Writers

Nel 2014 Sky manderà in onda “1992”, una serie tv che affronta un periodo cruciale della nostra Storia recente, raccontando sei storie di persone qualunque ambientate nell’anno di Mani Pulite.

Incontro i tre sceneggiatori di “1992”, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, in una domenica piovosa di inizio autunno. Andiamo a cena in una tipica trattoria romana a pochi passi dal quartiere di Trastevere. Stefano, da buon piemontese, ha prenotato il tavolo con largo anticipo. Abbiamo due opzioni: fare prima l’intervista e poi mangiare oppure mangiare e poi fare l’intervista. Di fronte alla succulenta offerta del menu diventa quasi scontato prediligere la seconda opzione. Interno  Trattoria Notte, dunque. Come sottofondo, tazzine di caffè.

Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di incontrare persone  entusiaste della sceneggiatura di “1992”. Il primo a parlarmene, diversi mesi fa, fu Stefano Accorsi. E va bene, lui è l’attore protagonista e quindi è comprensibile che parli bene dei suoi lavori, ma dopo tanti anni di esperienza nel mondo della finzione per eccellenza, penso di saper riconoscere quando un attore è  sincero e non sta recitando. L’ultimo in ordine di tempo a parlarmi di “1992” è stato invece Fabio Tagliavia, che ha lavorato su questa serie come aiuto regista. Ma in generale tutte le persone con cui ho affrontato l’argomento hanno speso parole di elogio per voi sceneggiatori. Devono esservi fischiate le orecchie e non poco.

(Alessandro Fabbri) I complimenti fanno sempre piacere. Ma aspettiamo almeno che “1992” vada in onda per capire se sono meritati oppure no.

Com’è nata 1992?

(Stefano Sardo) Un giorno veniamo convocati da Lorenzo Mieli di Wildside con cui avevamo già lavorato alla versione italiana di “In treatment”.  Lui e Stefano Accorsi avevano in mente di fare una serie politica in cui raccontare vent’anni  di storia italiana dal punto di vista di chi questo Paese negli ultimi vent’anni lo ha governato. La loro idea era la seguente: invece di raccontare l’Italia di sinistra, lo slancio progressista che in qualche modo viene fuori ad esempio da un film come “La meglio gioventù”, perché non provare a raccontare il rovescio della medaglia?

La peggio gioventù?

(Ludovica Rampoldi) Esattamente. E lo spunto di partenza prevedeva proprio di scrivere un’epopea dell’Italia degli ultimi vent’anni. Quando ci siamo visti abbiamo capito che affrontare un arco temporale così lungo non si sposava molto con il racconto seriale contemporaneo, e così abbiamo deciso di concentrarci su un anno in particolare.

(SS) Non volevamo scrivere una miniserie, ma una serie vera e propria dove gli avvenimenti storici stanno sullo sfondo e in primo piano ci sono vicende che coinvolgono i personaggi di nostra creazione. Con l’ambizione e la speranza, raccontando storie inventate, di far emergere un quadro della Storia d’Italia forse più fedele visceralmente, rispetto ad una ricostruzione calligrafica di fatti reali. Inoltre, questo espediente narrativo ci ha consentito la grande libertà di poter raccontare attraverso il punto di vista dei nostri personaggi inventati anche le vicende legate alla Storia, ma senza l’obbligo castrante dell’oggettività.

So che il vostro lavoro non si è limitato alla mera scrittura dei copioni. C’è stato un vostro coinvolgimento anche nella fase produttiva. E questo in Italia non accade spesso: non accade nel cinema e non accade nella fiction tv, esclusi sporadici casi.  Ci raccontate com’è andata?

(LR) Ci siamo resi conto fin dalla prima riunione che volendo impostare la serie come la volevamo impostare, avremmo avuto i nostri bei problemi in fase di concepimento. Perché una cosa è dire: “Voglio raccontare il 1992 attraverso il punto di vista di personaggi inventati” e un’altra cosa è farlo. 

(SS) Ci attendeva un grosso lavoro di documentazione storica. Poi, una volta terminata la ricerca, avremmo dovuto fingere di dimenticarcene e inventare personaggi e situazioni che fossero efficaci per qualsiasi tipo di pubblico, anche per chi non fosse a conoscenza della Storia di quel periodo. Si trattava, ce ne rendevamo conto, di un progetto molto ambizioso. A fronte di questa ambizione abbiamo chiesto fin da subito al produttore la titolarità di creatori della serie. Non avevamo ovviamente nessun potere contrattuale per pretendere ciò, ma abbiamo detto: ok, noi ci prendiamo volentieri carico di questo stimolantissimo impegno, ma siccome ci state giustamente chiedendo di essere bravi, metteteci nelle condizioni di poter essere bravi sul serio, di poter influire davvero sulla nascita di questa “creatura”.

(AF) Volevamo evitare a tutti i costi di cadere nelle separazioni troppo nette che troppo spesso si creano nella fiction italiana tra chi scrive la sceneggiatura, chi dirige, chi interpreta, e anche  chi produce. Sapevamo che, data la natura particolare di questo progetto, una serie come “1992” avrebbe avuto bisogno di una visione diversa, più ampia. In realtà tutte le serie ne avrebbero bisogno, ma a maggior ragione “1992”, che non si muove lungo i binari di un genere o secondo uno schema narrativo classico.  

(SS) Il produttore ha capito le nostre esigenze, forse perché erano anche le sue, e ci ha dato l’opportunità di non limitarci unicamente alla fase di scrittura, ma di seguire tutte le fasi della lavorazione.  

Parafrasando Buzz Lightyear:”Verso la sceneggiatura e oltre!”. Ma parliamo anche dell’esperienza di scrittura. Com’è stato scrivere “1992”?

(LR) Difficilissimo. Ci abbiamo messo due anni e mezzo, è stato un lavoro gratificante ma molto impegnativo. Mentre scrivevamo dovevamo avere sempre un quadro preciso della situazione e su ogni singolo avvenimento cercare la giusta declinazione sui personaggi per far detonare la storia.

(SS) Oltretutto si tratta di una serie corale con incastri continui. Insomma, sembra banale dirlo, ma non è stata una passeggiata. Contrariamente a quello che pensano in tanti, scrivere non è mai una passeggiata.

(AF) Anche per questo, per tornare a quello che ci hai chiesto prima, era naturale che sul set ci fossimo anche noi che per due anni e mezzo avevamo sbattuto su tutti gli spigoli di questa storia. Chi meglio degli sceneggiatori poteva sapere quanto fosse importante il dettaglio di una scena o una particolare battuta di dialogo detta in un certo modo?     

Secondo voi ci stiamo avvicinando ad un tipo di “macchina produttiva” più intelligente rispetto al passato?

(SS) Sarebbe bello se fosse così. Sarebbe bello e utile, soprattutto se vogliamo fare un discorso di qualità. Noi su “1992”, in quanto creatori della serie, siamo stati felicemente coinvolti in ogni fase della produzione. Già molto prima che si andasse sul set… Non c’era ad esempio un regista designato, ad un certo punto dovevamo scegliere chi avrebbe diretto la serie… Non poteva essere un regista qualsiasi. E così, insieme al produttore, abbiamo incontrato i registi. Da quegli incontri è venuto fuori il nome di Giuseppe Gagliardi, con il quale io avevo già lavorato per “Tatanka”, ma anche il nome del regista della seconda unità, Gianluca Iodice, che non aveva mai fatto niente al di là di alcuni cortometraggi e che non avremmo forse mai preso in considerazione se non ci fossero stati questi “provini”. Questo genere di esperienza, uno sceneggiatore non la fa tutti i giorni. Anzi, si può dire che non la fa praticamente mai, e invece dovrebbe essere la regola. Se sei il creatore di una serie è giusto che tu abbia il controllo della situazione.

Vi siete ispirati a qualcosa in particolare per la realizzazione di 1992?

(SS) Il nostro riferimento durante la fase di lavorazione è stato “Boss”, una serie molto bella di Gus Van Sant. È una serie politica con un crescendo drammaturgico quasi shakespeariano. E con uno sguardo sulla realtà molto contemporaneo, quasi da documentario. Questa combinazione di cose ci sembrava potesse adattarsi bene alle nostre esigenze. Cercavamo qualcosa che desse il senso della realtà, che non fosse patinato.

Nella produzione tv italiana, ormai è assodato, non esiste un “mercato delle idee”. C’è una netta differenza tra la fiction che vediamo sulla televisione cosiddetta “generalista” e quello che realmente ci piace guardare. Non credete che sia ormai arrivato per le televisioni il momento di smettere di “generalizzare” e dedicarsi pienamente alle storie da raccontare? Fatta da uno sceneggiatore è una domanda retorica, lo so, ma secondo voi una serie come “1992” verrebbe mai trasmessa da Rai Uno o da Canale 5?

(AF) No, per tanti motivi e non soltanto politici. Basti dire, a titolo di esempio, che, avendo obbiettivi di pubblico non paragonabili a quelli di Sky, le fiction Rai o Mediaset richiedono, fra le altre cose, un uso codificato della “tinta melò” su qualsiasi cosa, che inevitabilmente sposta gli obbiettivi  di scrittura. Paradossalmente il melò non è più un genere a sé stante: è dappertutto, in qualsiasi cosa si scelga di raccontare. Perché è ormai radicata l’idea che per superare il 20%  sia questo l’ingrediente fondamentale. Per uno sceneggiatore un paletto creativo di questo tipo, motivato da ragioni che non hanno niente a che vedere con l’aspetto drammaturgico, è abbastanza frustrante.

(SS) Probabilmente è anche giusto che una serie come 1992 non vada in onda sui canali generalisti perché non si tratta di una serie mainstream. Tutte le serie che amiamo di più, ad esempio “Breaking Bad” o “The Sopranos”, è tutta roba che non è destinata al grande pubblico. Hanno il grande pregio di raggiungere un pubblico di nicchia in tutto il mondo.

(LR) Se mai, il problema è un altro: che qui in Italia le nicchie sono poco rappresentate. Sky ci prova, ma non basta. Comunque se non ci fossero stati prima di noi altri prodotti di nicchia come “Boris” e “Romanzo Criminale”, non avremmo mai fatto “1992”.

(SS) Più in generale ci sembra che in Italia ci sia paura dell’originalità. Un sistema sano crea delle avanguardie che sperimentano dei modelli che poi vengono assunti dal mainstream e decodificati in forme più “pop”, per così dire. Un sistema non sano cerca di emulare i prodotti vincenti all’infinito fino all’inevitabile saturazione. Ed è quello che accade in Italia sulle reti generaliste.

Voi siete ormai un terzetto di sceneggiatori consolidato con tante esperienze alle vostre spalle. Tra queste esperienze c’è anche il cinema (“La doppia ora” e, a breve, un film con Salvatores).  Quali sono le principali differenze tra scrivere un film per il cinema e, ad esempio, una serie come “1992”?

(LR) Le differenze sono enormi. Non avevamo mai scritto una intera serie tutta da soli… È stato massacrante. È impossibile fare un confronto con le precedenti esperienze cinematografiche. Forse esagero, ma sono due esperienze di scrittura così diverse da sembrare proprio due attività lavorative differenti.

(SS) Personalmente credo che “1992” sia stata la cosa più faticosa che ho fatto nella mia vita.  

(AF) Confermo. Però lo rifarei. Magari non subito, ma lo rifarei.

Parliamo un attimo della nostra professione.  Mi fa piacere farlo con voi che, in questa vostra ultima esperienza, siete riusciti ad ottenere il riconoscimento del vostro ruolo e un controllo pressoché totale del vostro lavoro.  Siamo spesso considerati dei piagnoni senza arte né parte che non fanno altro che lamentarsi  della poca trasparenza dei contratti, della mancanza di regole e diritti. Ma esiste un problema in questo senso oppure sono soltanto fisime mentali e dobbiamo limitarci a chinare la testa e scrivere? (Fatta da uno sceneggiatore della WGI, è una’altra domanda retorica, lo so).

(SS) Limitarsi a chinare la testa e scrivere non va bene. Ma non va bene nemmeno lamentarsi senza fare nulla. Il riconoscimento del nostro ruolo su “1992” lo abbiamo ottenuto dopo averlo chiesto, anzi, dopo averlo preteso. Non è che il produttore si è svegliato un giorno e ha deciso che era giusto mandarci sul set, farci provare con gli attori e farci parlare coi registi. Siamo stati noi a volerlo perché credevamo che questo avrebbe giovato alla qualità del prodotto. È come quando ti pagano poco e tu pensi che ti debbano dare di più. Non ti daranno di più soltanto perché è giusto che sia così. In questo ambiente bisogna chiedere, a volte pretendere, se si vuole davvero ottenere qualcosa.

Sapete già quando potremo vedere “1992”?

(AF) Forse in primavera, forse in autunno. Sky non ha ancora deciso.

Lo attendiamo con ansia.

(AF, LR, SS) Anche noi.

Intervista a cura di Aaron Ariotti