il momento o l’esperienza che ti ha spinta a fare questa scelta radicale?
La decisione di raccontare certe storie non è una vera e propria decisione: sono loro che ti scelgono. Io non ho potuto fare altro che rendermi strumento della storia di Vali e metterle a disposizione, letteralmente, la mia vita: ho lasciato il lavoro e la città in cui vivevo, mi sono trasferita a Roma, ho cominciato a studiare sceneggiatura e a capire come funzionasse questo settore, ho litigato con la mia famiglia, ho perso e investito tanti soldi, ho viaggiato in ogni angolo di mondo in cui avessi la speranza di incontrare suoi amici o familiari (Svizzera, NY, Francia, Australia…). Ma non saprei dire il perché. Un innamoramento non si spiega, si sente e basta.
Il testo afferma che il libro è “una lettera d’amore alla libertà creativa”. In che modo la storia di Vali Myers e il tuo viaggio personale in questo romanzo invitano i lettori a trasformare la propria esistenza in un’opera d’arte?
Prima di conoscere Vali, purtroppo non di persona dato che era già morta, vivevo una vita conforme alle aspettative della società e della mia famiglia, che non avrebbe mai accettato che facessi un lavoro creativo – la creatività mica è un lavoro! Vali invece non si è mai piegata a compromessi ed è stata sempre così fedele alla propria natura da spingermi a fare altrettanto. È vero, ho perso la maggior parte delle mie sicurezze, ma per la prima volta sento un allineamento tra ciò che sono e ciò che faccio. La mia speranza è che Vali ispiri i lettori a fare lo stesso: “la creatività inespressa diventa follia”.
Vali Myers sostiene che “Il centro della vita è femminile” e che la creatività di sua madre fu soffocata. Come si riflettono o si elaborano queste affermazioni all’interno del tuo romanzo e nel tuo viaggio personale?
Vali era del 1930 e all’epoca dalle donne ci si aspettava che abbandonassero ogni velleità e si concentrassero sulla famiglia; sua madre, una violinista, fece proprio questo: accantonò la musica per dedicarsi ai quattro figli. Vali era terrorizzata di fare la stessa fine e si trasferì in Europa per concentrarsi sulla danza e sulla pittura, affermando: “Un’artista dovrebbe dare tutto il suo sangue alle proprie opere”.
Per quanto i tempi siano cambiati, tutt’ora una donna che persegue una carriera artistica (e dunque con scarse tutele) si trova a dover scegliere tra lavoro e maternità o a dover fare i salti mortali per conciliare entrambi – a tal proposito consiglio lo splendido libro Mamme nell’arte di Santa Nastro.
Nel mio caso vivo i miei progetti come figli. Giusto o sbagliato che sia, per me anche questa è una forma di maternità.
Il libro esplora il concetto che “la vera vittoria non è evitare il fallimento, ma accogliere il precipizio”. Puoi condividere un esempio concreto di come questa lezione si sia manifestata nel tuo percorso durante la scrittura di Cara Vali,?
Parafrasandolo, Osho dice che gli esseri umani fanno di tutto per blindarsi dietro quante più forme di sicurezza possibili (mutui, assicurazioni, matrimoni, contratti…) per poi lamentarsi che la vita non li stupisce.
Lasciare tutto per lanciarmi nella folle impresa di raccontare Vali e altre storie straordinarie (sto lavorando a svariati progetti), mi ha portata spesso a essere sopraffatta dalla paura ma, per citare un mio amico: “leap and the net will appear”. Ovvero, salta e la vita ti viene in soccorso. E per me è stato ed è tuttora così: ogni volta che mi sento persa, arrivano un lavoro inaspettato o un incontro speciale che mio aiutano a riprendere quota.
Un esempio concreto.
Non avendo un agente letterario non sapevo come riuscire a far pubblicare il romanzo. Le case editrici a cui l’ho mandato non mi hanno mai risposto e stavo perdendo fiducia fino al giorno in cui un’amica mi ha presentato una donna conosciuta per caso in una serata. E questa donna è diventata la mia editor, Mariacarmela Leto.
Tu hai un background diversificato, dalla recitazione alla conduzione televisiva e alla regia di cortometraggi. Come queste diverse esperienze professionali hanno arricchito la tua prospettiva e il tuo stile nella scrittura di questo romanzo?
La mia editor mi ha fatto riscrivere il libro daccapo: era troppo patinato. Ora è un’autentica rappresentazione della mia vita: nel bene e nel male, soprattutto.
E con male mi riferisco anche al mio percorso di studi e lavorativo, che per anni ho giudicato troppo sconclusionato e contaminato rispetto alla vocazione sacra di lavorare nel cinema. Ora, però, tutto ha un senso, anche la laurea in architettura presa per fare contento mio padre (le dinamiche necessarie a realizzare un film sono simili a quelle necessaria a tirare su un palazzo, un mix di di struttura, armonia, lavoro di squadra) e dieci anni di televendite: puoi aver un progetto bellissimo, ma se non sai come venderlo resterà nel cassetto. Avendo imparato prima a scrivere per un film che un romanzo, il mio stile è molto visivo e la scrittura procede per scene, quelle che immagino di inserire nel documentario.
È in preparazione un documentario ispirato al romanzo. Qual è la tua visione per la trasposizione di questa storia dal formato letterario a quello visivo, e quali aspetti del libro intendi mettere maggiormente in risalto nel documentario?
Il documentario a cui sto lavorando è una coproduzione internazionale Italia/Usa/Australia e segue il doppio filo narrativo del mio arco di rivoluzione personale e della storia di Vali attraverso le interviste e il materiale che ho raccolto. È un progetto al contempo sperimentale e poetico, caratterizzato da un forte realismo magico: si focalizza molto sulle coincidenze assurde che mi sono accadute da quando Vali è entrata nella mia vita e che spero che travolgano gli spettatori come hanno travolto me.



