Interviste

Un ricordo di Francesco Nuti

Il grande attore, regista e sceneggiatore toscano se n’è andato in silenzio lo scorso 12 giugno. Carla Giulia Casalini, sua storica sceneggiatrice e nostra socia, ci racconta della sua esperienza umana  prima ancora che artistica con lui,un gigante del cinema italiano.

Carla, ciao, come descriveresti la tua esperienza di lavorare con Francesco Nuti come attore e regista, ma soprattutto come sceneggiatore?

Lavorare con Francesco è stato tuffarsi nel vedere il film già realizzato, mentre lo scrivevi. Francesco recitava le sue battute, le calzava su se stesso con i suoi tempi e i suoi colori, inquadrava la scena e come la voleva girare. Il film era già lì. Questa era anche la sua forza. Era un gran professionista che sapeva cosa gli riusciva meglio e cosa no. Come sceneggiatore lasciava spazio, ascoltava anche perché c’era UGO CHITI con noi. UGO è un maestro, un vero drammaturgo, ha la sua compagnia di teatro e molta sensibilità. Ad ogni passo citava qualche grande della commedia americana, Frank Capra il suo preferito, Billy Wilder… Francesco vedeva tonnellate di film ogni giorno, la sera, la notte, film vecchi, film recenti. Studiava le scene, capiva la tecnica. Quando uno di noi aveva un’idea, Francesco annusava subito quella che doveva seguire. E’ stato un periodo intenso, costruttivo, lunghissimo. Al di là dei luoghi comuni, Francesco non era un mondano e pensava al film che voleva fare continuamente.

Quali erano le caratteristiche distintive di Nuti come attore che ritieni abbiano reso i suoi personaggi così memorabili in “Il signor Quindicipalle”, “Io amo Andrea” e “Caruso Zero in Condotta”?

Come attore Francesco incarnava l’amico che si è perso di vista. E che poteva esser diventato chiunque: un dentista, uno psicologo, un giocatore di biliardo, un contadino, un ladro o un miliardario. Il pubblico lo sentiva vicino perché ha sempre interpretato personaggi che vivevano cose che potevano accadere a tutti. In più Francesco era un bel ragazzo, un bell’uomo, quindi oltre a far ridere era credibile nelle sue storie d’amore. Quando lo vedi con Ornella Muti o la De Sio ci credi che abbia una storia con loro. O con Francesca Neri ci credi che sia il terzo elemento tra due donne gay che vogliono un figlio da lui, e lui non si capacita come maschio di essere messo in disparte. E’ molto interessante come Francesco abbia spesso scelto ruoli in cui rappresenta lo spaesamento del maschio di fronte all’emancipazione femminile, anticipando moltissimo la realtà.

Come è stata la vostra collaborazione nella fase di scrittura delle sceneggiature? C’è qualche momento particolarmente significativo che ricordi durante la creazione di questi film?

Per la scrittura ci vedevamo ogni giorno alle 15 nella sede della FILMONE, la sua società in Prati. E li insieme ad Ugo ci mettevamo a scrivere. Si parlava, si discuteva e poi scrivevamo la scena, dopo aver seguito fedelmente i passi della scaletta, dello scalettone. Non si improvvisava, c’era tecnica e prese in giro, ovviamente. Lavoravo con due toscani lavorato sempre con loro. Mi ricordo di un film che appena finita la sceneggiatura abbiamo buttato nel cestino perché Francesco ha detto “Ma che abbiamo scritto ?!!!?” Era ambientato su una nave e lui era il comandante, era fissato con la scena dei cappelli che volavano in aria. Mi ricordo che sono andata a fare ricerca al Ministero della Marina dall’ ammiraglio dell’Amerigo Vespucci. L’abbiamo buttato e abbiamo ricominciato daccapo.

Quali sono stati i principali temi o messaggi che avete cercato di trasmettere attraverso queste storie e come pensi che Nuti li abbia interpretati sullo schermo?

Francesco non si chiedeva del messaggio che voleva mandare, il messaggio veniva fuori da solo. Certo ci sono delle tematiche che sono presenti in ogni film di Nuti. Il bambino che guarda come sei diventato, il rapporto con le donne, le relazioni di famiglia. Francesco registrava la vita, era già avanti forse troppo. Ha fatto film sul femminismo che irrompeva nella famiglia tradizionale, su una coppia di donne che voleva un figlio, su una bambina che era a capo di una baby gang. Ha anticipato di 10 anni BLING BLING di Sofia Coppola. Ma era nella prigione dell’attore comico: ti accettano solo se fai sempre la stessa cosa.

Nuti era noto per la sua abilità nell’interpretare personaggi complessi e vulnerabili. Come lo hai visto affrontare queste sfide nei film che hai scritto con lui?

Francesco è stato definito il malincomico, per questa aurea di malinconia che lo circondava e per i momenti sentimentali dei suoi film. Quello che la gente non sa è che Francesco era un talento puro. Aveva un talento istintuale, senza sovrastrutture. Ci era nato. La sua vita non è stata facile ma io spero che sia rivalutato proprio come regista. E’ stato un punto di riferimento per gli attori toscani. Era una persona perbene che non compiaceva nessuno, né salotti né politica. Era un attore di chiamata, il pubblico correva per vederlo e quindi l’industria lo vedeva come una gallina dalle uova d’oro e lo usato finchè portava miliardi. Poi, c’è stato il buio. E a quel punto è rimasto molto solo. Ti racconto una cosa, Francesco era timido. Entrava in relazione solo con i suoi fans, quelli che incontrava per strada e che gli davano del tu. Una volta abbiamo organizzato una festa di capodanno a casa sua, c’era il mondo intero. Bè, Francesco, quando ha vito tutta quella gente, si è andato a chiudere in camera da letto. Ora è libero di tornare a volare come ha volato nei momenti più belli. Era un creativo, non poteva vivere senza creare. Ho molta gratitudine per lui, mi ha insegnato molte cose, mi ha difeso perché sosteneva il suo clan e mi manca. Manca a tutti coloro che hanno lavorato con lui, dagli attori ai fonici, dal direttore della fotografia agli scenografi e ai costumisti. Non c’è uno come Francesco oggi.

L’intervista è a cura di Francesco Maggiore

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