Italia
 
Con questo contributo di Giancarlo Balmas,  WGI continua ad accogliere le riflessioni dei soci su ciò che avviene e che direttamente li coinvolge come sceneggiatori e come cittadini.

Centocinquanta la gallina canta

Centocinquanta milioni. Questa è la cifra su cui balla la discussione politica di questi giorni intorno alla Rai. Il Governo vuole tagliare i costi, i sindacati protestano e annunciano uno sciopero per l’11 giugno che il garante dichiara illegittimo. Nel frattempo in Commissione Bilancio al Senato viene confermato il taglio di 150 milioni a carico della tv pubblica, insieme alla possibilità di cedere quote dell’infrastruttura pubblica Raiway e di dismettere Rai World. Nello stesso tempo, però, è stato ammorbidito il comma sulle sedi regionali: dall’originaria formulazione che cancellava del tutto l’obbligo di una sede in ogni regione previsto dalla legge Gasparri, si è passati ad una formulazione che prevede redazioni e strutture adeguate in ogni regione, lasciando comunque all’azienda libertà organizzativa (come a dire che rimane tutto com’è).

UsigRai e Cisl, dapprima sugli scudi, rinculano, ci ripensano: forse lo sciopero non è poi così  necessario… Però Cgil e Uil non ci stanno e attaccano Renzi (“i centocinquanta milioni sono un pizzo chiesto alla Rai!”).  L’associazione dei dirigenti Rai usa parole meno corrosive e si dice disposta al dialogo (“non ci tiriamo indietro sui tagli, ma prima di tutto ci va un progetto condiviso.”). Nel frattempo il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, è già al lavoro sulla riforma della tv pubblica, nel tentativo di arrivare entro l’anno a nuove regole sul canone e all’avvio della discussione sul rinnovo della concessione che scade nel 2016. Tanta carne al fuoco, evidentemente. Con il rischio tutto italiano che si faccia solo un sacco di fumo.

Punti di domanda: il taglio di centocinquanta milioni è un mezzo di pressione per mettere alle strette “l’apparato” che si oppone al cambiamento? È davvero un primo passo verso la privatizzazione? Chi si oppone a questo taglio indiscriminato sta dalla parte dei conservatori? Vuole mantenere il carrozzone così com’è, con le relative clientele? L’UsigRai, i direttori, i giornalisti, i tanti dipendenti sono dei privilegiati che mirano solo a conservare lo status quo? A queste domande potremmo rispondere di sì, potremmo giurare di no, che le cose non stanno così, e avremmo ugualmente ragione. Nella partita che si sta giocando gli schieramenti sono indistinguibili, confusi. I conservatori sono accanto a coloro che vorrebbero la televisione pubblica più forte, libera e innovativa, come tra i riformatori vi sono coloro che approfittano della necessità di rendere agile ed efficiente la struttura produttiva della Rai, per creare nuovi equlibri a loro più convenienti. Non riusciamo ad immaginare quale impatto potrà avere sui lavoratori della Rai, sulle maestranze, sugli impiegati, la decisione del Governo di distogliere una cifra così ingente dal bilancio dell’Azienda.

Di fronte a questo scenario, in cui è così arduo distinguere gli intenti virtuosi dalle manovre di bassa politica, possiamo soltanto esprimere un punto di vista relativo alla nostra esperienza professionale. Per esperienza, ad esempio, sappiamo che i produttori che lavorano per la Rai sono da molti anni sempre gli stessi. Sappiamo che alcuni di loro pur svolgendo un lavoro di bassissima qualità (anche dal punto di vista del ritorno economico) continuano a lavorare per la Rai. Sappiamo che la Rai non ha nulla da obiettare se i contratti che i produttori ci sottopongono contengono clausole vessatorie. Come sappiamo che è del tutto disinteressata quando questi contratti non vengono onorati dai produttori. Sappiamo che molto spesso le scelte che riguardano i cast delle fiction televisive non hanno nulla che vedere con le capacità effettive degli attori scritturati. Sappiamo che per sottoporre un progetto in Rai bisogna conoscere qualcuno. Sappiamo che in Rai, e in generale in questo Paese, il lavoro intellettuale è quello in assoluto meno riconosciuto e meno pagato. Sappiamo che per questi motivi la qualità delle fiction italiane è di norma molto più bassa di quella europea o americana, o brasiliana, o israeliana, o coreana. Sappiamo che il cambiamento necessario riguarda il livello dirigenziale. Sappiamo che un taglio del budget di centocinquanta milioni, la dismissione di qualche sede regionale e la vendita di una quota di RaiWay sono operazioni economiche/politiche che difficilmente produrranno effetti sulla libertà e sulla qualità del lavoro, sull’etica professionale, sulla capacità della televisione pubblica di restituire l’immagine del Paese, di far riflettere sui temi più rilevanti e di stimolare la crescita culturale di cui abbiamo bisogno per aprirci finalmente a nuovi orizzonti.

Giancarlo Balmas (WGI)

Ndr: il 18 giugno Antonello Giacomelli è stato audito dalla Commissione di Vigilanza.