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RACCONTARE L’ESTREMO PER POTER PERMETTERE AL PUBBLICO DI IDENTIFICARSI

Lo sceneggiatore di Mental, serie disponibile su RaiPlay, ci racconta della scrittura che affronta i disturbi psichici degli adolescenti

Mental. Parlare del disagio psichico degli adolescenti agli adolescenti; perché è importante farlo con crudezza?

Quando si parla di certi temi è importante il realismo più che la crudezza. Se non si fa un racconto sincero è difficile empatizzare ed è fondamentale che il tema diventi universale. Abbiamo lavorato su come la malattia ti cambia rispetto a come sei realmente; questo ha dato specificità ai personaggi e li ha resi appunto universali. Le fragilità esposte dalle malattie sono proprie degli adolescenti. Era importante non fare una cosa patinata, ne avremmo perso emotivamente.

Come è stato affrontato il progetto, ispiratosi al format finlandese Sekasin, in termini di ricerca e scrittura anche rispetto alla serie uscita un anno fa, Oltre la soglia, che tratta temi similari?

Io e la mia co sceneggiatrice Laura Grimaldi ci siamo divertiti a studiare il format finlandese che è suddiviso in episodi di 7 minuti, ambientato in una clinica psichiatrica e dove quattro ragazzi maggiorenni sono i protagonisti. Ogni puntata racconta una scena di vita in clinica. C’era molto materiale cui attingere ma non eravamo legati alla storia o ai personaggi che si sono rivelati alla fine molto diversi. Uno stimolo tutto da costruire. Ci siamo documentati parecchio anche grazie alla dottoressa che ci ha seguito. Abbiamo ascoltato molte storie e questo ci ha aiutato più di tutto. L’elemento comune sono i ragazzi che, lasciati soli a se stessi, interagivano con la clinica per trovare qualcuno che si prendesse cura di loro. Essere capiti. Dopo di che abbiamo riversato tutto questo sui personaggi per poi farli confrontare con la propria patologia. Per quanto riguarda Oltre la soglia io non l’ho vista; noi stavamo scrivendo quando è uscita la serie. E’ una buona coincidenza perché parlare di disturbo mentale ha molto senso soprattutto se lo si fa a proposito di ragazzi perché sono quelli più indifesi e perché è difficile definire il problema… E’ stata una coincidenza che il tema si sia incrociato e che siano due serie teen però credo sia una coincidenza fortunata.

Nella tua carriera hai spesso scritto di adolescenti e/o di disturbi psichici (pensiamo a Succede o Non ho niente da perdere). Come mai questi sono alcuni dei tuoi temi ricorrenti?

Quello della condizione psichica è un modo per raccontare le cose che appartengono a tutti attraverso una cosa molto specifica. Raccontando l’estremo di una paura, un blocco o una fragilità è molto facile riconoscersi e questo dà la possibilità di creare un bel percorso per il personaggio. Per quanto riguarda i teen sono state delle occasioni. Succede fu l’occasione di adattarne il libro e io avevo 27 anni. Con questo film ho capito che i prodotti teen trovano giovamento nell’essere scritti da qualcuno vicino a quell’età. Lavorandoci mi sono reso conto di come i linguaggi possano risultare lontani man mano che la distanza d’età aumenta.

Come affronti la scrittura dei tuoi personaggi femminili?

Spesso e volentieri i miei protagonisti sono donne, non so dirti esattamente perché. Ho sempre avuto co sceneggiatori donne e questo aiuta in alcune occasioni. Rimane sempre una sfida scrivere dell’altro sesso; non è sempre automatico e ci sono cose specifiche che uno potrebbe dare per scontato. Per me è interessante parlarne e scrivere di donne cerco di non viverlo come un problema.

Qual è il progetto a cui sei più affezionato?

Sicuramente Mental, in quanto è stata l’occasione per sviluppare qualcosa di nostro, scriverla da zero partendo dall’ispirazione finlandese. Abbiamo seguito tutte le fasi, c’è stato un forte ascolto, molta libertà e nessuna censura. Ci hanno incoraggiati. Poi ci sono altri lavori non ancora prodotti come Bordello Chiaia che ha vinto il premio Bixio, scritto insieme a Laura Grimaldi, e che stiamo portando avanti.

Ci fai un’autocitazione di Mental?

Nell’episodio 5, Michele fa un discorso sul padre dicendo “Due persone sbagliate possono stare bene insieme”. Mi piace questo momento perché il ragazzo non parla di una storia d’amore ma del padre; una relazione tra fragili che in un preciso periodo della vita può fare a entrambi anche del bene.

L’intervista è a cura di Federica Colucci

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