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Debuttare alla regia ai tempi del lockdown

Daniele Falleri racconta l’esperienza di “Dietro la notte”

Dal 28 aprile su Skycinema è disponibile il film “Dietro la notte” scritto e diretto da Daniele Falleri, interpretato da Stefania Rocca, Fortunato Cerlino e Roberta Giarrusso. Abbiamo sentito il nostro socio, che ci ha raccontato la storia e lo sviluppo di questo progetto.

E’ un film ambientato in una notte, a parte le prime scene che sono al tramonto, e le ultime all’alba del giorno dopo. La storia avviene tutta al calar delle tenebre, e l’arco narrativo è lungo quasi quanto la permanenza dello spettatore in sala, in contemporanea agli eventi. Ho voluto raccontare fino a che punto può arrivare una persona apparentemente normale con una vita nei limiti della legalità, nel momento in cui trova calpestata la propria aspettativa di felicità. Sono due sorelle, Marta (Stefania Rocca) e Giulia (Roberta Giarrusso), che hanno subìto dieci anni prima un dramma familiare forte con la perdita del padre, ucciso in una rapina. Ricostruendo le spese processuali, arrivano a scoprire chi è il colpevole, e scelgono un’altra via rispetto alla giustizia tradizionale. Il sottotitolo potrebbe essere: Niente è come sembra. Proprio perché tutti i personaggi, nel corso della storia, si trasformano in maniera inaspettata.

La tua poliedricità ha spaziato negli anni, dal teatro alla televisione. Come definiresti questa tua prima incursione sul grande schermo?

Il percorso che sto facendo adesso, visto da fuori, può apparire anomalo e particolare. Ha una sua logica dentro che, forse, riconosco solo io! Parte da una grande passione, o meglio da un’ossessione: quella per la scrittura.

Da ragazzino vedevo che gli altri, intorno a me, avevano altri desideri, mentre il mio era quello di pubblicare un libro. L’unica cosa che so è che scrivevo e scrivevo, e all’età di 13 anni il primo libro che ho letto è stato proprio “Il Diario di Anna Frank”, stranamente e casualmente, perché me lo ritrovai sul comodino della camera mentre ero in convalescenza a seguito di un incidente che mi aveva causato la rottura di una gamba. Dai 13 ai 19 anni, non ho avuto un solo giorno della mia vita passato senza scrivere. Mi sono imbattuto casualmente nella sceneggiatura di un cortometraggio in una scuola di cinema di Firenze, visto che studiavo per diventare interprete parlamentare, negli anni universitari. Mi resi conto che vi era una vitalità fino ad allora sconosciuta, e parallelamente portavo avanti la scrittura teatrale e cinematografica. Negli anni di studio matto e disperatissimo della mia formazione, ho avuto dei maestri americani dell’Actor’s Studio col metodo di Lee Strasberg. Parallelamente, cominciai a scrivere delle cose per il teatro, e il mio primo testo teatrale ha vinto dei premi, venendo tradotto in quattro lingue. Per il cinema invece, il mio primo cortometraggio fu selezionato al Festival di Venezia. Mentre alla televisione sono approdato non con mie opere, ma per supportare e dirigere degli attori.

Queste due strade, teatrale e televisiva, sono andate avanti sempre insieme. Dal 2000 non mi sono fermato un attimo. Facevo l’editor ed ero presente sul set per mesi e mesi, come è capitato per la serie Mediaset “Carabinieri”. Per fare questo “salto” nel cinema, mi sono reso conto che dovevo rallentare con i ritmi televisivi e prendermi del tempo.

“Dentro la notte” è narrato in un arco temporale ristretto. Nel cinema spesso si sono scelti spazi e tempi circoscritti. E’ un limite o un punto di forza secondo te?

L’arco temporale lo richiede la storia, non c’è uno schema preciso. Quello che è successo a me, può capitare a chiunque, e ogni sceneggiatore parte da un suo metodo. Le mie storie partono sempre da un frammento, da un’interazione fra due personaggi, o da qualcuno che fa qualcosa. Se i personaggi cominciano a muoversi, mi danno delle idee e m’impediscono di pensare ad altro. Lì capisco che c’è qualcosa che devo mettere a disposizione per seguirli. La storia che stavo raccontando, richiedeva la necessità di un tempo ristretto con un ritmo molto forte. A quel punto ho deciso di far svolgere tutto nell’arco di una notte. Ho stabilito il fatto che il film dovesse essere un film di genere, cioè un thriller. E’ un thriller contaminato perché ci sono dei personaggi che sono sotto mentite spoglie e rappresentano il mio marchio di fabbrica. Questo tratto è un’eredità della mia esperienza nell’ambiente teatrale.

Fortunato Cerlino ha alle spalle una solida formazione teatrale ed è entrato nell’immaginario collettivo come Don Pietro Savastano nella serie di “Gomorra”. Diversamente Stefania Rocca viene prevalentemente da una lunga carriera nel cinema. Perché hai scelto loro? Hai pensato che la loro presenza insieme potesse funzionare?

Fortunato Cerlino e Stefania Rocca sono due attori che hanno un percorso diverso, ma la loro costante è che sono degli attori con la A maiuscola, questo è evidente. Cerco io stesso di trattarli e considerare la loro professionalità a 360 gradi.

Mi era capitato di incontrarli in altre situazioni, più istituzionali, ma comunque ho notato che avevano un’adesione forte al personaggio che avevo immaginato per ognuno di loro, per cui è stato naturale chiedere un incontro. La sceneggiatura era stata inviata ai loro agenti, che avevano pensato che fosse qualcosa d’interessante, e tutti e due hanno accettato di incontrarmi, separatamente. Ho riscontrato sia in Fortunato che in Stefania, un’attenzione accurata e professionale verso quello che avevo inviato loro. Avevano capito il film, e nella lettura del copione immaginavano e suggerivano alcune sfumature sui personaggi. In passato ho avuto a che fare con attori che erano solamente dei personaggi popolari e non avevano fatto alcuna giornata di set, e ho lavorato molto a lungo con attori del calibro di Franca Valeri, Nino Manfredi e Paolo Villaggio. Anche i mostri sacri hanno la necessità e la capacità di confrontarsi, per capire se quello che stanno facendo, è corretto.

In questo progetto hai rivestito il doppio ruolo di sceneggiatore e di regista. Pensi dunque che i due ruoli possano coesistere?

Sono uno sceneggiatore al 100% e scrivo cose che possano entusiasmare un attore o un’attrice nell’interpretarli, oltre a valutare la fattibilità di una scena dal punto di vista registico. Dopo l’iniziale preparazione del film, purtroppo lo sceneggiatore “scompare”, e proprio per questo rispetto moltissimo il lavoro degli altri.

Porto ancora addosso le cicatrici della scrittura teatrale, dalla quale ho imparato che se sei tu il regista, puoi dare la tua impronta personale, altrimenti no. Se il regista è un altro, devi aspettarti che possa stravolgere totalmente il tuo punto di vista. È un’idea cui bisogna abituarsi, anche se talvolta è difficile da accettare.

Siamo in un momento storico in cui le piattaforme la fanno da padrone. Come controlli le visualizzazioni del tuo film?

Ho capito che la situazione è caotica, e l’altro giorno sono stato alla SIAE per chiedere come “controllare” l’utilizzo del film. Negli anni ho avuto a che fare con le piattaforme perché alcune serie a cui ho lavorato, passavano in replica dalla tv generalista alle piattaforme, e in questo caso si riceveva una percentuale, ogni qualvolta vi era una replica. Diversamente, se il prodotto iniziale era concepito esclusivamente per una piattaforma, in quel caso le percentuali erano decisamente irrisorie. Nella prima settimana siamo entrati nella top ten di Sky, e dopo direttamente al terzo posto, diventando il film più scaricato. Sono tornato alla SIAE, e mi hanno detto che avrei percepito i compensi dopo un anno dalla stessa. Che cosa significa essere terzi su quella piattaforma? Effettivamente mi sono posto la domanda. Avrò un resoconto da Sky sul periodo in cui il film era a pagamento, e da questo punto di vista, posso ritenere di essere ancora in una fase esplorativa sull’argomento.

“Dietro la notte” è arrivato su SkyCinema senza passare dalle sale (che nel frattempo avevano appena riaperto). Vista la drammatica situazione sanitaria, era l’unica strada percorribile?

Non era più la strada percorribile, ma era diventata una scelta. Non so se sia stata quella giusta, ma se tornassi indietro prenderei di nuovo la stessa decisione. Il film era pronto a settembre, e con Fenix Entertainment, avevamo preso degli accordi per far uscire il film nelle sale con Raicinema. I finanziamenti per l’uscita nelle sale servivano ad aiutare gli esercenti. A fine aprile, inizio maggio 2020, era fissata l’uscita originaria, ma per il lockdown era stato spostato all’autunno, con la decisione di farlo uscire nelle sale il 12 novembre. Tra l’altro sarebbe stato il periodo perfetto, al centro della stagione cinematografica. Ma a ottobre, dopo 3 giorni di promozione, ci eravamo fermati di nuovo. Alla fine si era deciso di far uscire il film sulle piattaforme, nello specifico su Sky, per non perdere i finanziamenti pubblici. Non sapevamo quando avrebbero riaperto le sale, e avevamo deciso di farlo uscire il 28 aprile sulla piattaforma, quando ci arrivò la notizia della riapertura delle sale il 26 aprile. Ovviamente ti starai chiedendo: sei pentito? Non ti nascondo che sarebbe stato il mio sogno, uscire al cinema con un’opera prima. Sul grande schermo, pagando il biglietto ogni giorno per due settimane e vedere la reazione del pubblico. Ma purtroppo bisogna tener conto dell’evoluzione della pandemia, che come sappiamo è mutevole, ma allo stesso tempo dobbiamo sperare di poter tornare a frequentare le sale in maniera spensierata il prossimo autunno. Preferisco un uovo oggi che una gallina domani, perché la “gallina” è comunque incerta, mentre l’”uovo” impedisce al film di invecchiare. Già ci sono delle cose all’interno della pellicola che possono apparire come piccoli anacronismi, ma che oggi, possono assumere un altro significato.

Con “No Script No Film”, Writers Guild Italia ha portato all’attenzione del mondo dell’audiovisivo italiano, la questione del ruolo dello sceneggiatore quale parte fondamentale del processo filmico. In poche parole senza lo sceneggiatore, il regista non va da nessuna parte. Sei d’accordo?

Sono molto d’accordo, infatti non solo la conoscevo, ma è una campagna che ho pienamente abbracciato anche sui social. Le storie sono fondamentali per i film, è come costruire un palazzo senza la struttura e le fondamenta, ma partendo dalla terrazza con le decorazioni, i mattoncini e la grondaia. Se il film è scritto bene, il regista può anche rovinarlo perché non l’ha capito come dovrebbe, ma se è scritto male, allora il regista può fare ben poco. Mentre, se è scritto bene, c’è una buona percentuale che diventi un bel film, ma la certezza matematica non la possiamo avere. Se la struttura è brutta, non verrà mai un bel film anche col miglior regista al mondo. Dalle scuole deve partire la conoscenza, ad esempio quando io mi presento: “Piacere sono lo sceneggiatore”, spesso mi sento dire: “Ah bene cosa hai fatto? Hai arredato?”, e io rispondo nuovamente: “No, ho scritto il film”, dall’altra parte di nuovo: “L’hai scritto? Perché si scrive un film?”.

Come docente di recitazione e sceneggiatura in un’accademia, provo a far capire questa cosa a chi si affaccia a questo mondo (e già sono una piccola élite) rispetto alla stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi. La sceneggiatura è uno strumento, e rispetto ad un libro o un romanzo, è molto diversa. La scrittura narrativa finalizzata ad essere letta, è differente, perché la sceneggiatura è un testo, magari scritto con la stessa passione, ma con delle tecniche diverse. Tutto quello che sarà trasformato in un film, dovrà essere (metaforicamente) bruciato. È qualcosa di effimero, una sorta di trait d’union, di essenza, come nel teatro. Sono molto attento alla sceneggiatura, ad insegnare il valore della scrittura. Non ultimo, è fondamentale per i produttori, io vorrei fare un corso ai produttori affinché amino leggere le sceneggiature. Un’altra tendenza diffusa oggi, è prendere qualsiasi romanzo scritto e tentare di ricavarne una trasposizione. Ma non tutti i romanzi sono fatti per diventare film, cioè non è obbligatorio e perché questo accada, non c’è una garanzia. Senza arrivare a questi estremi, nel mio piccolo insegno la bellezza della scrittura in generale e la scrittura cinematografica a tutti quelli che me lo chiedono.

L’intervista è a cura di Francesco Maggiore

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.