IntervisteWGI si racconta

Se potessi dirti addio

Inizia ad andare in onda in prima serata su Canale 5, il prossimo 29 marzo,  una serie tv in sei puntate, trasmesse – com’è abitudine dei canali principali delle generaliste italiane – in tre serate. Il titolo della serie è Se potessi dirti addio ed è frutto, come talvolta (o forse troppo spesso) capita, di una lunga gestazione autoriale: ci racconta della sua nascita e del suo sviluppo, il nostro socio Stefano Ceccarelli che firma sia il soggetto di serie che i soggetti di puntata.

Tu sei il creatore di questa serie insieme a Paola Pascolini. Ci racconti com’è andato lo sviluppo?

È partito tutto da una mia idea di qualche anno fa. Con Paola abbiamo scritto un concept e quando abbiamo saputo che Mediaset cercava una serie per Sabrina Ferilli gliela abbiamo raccontata; le è piaciuta, vincendo su altri progetti altrettanto validi.

Parliamo di tempistiche?

L’attivazione è partita a inizio estate 2019. Con Paola ho scritto altre cose e come per le volte precedenti c’è stata subito una intesa e una complicità che ha sempre travalicato il lavoro. Si trattava poi di una storia che abbiamo molto amato, un melò ma con twist inusuali e, se mi permetti, un racconto nuovo rispetto alla media dei prodotti Mediaset.

Paola ha poi deciso di lasciare il progetto a fine estate 2020 e in corsa sono subentrati Donatella Fossataro (con cui è nata una solida intesa), e Francesco Giuffré.

In quanti firmate soggetto e sceneggiatura?

Il progetto ha avuto una gestazione lunga e molto travagliata perché purtroppo ha subito cambi di direzione e modifiche strutturali che ci hanno lasciato con più di un dubbio. Infine, ha mutato anche di genere perché era nato come un melò proprio perché chiedevano un melò. Confesso che tutti questi stravolgimenti mi hanno lasciato un po’ di amaro in bocca, nonostante cose del genere siano da mettere in conto quando parte un lavoro. Credo che i progetti che riescono a conservare la loro scintilla originaria siano più centrati di quelli che invece subiscono repentini e numerosi passaggi finendo per disgregarsi. Ad esempio, il pilota, per come lo avevamo strutturato inizialmente, aveva ottenuto un buonissimo gradimento da parte di un campione di spettatrici in un panel commissionato dalla Rete. Comunque il soggetto di serie lo firmiamo io e Paola Pascolini; i soggetti di puntata invece li firmo insieme a Fossataro, Giuffré a cui si è aggiunta Izzo che poi ha ottenuto anche il ruolo di head writer. Successivamente è subentrato Leonardo Valenti che purtroppo per lui è un mio caro amico e per il quale propongo di fare un monumento; è titolare di un’autofficina per riparare le serie.

A mio modesto parere (mica tanto modesto, in quanto la serie l’ho creata) credo che questi continui cambi di direzione, finiscano per nuocere al progetto e alla spinta creativa; mettono la writers’ room in uno stato di frustrazione con il pericolo concreto che le mura portanti del progetto mostrino crepe evidenti. Succede spesso. Mi viene in mente il recente video di una collega spagnola che in un’intervista sintetizzava il concetto con una battuta che più o meno recita: “Fate scrivere le sceneggiature agli sceneggiatori; i registi facciano i registi.” Ne beneficerebbero anche gli editori, aggiungerei.

Hai consigli per i giovani colleghi?

Rispondo citando Truman Capote che sosteneva che “chi mi chiede consigli, generalmente si pente poi di averli seguiti”. Cosa posso suggerire? Personalmente soffro della sindrome dell’impostore per cui sono un tantino insicuro e molto severo con me stesso. E questo paradossalmente mi aiuta. Se scrivo una cosa che mi soddisfa, credo sempre che nella stanza accanto ci sia qualcuno che sta scrivendo una cosa migliore e che ho sempre da imparare. Il consiglio è venire a patti con sé stessi e, soprattutto, con chi ti propone lavori senza budget per te che scrivi. Non è un lavoro. Tre paginette non si negano a nessuno, soprattutto ai produttori con cui si ha un rapporto di stima e a volte di amicizia; ma il rapporto non deve basarsi sulle tre paginette chieste ogni volta. Ci ho preso gusto ed ecco un nuovo consiglio. La mia generazione è stata fortunata; siamo cresciuti con i film in televisione, quelli del lunedì e del mercoledì sera; classici, rassegne su attori e registi, in bianco e nero. È stato un po’ come prendere l’autobus anziché il taxi, come sosteneva Monicelli. Guardatevi indietro perché spesso trovate le risposte per andare avanti.

Ti è capitato in passato di incappare in situazioni spiacevoli?

In ogni lavoro c’è sempre stato qualcosa che ha sporcato l’avventura o il bel ricordo che ne ho. Tuttavia credo che ogni esperienza sia preziosa e, quando succede qualcosa di stonato, l’amore che ho per questo lavoro, almeno per me, non viene mai scalfito. Nonostante tutto. E nonostante qualcuno.

Come si chiama la serie? Quando andrà in onda?

Il nuovo titolo è “Se potessi dirti addio”. La prima serata va in onda venerdì 29, che è il Venerdì Santo. La contro programmazione è infatti la temibile Via Crucis in diretta su Raiuno. Un classico.

Nuovi progetti?

Sto lavorando a due soggetti per il cinema; uno è un mystery; l’altro è un mystery-comedy.

L’intervista è a cura di Francesca Romana Massaro

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.