Interviste

Donnafugata

Il mood di un festival di cinema

Il 6 agosto scorso, nell’ambito della XIV edizione del Donnafugata Film Festival (1-7 agosto/3-11 settembre 2022) si è tenuto un incontro sul tema “Scrivere il cinema. La centralità dello sceneggiatore nella produzione cinematografica” organizzata dal curatore, il nostro socio Andrea Traina. Oltre a lui erano presenti sul palco Giorgio Glaviano (presidente della WGI), Antonietta De Lillo, Antonio Catania, Carlo Lo Giudice e Andrea Vernier che ci ha inviato questo contributo.
 

I dossi scarnificati dei muretti a secco, in un reticolo infinito di collane dal corallo bianco, dividono il mondo in porzioni, come a renderlo più gestibile. Dall’enormità alla dimensione della mano. Dal divino all’umano.

Sarà che il territorio è quello – quello degli dei. E questo conta, certo. Perché quando si parla di idee, l’atmosfera che respiri conta. Eccome se conta.

Metti il Festival di Pesaro, per esempio, dove si studiava, con i critici – quelli bravi. E poi Rimini, con quel vezzo delle novità, di chi sa cercare negli scaffali più lontani per mostrare poi quel che gli altri non han trovato… Ecco, a ripensarci, resta tutto. Ma prima ancora del cosa, resta altro. Di Pesaro resta quel mare, quell’aria da spiaggia vuota, pensosa. Fatta di solitudini intente a capirsi. Di Rimini invece resta quel bar, con Mario Bava che spiegava sardonico come costruire le astronavi usando la pasta Barilla… e quell’attrice allora giovanissima, bellissima, misteriosissima…

Insomma dei Festival, alla fine, rimane quello che hai respirato. Certo, i film visti, i dibattiti, le parole. Ma tutto, alla fine, si fonde. E resta quella parola ben chiara a tutti noi: il mood.

Il mood, lo sappiamo, è parte fondamentale in un film.  Pure in un racconto. E un Festival può e deve essere un racconto.

Dunque torniamo là, tra le schiene nude dei muretti che emergono dalla terra e la disseminano di file bianche fin dove l’occhio vede. Ed è l’ora del tramonto, con quella luce a cavallo tanto cara ai direttori della fotografia nell’epoca della pellicola, costretti ad enormi apparati di luci pur di avere quella temperatura colore che ora, lì, tra quei campi, imbrigliata tra muretti, alberi e terra battuta, tutto veste. Come per magia. E’ tutto regalato, questo pensi mentre fili in macchina verso la cima della collina. Quel ben di dio di bellezza, quel colore, quei tronchi avvinti in torsione a cercare il dio giusto a cui parlare. La Sicilia del sud est. Dove la luce si impasta d’Africa. Dove chi, come me, arriva dal nord viene scaraventato davanti alla forza degli dei.

Arrivi alla meta così, già vinto. Ma quando ti trovi davanti agli occhi la sede del Festival di Donnafugata ti arrendi del tutto: non è più la natura con il suo incantamento da divinità ancestrale a parlare – ma l’uomo. Perché il Castello di Donnafugata è una bellezza vera, ed è costruita dall’uomo.

Lo stupore ora è fanciullesco. Ed è con questa sospensione della credulità che entri nel mondo del possibile, dove alla bellezza del posto si somma la bellezza e la ricchezza di idee, spunti, possibilità di percorsi diversi sul cinema, nel cinema, attraverso e grazie al cinema.

Ed ecco il punto. I Festival sono sempre una scommessa. Di trame da costruire e restituire a chi viene. Di persone che vengano a vedere cosa proponi. Di personalità o professionalità che vengano a intagliare nel tessuto degli appuntamenti gli stemmi diversi che compongono il patchwork chiamato cinema.

Cinema: un nome che invoca un intero universo. Atmosfere, storie, bravure – e poi stupore, divertimenti, passione. Chi lo fa e chi lo vive. Il cinema – questo perenne circo, un caleidoscopio di umanità che chiama altra umanità per fare la cosa essenziale: condividere. Perché il cinema è condivisione. È passione collettiva.

La dimensione della festa è il modo migliore per trasmettere tutto questo. Una festa piena zeppa di vitalità, di risate, di sguardi felici e divertiti.

Questo è stato l’obiettivo del timoniere Andrea Traina, e questo si è visto e vissuto al Festival di Donnafugata, giunto alla sua XIV edizione. Perché si, ogni Festival ha la sua missione: per alcuni è il mercato, per altri la domanda sulla natura del Cinema, per altri… etc etc… E poi ci sono festival “felici”, la cui missione è semplice: raccontare e trasmettere la magia del Cinema. Qua, al Donnafugata Film Festival, la natura stessa del luogo e il modo di articolare le proposte presentate al pubblico indicano che l’obiettivo è stato raccontare e far vivere il Cinema. Tutto il Cinema – ed in tutte le sue parti. Compresa la sceneggiatura – a cui Traina ha dedicato una serata in cui far emergere la grande contraddizione: la sparizione di chi scrive. Lo sappiamo bene: senza sceneggiatori non ci sono storie – ma gli sceneggiatori sembrano sempre non esistere.

E di questo si è parlato, con sceneggiatori comparsi davanti al pubblico, palesandosi come fantasmi tridimensionali tra le mura del Castello.

Alla fine di una serata passata a discutere tra chi scrive, chi dirige e chi recita quel che è scritto, avevo chiaro in testa cosa sarebbe stato il mood che mi lasciava questo festival. Riconoscenza.

Questa è la parola giusta per descrivere il sentimento del ritorno alla macchina, nel ripercorrere il dedalo di stradine disegnate solo per far godere anche ai mortali la bellezza del paesaggio, di quel che l’uomo sa costruire quando si mette in gara con gli dei. Tipo fare del cinema.

Andrea Vernier