TAIBALE
Docu-film tra verità storica e innovazione
Taibale è il nome di una bambina ebrea polacca, nata nel 1940, per complesse vicende sopravvissuta all’Olocausto, che oggi si chiama Antonieta, vive in Brasile ed è una delle più note e generose filantrope. Taibale è anche il titolo di un docu-film uscito in sala nell’autunno 2024 che ha raccolto moltissimi premi in giro per i migliori festival cinematografici e ha stupito e interessato per l’uso dell’AI a servizio della verità storica, tanto da essere definito un documentAI.
Il regista di Taibale è il nostro socio Gianni Torres, che qui ci svela il dietro le quinte della sua opera, che ha trasformato una biografia complessa in una narrazione avvincente e storicamente fedele. L’autore e regista illustra come ha bilanciato l’innovazione tecnologica con la rigorosa ricerca della verità. Spiega anche come la resilienza e l’empatia di Taibale abbiano plasmato il suo percorso di attivismo sociale, evidenziando il messaggio universale di cura per l’infanzia che il film intende comunicare.
Carissimo Gianni, cosa ti ha portato a trasformare una biografia così complessa come Taibale in una sceneggiatura coesa e avvincente che mantiene al tempo stesso la fedeltà sugli eventi storici?
E’ il compito nobile del Documentario: deve essere fedelissimo agli eventi storici ed alla verità, al tempo stesso avevamo la necessità di sorvolare le 8 decadi che ci separano da quegli eventi e lo abbiamo fatto attraverso la realizzazione di un documentario innovativo e sperimentale.
Questo ci ha permesso di rendere tutto più fresco e al contempo accostarci all’attualità attraverso un montaggio coeso ed una narrazione diretta e fluida che ci ha portato dal ghetto ebraico di Glubokie (Bielorussia) alle favelas di Sao Paulo (Brasile).
Sul discorso dell’intelligenza artificiale, come hai bilanciato l’innovazione tecnologica con la ricerca della verità?
La verità resta e deve restare inevitabilmente tale. Si raccolgono documenti, testimonianze, prove. Tutto deve restare inalterato, certificato e ben documentato. L’apporto dell’AI è stato in Animazione, ci ha permesso di creare spaccati emotivi di momenti mai documentati. La misura è fondamentale, l’equilibrio è tutto. Per noi il documentario prossimo e futuro sarà ibrido, la fiction invece sarà travolta dall’avidità delle produzioni che utilizzeranno sempre di più strumenti generativi di AI per risparmiare, mirando, come sempre, a guadagni stellari a scapito dell’intera filiera produttiva conosciuta fino ad oggi.
Quali aspetti in questo percorso di sopravvivenza e resilienza hai scelto di enfatizzare maggiormente nella sceneggiatura?
Sin dall’inizio della sua storia Taibale emerge come una bambina salvata. La domanda iniziale era: “Cosa può dare una sola bambina salvata all’intera comunità? La risposta è tutto! Ogni bambino salvato è una risorsa per il pianeta e Taibale dimostra sin da piccola una capacità rara di forza e resilienza. Una bambina ebrea polacca salvata dai Cristiani ed educata al Cristianesimo non ha sbandato, anzi, con determinazione ha cercato la sua origine e l’ha trovata. Successivamente, istintivamente, è diventata una delle più illuminate benefattrici del Brasile. Non si trattava quindi di fare giravolte, la storia di Taibale è chiara nel suo intento, ogni adulto ha il dovere di prendersi cura dei bambini perché ogni bambino può riservarci meravigliose sorprese ed insegnamenti indelebili.
Che arco narrativo ha la trasformazione di Antonieta con la sua dedizione all’attivismo sociale?
Da quello che emerge nel documentario è stato un percorso naturale. L’empatia sviluppata da Taibale sin da piccola è stata determinante per il suo percorso altruistico di vita. C’è un documento che ho trovato, è un diario di un salvatore di bambini che incontra casualmente la piccola Taibale in una casa lituana di profughi ebrei e annota la presenza di un altro bambino salvato dai nazisti ma terrorizzato. Entrambi erano stati rapiti per essere riportati nella comunità ebraica, Taibale però aveva colto prima del bambino l’amore che le stavano riservando i suoi salvatori e, senza che nessuno le avesse detto nulla, ha abbracciato il piccolo terrorizzato raccontandogli di essere felice con gli ebrei.
“Sono tutti gentili, non avere paura” diceva al piccolo e lui, pur non conoscendola, smise di piangere, si lasciò convincere ed andò a letto tranquillo e sereno. Taibale era piena d’amore anche nei momenti più tragici della sua storia. Dall’orrore Taibale è atterrata nell’amore e ci è rimasta per sempre.
Il documentario è una coproduzione tra Italia e Brasile. Quali sono state le sfide e le opportunità di una collaborazione internazionale nel portare questa storia sullo schermo, specialmente considerando le diverse prospettive culturali?
La sfida principale era il budget, troppo basso. Il resto non è stato difficile. Il coproduttore, Cèsar Meneghetti, è un artista visuale e regista brasiliano che ha lavorato ovunque nel mondo. Io stesso ho realizzato altri documentari in varie parti del pianeta. L’obiettivo era di realizzare un film capace di essere seguito dall’Asia alle Americhe ed in effetti ci siamo riusciti, abbiamo ricevuto premi e riconoscimenti in India, Inghilterra, Grecia, Thailandia, Romania, North Macedonia, Bangladesh, Svezia, Olanda, Francia. Per un film documentario sperimentale ed a basso budget è stato un risultato sorprendente.
Quale messaggio o sentimento speri che il pubblico porti con sé dopo aver visto Taibale, e come hai cercato di instillare questo messaggio nella struttura e nel tono della sceneggiatura?
Il messaggio è la storia di Taibale, è lei a parlare per tutti. Chiunque abbia visto il documentatario, si è immedesimato in questa piccola bambina che ha vissuto il terrore, l’abbandono, lo sterminio. Ma poi non si è caricata di rabbia ed odio. Non ha voluto vendicarsi. No, lei ha scelto l’amore per il prossimo, e istintivamente ha deciso di aiutare i più fragili della sua nuova nazione, con circa 80 anni di azioni e iniziative solidali.

