IntervisteWGI si racconta

Fuochi d’Artificio

Marianna Cappi è la sceneggiatrice con Susanna Nicchiarelli della nuova serie RAI

“È un racconto di formazione, ma anche un family, e ad un certo punto fa capolino anche una dimensione epica”, così la sceneggiatrice Marianna Cappi descrive Fuochi d’artificio, la serie in sei episodi da lei scritta con la regista Susanna Nicchiarelli, in onda su Rai 1 il 15, 22 e 25 aprile in prima serata. La serie, tratta dall’omonimo romanzo di Andrea Bouchard, è il racconto dell’avventura di 4 ragazzi, tra i 12 e i 13 anni, negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, durante i lunghi mesi della Resistenza tra le Alpi piemontesi, al fianco dei partigiani in lotta contro il regime fascista e l’occupazione nazista.

WGI, di cui Marianna Cappi è membro, ha intervistato la sceneggiatrice per conoscere come è nata e come si è sviluppata la serie che narra la storia di Marta, ragazza dodicenne che nel ’44 vive in un piccolo paese delle Alpi piemontesi con i suoi nonni e con il fratello Davide di tredici anni. Marta sogna un mondo senza armi e più di tutto desidera vedere la propria famiglia di nuovo riunita insieme con il padre, la madre e il fratello maggiore Vittorio, tutti a loro modo impegnati nella lotta contro la dittatura fascista.

La serie è tratta dal romanzo Fuochi d’Artificio di Andrea Bouchard. Perché questa storia, cosa vi ha colpito e affascinato del romanzo?

Leggendo Fuochi d’Artificio io e Costanza Coldagelli, la produttrice esecutiva, abbiamo pensato subito che il libro si prestasse bene a un progetto di serializzazione, perché è un racconto d’avventura con diversi colpi di scena, un forte crescendo emotivo e uno sfondo storico  importante. Quando Susanna Nicchiarelli ha letto il libro, con i suoi figli, si è appassionata immediatamente all’idea di portarlo sullo schermo, e il progetto si è concretizzato. Ci sembrava inoltre che andasse a riempire un vuoto, in quanto non c’erano racconti cinematografici sulla Resistenza che parlassero anche ad un pubblico di giovanissimi. Il libro di Bouchard, che affonda nei racconti dei suoi famigliari che hanno assistito da bambini alla lotta di liberazione dai nazi-fascisti in Val Pellice, conteneva una perfetta porta d’ingresso a quel tempo e a quelle vicende: la tredicenne Marta, una ragazzina che sogna la pace e odia le armi, ma si rende anche conto che vivere senza libertà, sotto l’occupazione nemica, non è vivere ma sopravvivere. Questo conflitto interiore, che lavora nell’animo della protagonista dall’inizio alla fine, ci sembrava molto interessante da esplorare e sempre attuale. Inoltre ci piaceva il tono del libro, leggero ma non superficiale, attento alla vita interiore dei personaggi, in un momento di crescita e di formazione della loro identità.

Fuochi d’artificio vede protagonisti un gruppo di bambini in un periodo storico drammatico e significativo per l’Italia e per l’Europa, ma il racconto, pur non trascurando la tragicità degli eventi e senza negare un assoluto realismo, riesce a condurre in un mondo che ha la dolcezza della fiaba. Quanto è stato importante per voi far convivere insieme tutti questi elementi?

“i premeva molto fare in modo che il racconto, per quanto inserito in un contesto drammatico, mantenesse quella componente di speranza e d’incoscienza che è legata alla giovanissima età dei personaggi principali. Quella di Marta e dei suoi amici è una fiaba, a suo modo, ma la serie non sconfina mai nel fantastico. La dolcezza è negli occhi di chi guarda, vale a dire nel personaggio di Marta, che è pasticciona ma anche coraggiosa, pronta a tutto per le persone a cui vuole bene. Episodio dopo episodio, poi, i pericoli aumentano e i ragazzi vivono anche una tragedia che li tocca molto da vicino e li destabilizza profondamente. È un racconto di formazione, ma anche un family, e ad un certo punto fa capolino anche una dimensione epica: l’avventura del piccolo gruppo di adolescenti di un paesino sulle Alpi confluisce nell’avventura collettiva della Liberazione.

In fase di scrittura, nell’adattamento da un romanzo ad una fiction, ci sono alcune scelte obbligate che vanno fatte: tagli, modifiche, aggiunte. In cosa si discosta la serie dal romanzo e perché?

Abbiamo voluto restare il più fedeli possibili al romanzo di Bouchard, cercare di restituirne lo spirito e quel tono così particolare, ma chiaramente l’adattamento aveva le sue necessità, come quella di dare maggior spazio alle figure adulte dei nonni e di creare un tirante emotivo e narrativo forte, cosa che abbiamo fatto lavorando soprattutto sul personaggio di Matteo, il fratello più grande della protagonista, che all’inizio della serie prende la strada delle montagne. Matteo è l’affetto più importante di Marta, il suo modello: è per avere sue notizie che Marta si addentra in un’avventura più grande di lei. Il taglio più consistente riguarda invece il periodo che nel romanzo le due amiche, Marta e Sara, trascorrono a Portofino, dai parenti di Sara, per decisione degli adulti. A questo riguardo abbiamo scelto di fare un’ellissi, per mantenere il fuoco sul percorso principale. Un’aggiunta significativa è stata quella del personaggio della Nene, una partigiana adulta, l’unica donna della sua brigata. Per Marta diventa immediatamente una figura di riferimento, ma qualcosa le divide, perché la Nene ha abbracciato ogni aspetto della lotta, compreso l’uso delle armi. Ci serviva a ribadire il pacifismo di Marta, che non è solo frutto della paura ma è una convinzione profonda”.

Questa serie non è il primo progetto per cui lei collabora con Susanna Nicchiarelli, regista dalle caratteristiche molto peculiari e originali. Come è lavorare con lei e come è stato in particolare scrivere con lei questa serie?

Susanna è stata la prima persona che ho conosciuto quando sono arrivata a Roma per frequentare il Centro Sperimentale. Insieme abbiamo scritto un cortometraggio, La Madonna nel Frigorifero; siamo tornate più volte al CSC per insegnare; abbiamo fatto dei bellissimi progetti di cinema a scuola, con bambini e ragazzi. Lavorare con lei per me è sempre molto stimolante, perché Susanna è una perfezionista nel senso migliore del termine, è instancabile e appassionata e questo è essenziale, specie in un lavoro lungo come una serie. Ma la cosa più importante, è che abbiamo un senso dell’umorismo simile, ci fanno ridere le stesse cose. Può sembrare poco rilevante, ma non è così: è fondamentale”.

L’intervista è a cura di Vania Amitrano

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