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Un western sulle rive del Po

Il nostro socio, lo sceneggiatore Fabio Natale, ha scritto insieme a Massimo Gaudioso, Anita Otto e allo stesso regista Michele Vannucci “Delta”, un lungometraggio che ha inaugurati quest’estate il Prix du Public UBS 2022, unico riconoscimento ufficiale (vinto poi da Last Dance di Delphine Lehericey) del Festival di Locarno 76 ad essere decretato dal pubblico di Piazza Grande. “Delta” racconta di una faida tra pescatori e bracconieri sullo sfondo del delta del Po, il fiume più lungo del territorio italiano.

 

Carissimo Fabio, “Delta” è stato presentato all’ultimo Festival di Locarno. Che impressione avete avuto da parte del pubblico?

Mi sembra che il film abbia avuto un buon riscontro. Personalmente, sono stato felicissimo che “Delta” abbia potuto contare su un’anteprima così vitale in un momento in cui la sala sembra perdere, nella vita distributiva di un film, quella centralità a cui eravamo abituati e, per quanto mi riguarda, profondamente legati. A Piazza Grande circa ottomila persone si riuniscono in strada per guardare un film insieme, condividere due ore di vita, storie, divertimento; penso che il cinema abbia bisogno di tutto questo. Non riesco a sopportare che un film si esaurisca in un consumo solitario sul divano di casa propria.

La pellicola è un western italiano tra le nebbie del Po dove lo scontro tra i due protagonisti, Osso (Luigi Lo Cascio) ed Elia (Alessandro Borghi) non lascia in campo un vero vincitore. Perchè questa scelta narrativa?

È difficile individuare un vincitore quando si innescano escalation di violenza come quelle raccontate nel film, perché l’odio spesso diventa ossessione, porta a perdere sé stessi. Tuttavia, non abbiamo preso a tavolino la decisione di raccontare che non esistono veri vincitori; volevamo raccontare dei personaggi. Personaggi che abbiamo immaginato, amato e che volevamo portare sullo schermo nella loro complessità, senza appiattirci su definizioni assolute come vincente o perdente, buono o cattivo.

Nel film Il Po, vero nucleo tematico e soprattutto ecologico della trama, appare come luogo di litigi tra pescatori e bracconieri. E’ per questo che avete scelto di ambientare lì la vostra storia?

Abbiamo scelto di ambientare la storia nel delta del Po perché, come in un western, il nostro delta rappresenta un territorio di frontiera dove la legge fatica ad attecchire. Nel suo essere di fatto un’incarnazione italiana della terra selvaggia, il nostro delta mette in scena lo scontro tra uomo e natura, ordine costituito e pulsioni individuali. Osso è un tecnico che lavora in una diga: cerca di manipolare la natura, di addomesticarla. Il suo viaggio lungo il fiume è un confronto con la wilderness, con il selvaggio non solo esteriore, ma anche quello che ha dentro. È per questo che la nostra storia è ambientata lì.

Com’è stata la collaborazione del vostro team di sceneggiatura con la regia?

Penso che abbiamo collaborato bene in una situazione complicata, perché l’inizio del mio coinvolgimento ha coinciso praticamente con il primo lockdown, e doversi limitare a incontri in call nella fase iniziale di un progetto è riduttivo, perché si tratta di un momento di condivisione molto delicato, in cui ci si mette in gioco e si cerca di sintonizzarsi tutti su una stessa frequenza emotiva. In questo caso, però, tutta la squadra si è dedicata da subito al film con grande amore e generosità, a partire dal regista Michele, a cui vanno buona parte dei meriti di questo entusiasmo diffuso. Ma ho sentito molto vicini anche la produzione, gli attori coinvolti; tutti, insomma. Già dallo sviluppo c’era uno spirito di squadra che ha annullato le difficoltà logistiche date dal momento storico difficile.

In una pellicola come “Delta”, dove il processo di scrittura è frutto di un vero e proprio lavoro di squadra, quanto è importante una campagna come “No Script No Film”, promossa da Writers Guild Italia?

Il riconoscimento della professionalità di chi scrive un film o una serie TV è importante al di là della singola pellicola, perché la scarsa attenzione prestata al ruolo dello sceneggiatore rispecchia ed alimenta una tendenza a sottovalutare l’importanza della sceneggiatura nella realizzazione e nel successo di un film e penso che questo porti a un impoverimento della proposta cinematografica italiana. Credo che la campagna di WGI sia un’iniziativa meritoria perché mette in luce un problema radicato, aiuta a sensibilizzare sul tema, ma penso anche che su questi argomenti sia necessario un intervento più radicale, che preveda accordi di categoria e clausole standard sui contratti degli sceneggiatori.

L’intervista è a cura di Francesco Maggiore

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.