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They Talk

Un incredibile horror dagli splendidi scenari

È in sala dal 28 luglio, They Talk, la pellicola diretta da Giorgio Bruno, ideata e sceneggiata dai nostri soci Vinicio Canton e Stefano Ceccarelli, che raccontano qui,  a Writers Guild Italia, le suggestioni e i modelli cinematografici da cui è nato il film.

Carissimi Vinicio e Stefano, come è nato They Talk? Fin dall’inizio avete lavorato in sinergia con il regista Giorgio Bruno nella costruzione della storia?

No, l’idea di un film che parlasse di Psicofonia (EVP, in inglese) è nata molti anni fa; abbiamo sviluppato il soggetto convinti che il genere possa e debba essere un pilastro su cui la produzione internazionale (ma anche italiana) possa reggersi. Il regista è arrivato in un secondo momento.

Alex (Jonathan Tufvesson), iI tecnico del suono protagonista della pellicola, viene a contatto con le voci dell’aldilà. Quest’avvenimento rimanda a due film iconici che mettono insieme le due cose: Blow Out diretto da Brian De Palma e Il sesto senso diretto da M. Night  Shyamalan. Il nesso è la casualità, ci avevate pensato?

Vinicio: Assolutamente si. Uno dei riferimenti che ha guidato la fase di passaggio dal soggetto alla scaletta del film è stato proprio Il sesto senso, con gli indizi seminati in modo evidente durante la storia, ma che vengono esplicitati solo nel finale del film.

Nella sceneggiatura inoltre c’erano anche molti riferimenti a storie di genere degli anni ’70, in parte perse con la messa in scena; l’atmosfera che noi creatori del film, volevamo dare era proprio quella forte tensione che quei due capolavori ancora oggi emanano.

Stefano: Sono amante dell’horror cosiddetto “gotico” e i miei punti di riferimento cinematografici, oltre agli insuperabili Shining e L’Esorcista, sono stati Suspense (The innocents regia di J. Clayton, tratto da Giro di Vite di H. James) e The Others, film inquietanti, in cui basta un corridoio di una antica dimora illuminata dalla luce di una candela tremolante o un lenzuolo bianco che copre i mobili di una stanza a farti saltare sulla poltrona. 

Nonostante i contributi di maestri come Mario Bava e Dario Argento, il genere horror negli ultimi anni è stato spesso sottovalutato nel cinema italiano, perlomeno in termini di box office. E’ cambiato qualcosa secondo voi?

Avevamo proposto il soggetto di MI PARLANO (il titolo originale) ad alcuni produttori che, pur apprezzandolo molto, temevano il genere in cui, come dici tu, siamo stati maestri per decenni. Poi, fortunatamente, Chiara Barbo ha letto il copione e l’ha sostenuto con forza e convinzione, presentandoci (noi e il film) a Massimo Di Rocco (Bartleby Films), un produttore serio, una persona concreta, onesta che non promette nulla che non possa mantenere, e realizzare. E dobbiamo ringraziare anche Pier Francesco Aiello che si è unito in un secondo momento. Ci vuole tempo per tornare agli anni di Bava, quando il produttore si fidava dell’idea degli sceneggiatori e sapeva farla rendere, ma la sensazione – e i titoli che stanno ricevendo attenzione, non ultimo Titane che ha appena vinto la Palma d’oro a Cannes – è che l’industria sia pronta ad accogliere di nuovo e senza preconcetti storie che per loro natura s rivolgono al mercato internazionale. E che rendono sia in termini economici che di visibilità  per il comparto dell’audiovisivo nazionale.

Siete d’accordo nel considerare la Sila con il Villaggio di Silvana Mansio e Camigliatello, come lo scenario più naturale per la storia?

Avevamo ambientato il film in un “non luogo”, vagamente riconducibile al Nord America. Quando Massimo di Rocco ci ha portati a Camigliatello e a Silvana Mansio, siamo rimasti a bocca aperta, letteralmente sbalorditi. Il set era tutto lì, perfetto. In particolare, la location dell’orfanotrofio ci ha quasi spaventanti perché il posto era esattamente come lo avevamo pensato e descritto nella sceneggiatura. Ci è sembrato di vivere un dejà-vu.

They Talk è stato presentato anche al mercato audiovisivo di Cannes. E’ stata importante la collaborazione fra diversi partner quali Bartleby Films, Pfa Films e Vision Distribution con la Calabria Film Commission?

Assolutamente. La sinergia è perfetta. Vision è una garanzia in questo caso. Il film è stato già venduto negli Stati Uniti e il lavoro di Massimo Di Rocco si è rivelato determinante.

Gli sceneggiatori vedono finalmente riconosciuto il loro ruolo di primaria importanza grazie alla campagna “No Script No Film”, promossa da Writers Guild Italia. C’è ancora tanta strada da fare in questo senso?

Per usare una metafora, abbiamo appena imboccato lo svincolo che porta a questo obiettivo ma la strada crediamo sia ancora lunga. La campagna di WGI ha avuto un enorme successo proprio perché tutti gli sceneggiatori, anche i più affermati, sono costretti a combattere per vedere riconosciuto il proprio ruolo determinante nel processo di nascita di un film o di una serie. Fino a quando uno sceneggiatore non mette la parola “fine” su un copione, quel film (o quella serie) non esiste, non lavorano registi, attori, macchinisti, truccatori… questo concetto ancora sembra non sia chiaro. Proprio per questo siamo convinti che la responsabilità sia nelle mani di ogni singolo sceneggiatore, che deve combattere in prima persona per i propri diritti, sapendo che può contare sul sostegno concreto di WGI.

Stefano: Aggiungo che una condizione essenziale sarà l’unità tra le associazioni WGI e 100Autori.

TESTO

L’intervista è a cura di  Francesco Maggiore

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.