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JEAN LUDWIGG: “IL SEQUEL E’ UN BUON VINO CHE MANTIENE UN GUSTO CHE PUOI RICONOSCERE”

Che cosa significa scrivere un sequel? Com’è stata nello specifico l’esperienza de Il silenzio dell’acqua?

L’obiettivo è fare un prodotto che il pubblico riconosca, che lo faccia sentire di nuovo a casa, evitando però un retaggio che sia uguale al precedente. Bisogna ricordarsi che è passato del tempo. Per Il silenzio dell’acqua 2 noi eravamo pronti ad andare in onda a marzo, esattamente un anno dopo la prima serie e invece la pandemia ci ha ritardato di parecchi mesi. Il timing giusto è un anno. Creare una cosa uguale a prima ma molto diversa: questa è la bellezza; in particolare coi personaggi che crescono, sono come figli tuoi. Alla fine il sequel è un buon vino che invecchiato un po’, mantiene un suo gusto che è maturato ma che puoi riconoscere. La difficoltà, invece, è ascoltare tutte le campane (produttori, rete…) che si basano anche su parametri tecnici, come l’andamento dell’andata in onda, i picchi, analisi varie che però non sono matematici. Ne Il silenzio dell’acqua la difficoltà è stata inglobare tutti questi input che non sono sbagliati ma che a volte entrano in conflitto fra di loro. La parte creativa alla fine è la più facile. La fortuna per me è avere Leonardo Valenti come partner; le abbiamo superate tutte, siamo forti e legati perché ci fidiamo l’uno dell’altro.. La bellezza è avere un compagno di viaggio con cui ti intendi al volo e col quale vuoi sempre risolvere in caso di incomprensioni.

De Il silenzio dell’acqua hai scritto anche il soggetto oltre alla sceneggiatura. Come affronti questo passaggio?

Noi siamo i creatori della serie. Forse siamo i primi in Italia ad essere definiti tali nei titoli di testa e ne siamo fieri. Dal nulla nasce qualcosa, l’idea. Da qui il soggetto di serie. Se quest’ultimo è fatto bene, il passaggio alla sceneggiatura è semplice. Si inizia con il creare i personaggi da cui nasce la storia, la sceneggiatura incomincia a vivere già lì. In seguito creiamo una scaletta vera e propria per poi passare alla sceneggiatura, i moventi dei personaggi sono la chiave di tutto. Solo così il racconto diventa credibile e solo se è credibile puoi coinvolgere il pubblico.

Sei stato un grande aiuto regista. Come ha contribuito questa esperienza alla tua carriera di sceneggiatore?

Ha contributo nel senso che mi ha fatto capire che quella non era la mia strada. Volevo fare il regista. Mi ricordo di un amico che ha perso 7/8 anni della sua vita nel tentativo di chiudere un film , era ossessionato. Mi sono detto: “Ha senso vivere così, bruciare tutta una vita che ha un valore anche oltre il proprio lavoro, per arrivare poi forse a un film che non uscirà per dinamiche che non dipendono da te?” E così ho detto: “No, scrivo!” Inoltre l’ambiente non mi faceva sentire a mio agio. Ho fatto una scelta di vita.
Come confronti le tue esperienze internazionali con quelle italiane? Con Leonardo siamo impegnati in diversi progetti con la Francia. Cosa divertente è che Leonardo è italiano e vive in Francia mentre io sono francese e vivo in Italia. Il senso dell’acqua è andata in onda anche in Francia con successo. In generale, col mercato globale, oggi è più facile esportare la propria esperienza. Rivolgersi all’estero per scrivere è più che un consiglio.

Qual è nella tua carriera il progetto che personalmente ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Ti darò tre risposte. La prima è I ragazzi della terza C, da un’idea geniale di Carlo e Enrico Vanzina, che ho sceneggiato con un mio collega. è stata una cosa pazzesca. Con la prima andata in onda abbiamo fatto 11/12 milioni di spettatori. Una vacanza che ho fatto in Kenya si è trasformata in un incubo quando sono venuti a conoscenza che ero uno degli autori di questa serie: i bambini mi inseguivano ripetendomi in continuazione le battute. La seconda è una miniserie per Rai1, Io non mi arrendo, con Beppe Fiorello, che racconta la storia del primo poliziotto che ha fatto le indagini sulla terra dei fuochi; è morto di cancro come le vittime su cui indagava. . Con difficoltà sono riuscito a conoscere la vedova e mi sono fatto raccontare la storia del marito. L’ho creata io e per questo la sento molto mia ed è stato un grande successo. E infine Il silenzio dell’acqua perché è la prima serie che abbiamo creato, tutta nostra.
Puoi farmi una tua citazione? Ne I ragazzi della terza C il padre di Bruno Sacchi aveva una caratteristica: ogni volta che rispondeva al telefono, invece di ”pronto”, diceva “Aho!” E’ diventato un tormentone. Non è un Shakespeare ma ti fa capire come un dettaglio possa dare una grande forza a un personaggio. Mi autocito anche con due titoli che ho inventato, che sono sempre una parte fondamentale della creazione: Io non mi arrendo e Il silenzio dell’acqua.

L’intervista è a cura di Federica Colucci

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