IntervisteWGI si racconta

Sopravvissuti, una scommessa per RaiUno

La serie Sopravvissuti  (prima stagione, 12 episodi) è stata trasmessa in prima serata su Rai 1 dal 3 ottobre allo scorso 1º novembre. Diretta da Carmine Elia e prodotta da Rai Fiction, ZDF, France Télévisions e Rodeo Drive ha avuto un interessante processo di scrittura e di realizzazione,

Uno dei co-autori, il nostro socio Massimo Bacchini, ci racconta com’è nata questa serie sperimentale, che ha rappresentato una novità assoluta per gli standard della prima rete generalista.

Carissimo Massimo, da poco si è conclusa la programmazione su Raiuno della serie tv Sopravvissuti. Cosa vi ha ispirato nella stesura di questo racconto a più voci?

Innanzitutto due parole sulla genesi del progetto, anche se io sono “l’ultimo arrivato”. Il concept originale è nato addirittura nel 2015 all’interno del Master di Scrittura Seriale organizzato dalla Rai presso il Centro di Formazione di Giornalismo a Perugia. Era dunque il progetto sviluppato durante il corso da Sofia Bruschetta, Ivano Fachin, Giovanni Galassi e Tommaso Matano. Poi è stato opzionato da Rodeo Drive e successivamente attivato da Rai fiction. A quel punto siamo entrati in gioco Viola Rispoli come head writer, e io. Da quel momento, tutti insieme, abbiamo revisionato il soggetto di serie, ma il nucleo, l’idea originale è rimasta quella partorita dai quattro “ragazzi” al corso. Voglio sottolineare questa cosa perché secondo me la vicenda produttiva di Sopravvissuti è esemplare della modalità virtuosa in cui dovrebbero andare le cose nel nostro settore. Sappiamo tutti quanto è difficile avere visibilità, farsi ascoltare, specie se si è giovani e alle prime armi, e di come avere una bella storia spesso non sia sufficiente per ottenere la fiducia e il credito per portarla avanti. Ecco, in questo caso bisogna riconoscere a Rodeo e Rai la lungimiranza di averci creduto, e investito. A livello di ispirazione, posso dirti che in generale abbiamo sicuramente cercato di rifarci alle migliori serie internazionali, cercando quindi di pensare in grande, una cosa che secondo me è sempre salutare. Personalmente, poi, più che a Lost, di cui qui manca la componente soprannaturale, ho pensato a prodotti come Brothers, o Homeland, o a classici come Il signore delle mosche. 

Sia soggetto che sceneggiatura l’avete scritto a dodici mani, con Viola Rispoli, Sofia Bruschetta, Ivano Fachin, Giovanni Galassi, Tommaso Matano. Sono state più le divergenze o le convergenze nel narrare questi caratteri molto dettagliati?

Nella mia esperienza questa è stata una delle writers room più affiatate e ben amalgamate in cui mi sia capitato di lavorare. Lo dico senza piaggeria, perché lo penso davvero. I quattro autori del concept sono stati fin da subito molto aperti ai suggerimenti e alle proposte di noi altri, e Viola come head writer ha coordinato benissimo il gruppo, senza mai imporsi ma sempre accettando la discussione, il confronto, favorendo l’ascolto. Certo, intrecciare le vicende di tanti personaggi su due piani temporali non è stato facile, e devi mettere in conto anche, come sempre, le richieste della committenza. Ma devo dire che alla fine ogni confronto, anche quello più conflittuale, è stato benefico e produttivo. A livello pratico, abbiamo lavorato molto in collettivo fino alla stesura dei soggetti, che infatti sono firmati da tutti. Siamo arrivati a un tale livello di definizione di snodi e avvenimenti che alla fine dividerci le sceneggiature e scriverle separatamente è stato quasi una formalità.

Il progetto è nato all’interno di MIA Tv Drama Series Pitching Forum nel 2017 ed annunciato ufficialmente nella sesta edizione del Mercato Internazionale Audiovisivo nel 2020. Come mai è passato tanto tempo per lo sviluppo?

Come ti ho già detto, in realtà la storia è cominciata nel 2015! Io mi sono unito al gruppo nel 2017, quando ormai c’era la luce verde per andare avanti. I tempi lunghi un po’ sono stati fisiologici, perché era una storia complessa e come sai le revisioni, i cambi di rotta, gli stop and go caratterizzano questo lavoro. Nel caso di Sopravvissuti poi bisogna tenere conto del fatto che è stato il primo prodotto della cosiddetta Alleanza tra la Rai e i network francesi e tedeschi, il che di certo ha rappresentato un’opportunità ma ha anche reso la macchina più articolata.

Le Coproduzioni coinvolte, ovvero Rai Fiction, ZDF, France Televisions e Rodeo Drive che tipo di supporto hanno dato dalla prima all’ultima fase della serie?

Sulla primissima fase non so dirti molto. In generale però è stata la Rai, come capofila, ad aver fatto la parte del leone a livello editoriale. Noi ci siamo confrontati costantemente con loro, mentre con francesi e tedeschi ci sono state periodiche riunioni per ricevere le loro impressioni. Poi, chiaramente, l’effetto della coproduzione si vede nella composizione del cast e parzialmente anche nella scelta delle location. Anche queste però, che possono essere viste come limitazioni o imposizioni, abbiamo cercato di recepirle come stimoli. Ad esempio il fatto che il protagonista avesse una moglie francese dava una sfumatura in più al personaggio e alla sua famiglia. Questo vale anche per altri caratteri, come Alex e Léa: il non essere italiane ha accentuato il loro sentirsi sradicate e in difficoltà una volta tornate dal naufragio.

In un primo momento, Sopravvissuti era un prodotto concepito per Raidue. Come vi spiegate questo trasloco improvviso, anomalo e al tempo stesso coraggioso sulla rete ammiraglia della Rai?

Come linea editoriale e come budget, la serie è stata costruita per una destinazione, Raidue, che era sicuramente la più adatta a un prodotto che aveva l’ambizione di rappresentare qualcosa di diverso dal mainstream nostrano. A un certo punto in Rai, forse perché erano molto contenti del risultato, ha preso piede l’idea di questo trasferimento sul primo canale. Una scelta azzardata, sicuramente coraggiosa, ma che, come era prevedibile, si è scontrata con la difficoltà del pubblico tradizionale di Raiuno nel recepire una storia che per gli standard a cui è abituato risulta molto più complessa. Lo dico senza nessuna forma di snobismo o condiscendenza verso gli spettatori, ma è evidente che Sopravvissuti, pur con tutti i suoi limiti e difetti, ha scontato innanzitutto questa scelta di collocazione, che quindi non ha portato agli ascolti sperati. Il fatto che la Rai sia pronta a rischiare per cercare di svecchiare un po’ la rete ammiraglia lo trovo ammirevole, ma sarebbe bello che questo coraggio venisse portato fino in fondo e che quindi non si arrestasse di fronte all’arido dato dei numeri. Del resto l’auditel è un meccanismo sempre più datato, che fotografa una realtà ormai ben poco rappresentativa. E per fortuna adesso la Rai tiene conto anche delle visualizzazioni su Rai play, motivo per cui speriamo che un alto numero di contatti possa permetterci di concludere la storia con una seconda stagione, che fino a qualche mese fa veniva data per scontata ma che ora appare molto a rischio.

Una seconda stagione, almeno nelle vostre intenzioni, è già in programma. Ogni broadcaster deve tenere conto che senza una storia di base non si va da nessuna parte. Quindi vale sempre la campagna “No Script, No Film”, che proprio WGI ha contribuito a lanciare con grande attenzione?

Assolutamente sì. La centralità della scrittura è fondamentale, dovrebbe esserlo. Purtroppo in Italia siamo ancora ben lontani dal riconoscimento che la nostra categoria riceve ad esempio nel mondo anglosassone, ma non solo. Basti pensare a Israele. Nel nostro caso, però, devo dire che i committenti hanno sempre rispettato il nostro lavoro e tutto sommato ci hanno lasciato abbastanza liberi, almeno rispetto ad altre esperienze che ho fatto. Poi è ovvio che ci sono le diverse fasi produttive e l’intervento della regia, per cui il risultato finale non è mai esattamente come lo immaginavi. Il che non è un male in assoluto, anzi, perché questo mestiere fa parte di un’industria in cui la divisione dei ruoli secondo me è fondamentale. Ma di certo se anche da noi gli autori avessero un po’ più di voce in capitolo sulle scelte finali non sarebbe male. Concludendo, mi sento di poter dire che il caso di Sopravvissuti, nel suo piccolo, è rappresentativo della situazione attuale della fiction italiana, in cui da una parte si fanno dei tentativi di diversificare, dei passi avanti anche con coraggio, ma poi bisogna vedere se quel coraggio – e oserei dire: rispetto dello spettatore – viene portato avanti con coerenza al di là delle ragioni di share. Nel momento in cui decidi di lasciare aperte molte linee narrative alla fine di una stagione, non fornire allo spettatore che ti ha seguito fin lì delle risposte in un secondo capitolo sarebbe veramente un peccato.

L’intervista è a cura di Francesco Maggiore

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.