Scrittori a CannesWriters

 

Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori italiani presenti con le loro opere al Festival di Cannes. 

Lievito madre, il saggio di diploma con cui lo sceneggiatore e regista Fulvio Risuleo ha conseguito il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) di Roma nel 2013, è in concorso a Cinéfondation, la sezione del festival di Cannes (14-25 maggio) riservata ai lavori delle scuole di cinema del mondo. Il corto, interpretato da Virginia Quaranta ed Emiliano Campagnola, racconta il più classico dei triangoli, lui lei l’altro, ma l’altro è un personaggio fatto di acqua, farina e miele.

Fulvio Risuleo

– Il pitch della tua storia in tre righe.

E’ un triangolo amoroso tra un uomo, una donna e del lievito madre. Lui si appassiona ogni giorno di più al lievito, curandolo come un essere umano. Esso infatti è qualcosa di più di semplice impasto: reagisce agli stimoli musicali. Lei si ingelosisce. Ma l’uomo ormai è attratto; esso sembra “ascoltarlo” molto più della donna.

– Com’è nato il soggetto? Quali sono i punti di forza dell’idea?

Il soggetto è nato partendo dalla realtà. Dal fatto che il lievito madre sia effettivamente qualcosa di vivo e che cresca di dimensione ogni giorno, se appositamente rinfrescato.  Un punto di forza potrebbe essere che si tratta di una storia surreale, ma con un tono e un approccio assolutamente realistico.

– I film italiani qui a Cannes hanno una cosa in comune: il regista è sempre autore o co-autore della sceneggiatura. Secondo te è ancora possibile un cinema dove ci siano sceneggiatori che scrivono e registi che dirigono? O bisogna per forza essere autori “completi”?

Certo è possibile. C’è bisogno, però, di grande affinità tra il regista e quella storia e lo sceneggiatore e quel regista. Altrimenti c’è il rischio di fare un lavoro da mestierante, cosa che ricadrebbe sul risultato rendendo il film privo di fascino. Per me la collaborazione più interessante tra  regista e sceneggiatore c’è quando entrambi hanno una forte personalità, magari di tipo diversa. Allora i risultati possono essere molto originali, anche in Italia. Penso al film “Primo Amore” di Garrone creato insieme a Trevisan (oltre al fidato Gaudioso)

– Piccola divagazione di sapore sindacale: negli Stati Uniti, anni fa, gli sceneggiatori organizzarono un grande sciopero che fermò le produzioni riuscendo ad ottenere maggiori diritti. Ritieni possibile uno scenario possibile in Italia?

Impossibile. Negli Stati Uniti esiste un sistema e un’industria. In Italia il cinema è molto differente. Non c’è il modo “ufficiale” di fare cinema. E’ un enorme sottobosco senza alberi. Gli sceneggiatori italiani non hanno lo stesso potere di quelli americani per questo uno sciopero non porterebbe a nulla. Magari venisse fermato questo nostro cinema italiano… in cui le uniche cose interessanti sono “eccezioni” legate  a un modo di lavorare diverso. Più che altro adesso viviamo uno sciopero degli spettatori. Comprensibile, a mio parere. Perché andare al cinema, in Italia, con la programmazione che ci ritroviamo? Con i prezzi alti, e per di più con la storpiatura del doppiaggio?

– Torniamo a noi. Quali sono i lati del tuo lavoro di sceneggiatore che ti stanno più a cuore?

La sceneggiatura è l’unico momento della lavorazione di un film dove si passa dal Niente, al Qualcosa. Dopo è un susseguirsi di Qualcosa-Qualcos’altro. Sicuramente il momento migliore è quello iniziale, dove si plasmano i fantasmi che successivamente andranno fatti vivere nella storia.

– Pensi di essere riuscito ad esprimere ciò che volevi con questo film?

Questo non saprei dirlo. Quando qualcuno apprezza la storia e mi fa i complimenti penso di sì. Quando non viene capito, penso di no. La cosa migliore sarebbe disinteressarsene, ma come si fa a non cadere nella tentazione di mostrare continuamente il proprio lavoro per sentirne un parere? Da dentro mi sembra che sia un buon lavoro, ma certo voglio continuare a sperimentare e capire quanto si può andare oltre nella creazione delle storie e mi sento di essere solo all’inizio di questo percorso.

– Che importanza ha la scrittura nell’economia del tuo film? In generale che rilievo ha secondo te la sceneggiatura nell’economia di qualsiasi opera cinematografica?

E’, appunto, la base. Ogni sequenza deve avere tanti livelli di profondità in modo che nella messa in scena e nel montaggio si possa capire quale sia quello giusto da scegliere e magari approfondire ancora. Credo che alla “scrittura” della sceneggiatura contribuiscano tutti, tutta la troupe. Ognuno deve poter dire la sua, e solo il regista sa quale sia la strada giusta da prendere. Ovviamente ci si basa sulla stesura iniziale, ma una sceneggiatura che non varia più dalla scrittura iniziale genera un fil morto o meglio, nato vecchio.

– Grazie e in bocca al lupo.

In bocca al lupo e grazie anche a voi.

Intervista a cura di Aaron Ariotti