Scrittori a VeneziaWriters

Italian Gangsters

La WGI è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati  dagli organi di informazione.

Valentina Strada e Federico Gnesini hanno scritto con il regista Renato De Maria la sceneggiatura di Italian Gangsters. Il documentario prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà  e Minerva Pictures, verrà presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, oggi 3 settembre alle 15 in Sala Darsena.

Cara Valentina e caro Federico, Italian Gangsters è un documentario che racconta trent’anni di storia criminale in Italia. La prima domanda è: di chi è stata l’idea come siete arrivati a farne parte?

Siamo stati coinvolti nel progetto grazie a Renato Di Maria, che aveva letto e apprezzato un nostro soggetto. L’idea di partenza era costruire un documentario sulla mala nostrana attingendo al materiale di repertorio dell’Istituto Luce. Dopo una serie di incontri e riflessioni ci siamo concentrati sulle vite di sei banditi in cerca d’autore, meno noti rispetto ai più celebri Vallanzasca, Maniero e ai membri della Banda della Magliana, ma fortemente rappresentativi della proverbiale “arte di arrangiarsi” tutta italiana applicata al crimine.

Di quale arco di anni si tratta, e perché la scelta di questo periodo?

La parabola di Italian Gangsters copre un trentennio, dagli anni Quaranta ai Settanta. Abbiamo scelto di raccontare i personaggi più controversi e gli avvenimenti che più hanno impressionato l’opinione pubblica di quegli anni.

Il racconto parte dalle macerie del dopoguerra, con una generazione di giovani armati e affamati, rappresentati da Ezio Barbieri, Luciano De Maria, Paolo Casaroli e Luciano Lutring, in un viaggio che abbraccia il periodo della ricostruzione e il successivo boom economico.

Ci fermiamo prima degli anni ’70, con le figure di Pietro Cavallero e Horst Fantazzini, quando le forti contraddizioni sociali fanno esplodere i movimenti politici e consacrano la nascita del terrorismo, cancellando per sempre la figura del bandito “romantico”. I fenomeni successivi sono caratterizzati da tipologie di banda (terroristica, collusa, organizzata) così diverse da meritare un racconto a parte.

Siete sceneggiatori, firmate la sceneggiatura di Italian Gangesters: viene da chiedere, ma quale sceneggiatura, che storia può emergere da una successione di video, qual è il racconto che avete costruito? Se vi dovessimo chiedere di cominciare con c’era una volta… Chi c’era una volta?

La nostra esigenza era toccare gli aspetti più inediti e personali dei sei protagonisti, al di là di una pura attenzione storiografica.

D’accordo con Renato, sin dal principio abbiamo accantonato l’ipotesi di un documentario storico-divulgativo di matrice televisiva, non volevamo ricalcare lo stile di format giornalistici diffusi, con interviste ad esperti e ricostruzioni posticce. L’intenzione era dare vita a un racconto di immagini ed emozioni non giornalistiche ma esclusivamente narrative. Intrattenere più che informare.

Oltre al repertorio Luce e al suo patrimonio di servizi d’epoca, abbiamo selezionato le sequenze più spettacolari della cinematografia di genere (e non) nella vasta library di Minerva Pictures. Immagini non sempre legate al crimine, ma che aiutano a inquadrare il clima sociale e le trasformazioni del tessuto economico e culturale italiano.

Sul “C’era una volta” si potrebbe partire dalla celebre domanda posta da Brecht: “È più criminale fondare una banca o rapinarla?”. Il principio del nostro viaggio e di quello dei sei protagonisti è tutto lì.

Parliamo ancora di scrittura. Come siete andati avanti con questa sceneggiatura? Prima la consultazione degli archivi o prima il testo scritto? Esiste un testo scritto o è solo una scaletta?

Il racconto è articolato in una serie di monologhi concepiti come interviste immaginarie. Abbiamo scelto di strutturare la narrazione attraverso gli appuntamenti e gli stilemi tipici del cinema di genere, di tradizione anglosassone e francese prima ancora che italiana. Le tappe fondamentali riguardano la formazione, l’ascesa e la caduta, il “delitto” e il castigo dei singoli personaggi. Abbiamo cercato nelle loro biografie e negli aneddoti che li riguardano tutti gli elementi cardine del genere: la femme fatale, le amicizie virili, l’antagonismo con le forze dell’ordine, l’esperienza carceraria. Abbiamo attinto alle loro dirette testimonianze in forma di interviste, romanzi, biografie e lettere, per restituire un quadro intimo, senza filtri o manipolazioni esterne. Racconti soggettivi, quindi, e necessariamente parziali. Menzogne dichiarate o informazioni arbitrarie sono riconducibili alle stesse parole dei protagonisti, tutti in qualche modo maestri di mitopoietica personale, uomini che si sono reinventati attraverso il mito, sono consapevoli del circo mediatico attorno a loro e hanno contribuito ad alimentarlo. Si sono auto-celebrati in maniera sfrontata e hanno pescato a piene mani nell’immaginario gangster, come dimostra l’iconica foto di Ezio Barbieri in manette, ferito, sanguinante ma sorridente e compiaciuto davanti ai flash dei fotografi. Come un divo del cinema.

Parliamo di rapporti con il regista. Renato De Maria firma con voi la sceneggiatura. Com’è stato il lavoro con lui?

La collaborazione con Renato è stata un’occasione di crescita per noi, un’esperienza umana e professionale ricca di stimoli e confronti. Abbiamo condiviso pienamente la sua visione del progetto e la sua passione per il cinema di genere.

Arriviamo ai materiali: in percentuale, quanto di cinema, quando di documenti d’epoca, quanto di girato nuovo c’è in Italian Gangsters?

La parte più corposa riguarda i monologhi dedicati ai banditi e recitati dagli attori. I documenti d’epoca e gli spezzoni cinematografici servono a contestualizzare, a dare forma e visione ai flussi di coscienza dei protagonisti, senza didascalismi, con un criterio di libera associazione in perenne equilibrio dialettico tra memoria collettiva e memoria privata.

Ecco, la memoria: l’Istituto Luce sta spingendo molto sul recupero dei materiali d’antan. Voi che ne pensate? Vi ha fatto bene affondare in questa memoria, percepire quelle che si definiscono le “radici”, o al contrario vi sembra che l’Italia sia troppo legata al proprio passato, che queste operazioni possono servire anche come un saluto, come un addio a quello che siamo stati e non vogliamo più essere?

Non era nostra intenzione ripiegarci sul passato per raccontare il presente. Italian Gangsters non vuole essere un’operazione nostalgia, non è un documentario celebrativo del passato. Nostalgia canaglia, cantavano Albano e Romina. E per raccontare queste sei “canaglie”, la nostalgia è una trappola che abbiamo cercato di evitare.

Affrontiamo allora la realtà. Il cinema italiano è stato cinema internazionale quando il suo marchio era il neorealismo. Molti dei film – di cui Italian Gangsters utilizza spezzoni – sono nati allora. Che effetto vi ha fatto visionarli? Vi è sembrato un cinema che può rinascere, che un legame maggiore con la realtà potrebbe essere la chiave per riportare il cinema italiano nel mondo, o ormai ciò che è stato è stato ed è finita lì?

A nostro avviso il racconto della realtà italiana è importante, ma non garantisce appeal o rilevanza internazionale. Forse perché l’ostacolo non è tanto il cinema, ma la realtà stessa che viviamo, globalizzata e pressoché omogenea, almeno in Occidente. Il neorealismo aveva una dimensione unica, specifica, radicata in un contesto che ancora manteneva una sua peculiarità, un motivo di “esotismo” per il mercato straniero. Forse la chiave per riportare il cinema italiano nel mondo sta nell’allontanarsi dalla realtà, mantenendo però intatta la nostra identità culturale, come dimostra l’ultimo film di Garrone.

Il crimine è un tema che paga. Il noto teorico della sceneggiatura, Christopher Vogler, ci ha detto chiaro e tondo che il mondo chiede all’Italia di produrre storie di mafia e di buona cucina . Lasciamo la buona cucina all’Expo e concentriamoci sul crimine. C’è davvero un’italianità riconoscibile nei crimini di cui avete raccontato? C’è un italian style reale, qualcosa che avete incontrato e che accade solo qui? A parte le storie di mafia, ovviamente…

L’Italia ha regalato all’immaginario mondiale grandi storie di mafia, e a quelle saremo sempre indissolubilmente legati. Ma l’immaginario gangster tout-court non è per niente autoctono. I miti che hanno alimentato le fantasie dei nostri protagonisti non sono italiani. Lo stesso Luciano De Maria si definiva un tipo da film americano o francese… Di italiano, come detto, c’è l’arte di arrangiarsi che notoriamente ci contraddistingue.

Il male affascina. Chi e che cosa hanno risvegliato dentro di voi – se è successo – sentimenti di ammirazione e affetto. C’è qualcosa che possiamo umanamente imparare da Italian Gangsters, dal contatto con questo nostro male?

Da sceneggiatori, siamo naturalmente attratti dalla possibilità di raccontare i lati più oscuri della nostra Storia ed esperienze individuali al limite, come quelle di Lutring, Barbieri, Fantazzini, De Maria, Casaroli e Cavallero. Abbiamo cercato di restituire allo spettatore ritratti carichi di suggestioni, senza moralismi di sorta, senza fornire facili condanne o assoluzioni. Potremmo dire di esserci sentiti loro complici. È difficile non provare empatia verso questi personaggi, e un certo grado di identificazione. Grazie a loro, abbiamo imparato che le circostanze storiche, sociali e politiche non generano mostri. Ma indubbiamente offrono occasioni.

Parliamo di produzione: Alberto Barbera – nel presentare la 72sima Mostra – ha lamentato un eccesso di film a basso costo. A suo avviso il prodotto italiano così perde di qualità… Il documentario è un tipico prodotto low budget che sta andando a rimpiazzare i lungometraggi di fiction anche al cinema: voi che ne pensate? Era ora? La crisi ha aiutato un passaggio, ha sdoganato un genere o… No, ha ragione Barbera, la qualità senza soldi è impossibile?

Per i giovani in particolare, il documentario rappresenta il campo più immediato ed economicamente accessibile in cui cimentarsi. Si può fare di necessità virtù, certo, ma non è un segreto che nel nostro mercato ci siano film che costano troppo e film che costano troppo poco. Poi è ovvio, la qualità senza soldi è possibile, così come il dispendio di mezzi non garantisce la buona riuscita di un progetto.

Come sapete Netflix ha annunciato una distribuzione in sala contemporanea alla distribuzione in rete. Voi che ne pensate? Ma sì, ormai funziona così, ci sono dei vantaggi o… No, la sala va protetta con un periodo di esclusività?

Netflix si configura come una novità assoluta con cui il mondo deve fare i conti. Nei mercati “virtuosi”, come quello americano, può essere considerato una minaccia alla distribuzione tradizionale. In Italia, con un mercato al collasso, costituisce una risorsa senza se e senza ma. Certamente la magia della fruizione in sala è qualcosa di insostituibile e andrebbe preservata.

È in arrivo una nuova legge del Cinema. Il ministro Franceschini ne ha annunciato la presentazione entro il 2015, ha invitato le associazioni di categoria a dire la loro… Voi ne sapete niente? Cosa vorreste che la WGI andasse a riferire per vostro conto?

Pensiamo che l’attuale legislazione in fatto di cinema e cultura vada aggiornata e potenziata, per renderci più competitivi e all’altezza dei mercati internazionali. Le nuove proposte di legge dovrebbero contribuire all’aumento degli investimenti culturali, generare profitto e occupazione. Siamo attenti al dibattito interno e pensiamo che le associazioni di categoria, tra cui la WGI, abbiano sollevato tutte le questioni che più ci riguardano, in primis le tutele che spettano agli autori.

WGI chiede più attenzione della stampa e dei festival agli sceneggiatori. Siete contenti di come i vostri nomi stanno circolando, abbinati a Italian Gangsters, o vorreste qualcosa di più? Ci siete a Venezia, chi vi ha invitato?

Da parte nostra, siamo soddisfatti dell’attenzione che ci è stata dedicata finora. A Venezia ci andremo grazie all’invito e alla disponibilità dell’Istituto Luce .

Parliamo di futuro: altri progetti insieme? Altri progetti singoli?

Sui progetti futuri, per scaramanzia, preferiamo non sbilanciarci. La nostra collaborazione è nata durante il periodo di studi al Centro Sperimentale, abbiamo tutto il piacere e l’intenzione di lavorare assieme, se le possibilità lo consentiranno.

Grazie e in bocca al lupo a voi e a Italian Gangsters.

Crepi. Grazie a voi.

L’intervista è a cura di Giovanna Koch

Scrittori a Venezia – Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori presenti con le loro opere alla 72. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica (2-12 settembre 2015).
Le foto dei film sono state messe cortesemente a disposizione della stampa dal sito della Mostra biennale.org e dal sito di Istituto Luce – Cinecittà filmitalia.org. a cui vanno i  nostri ringraziamenti.
Le foto degli sceneggiatori sono invece di loro proprietà: grazie anche a loro.

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