Il bollettino dello scrittoreVenezia

Bollettino n. 7

Andrea Vernier,  sceneggiatore e socio della Writers Guild Italia, osserva e vive, dal nostro particolare punto di vista di scrittori, gli eventi della 82. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025)

“Beh, caro pubblico, questa storia, questa versione della Genesi, contiene sicuramente molta violenza…

ma, come sapete bene, la violenza è alla base dell’arte…”

(Thomas Richards; The inanna project. 15 giugno 2025, Biennale Teatro 2025)

 

Alla Mostra sfilano storie di conflitti. Sono stati rappresentati quasi tutti. Le guerre sono intorno a noi – e tra di noi.

Un meccanismo di difesa oscuro tende a trasformare questa realtà terribile in una qualche idea astratta: noi contro loro, buoni contro cattivi. Il bisogno di avere un’identità trasfigura la realtà in dibattito. Ma la guerra, purtroppo, resta quello che è: una schifossima storia personale. Personale – che riguarda ognuno di noi.

Per questo motivo sono andato da lei: c’è una grossa trincea scavata nella vita di questa donna. Abitava su un terreno che era famiglia e vita allo stesso tempo – e si è ritrovata a dover scegliere una parte sola di quella terra. Ora le manca, fisicamente, una parte. Ecco perché sono qui, davanti a lei, fisicamente, ora. Perché il che cosa sia la guerra lo devi vedere negli occhi, nella postura del corpo. Lo devi avvertire come una presenza.

***

Le domande possono essere trappole esplosive su cui cadere e farsi male.

Credo che abbia valutato questo; o meglio, credo che questo fosse il pensiero nascosto della mia interlocutrice, mentre mi vede tirare fuori taccuino e penna.

Si siede composta, come una persona abituata alla disciplina. Gestire situazioni complicate deve essere un fatto abituale, per lei – e sta cercando di capire se io, con le mie domande, lo sarò. Vorrei rassicurarla; non sono io ad essere una complicazione. È la situazione che ci avvolge ad essere una orrenda complicazione.

I rumori filtrano appena dalle grandi vetrate. Fuori di qui, il traffico del canale più affollato di Venezia.

Questa stanza è una camera di compensazione.

“Cos’è un conflitto?”

Raccoglie le idee. “Beh, guardiamo anche alla radice etimologica del termine. I conflitti non sono un male di per se; possono accadere. Fanno parte delle cose. Perché sono due energie che si oppongono”.

Comincia così la nostra conversazione. Io cerco di camminare sull’orlo del burrone per poter avere un’idea più chiara di cosa sia questo sbalanco in cui rischiamo di cadere tutti. Cerco quel che ancora non so. Lei tira subito fuori gli strumenti: la logica, l’analisi. Come se facesse un check dei comandi subito dopo una collisione. Sta controllando se tutto funziona.

E’ colpita. E’ ferita. Personalmente. Si capisce dal tono, dal modo. E’ che la Russia è stata una parte fondamentale della sua vita. E’ stata suo padre, il suo rapporto con lui. Poi è arrivata lei, la guerra.

Parlandomi del conflitto cerca parole che siano adatte a tutti. Donna di cultura, sta appositamente cercando il registro giusto con cui comunicare il concetto che le sta a cuore, come fosse una questione non di strumenti di analisi, ma di semplicità dei fatti: se anche capita di arrivare ad un conflitto, è pazzesco che non ci sia la capacità (lei dice “intelligenza”) di trovare un accordo con l’altra parte in conflitto.

Respira a fondo guardando fugacemente fuori dalla vetrata, come travolta da tutto quel blu del cielo. Oggi è spettacolare.

“E’ come in una coppia. Vanno in crisi, si creano delle condizioni di conflitto… e cosa fai? Non cerchi di trovare una soluzione? Serve saperlo gestire. Se si va allo scontro distruggi tutto, travolgi tutto e tutti… distruggi quel che di bello si era fatto…” le mani si chiudono sulle ginocchie conserte, a contenere e controllare, mentre respira a fondo. E’ come se parlasse tra sé e sé, sconcertata dall’ovvietà della situazione. Una persona che parla di un fatto di famiglia. Questo è. La guerra della Russia, per lei, è un fatto di famiglia. Scava nella carne.

“E’ molto difficile”. lo dice con tono pacatissimo, pianissimo. La sua capacità di autocontrollo è notevole. E’ la seconda volta che ripete questa frase, dopo altri ragionamenti. E’ la seconda volta – perché è importante. “E’ molto difficile”.

“Però, di fondo, è energia”. Mi guarda risoluta, come avesse portato a compimento un compito e fosse il momento di muoversi per andare da qualche altra parte. “E’ una esplosione di energia che lascia dietro di sé una distruzione” riprende con fermezza, a ribadire il punto. Ha cambiato marcia. No, non era per niente sul punto di andare altrove; stava ricaricando per aggiustare la mira. “Impedisce di vedere l’altro, capisci? Ad un certo punto si diventa ciechi. Non vedi. E poi si urla, e si diventa muti…” muove le mani, in un rarissimo momento di italianità. Si sporge verso di me, abbassando la voce: “Quando il mare è agitato i pesci vanno sotto, in fondo. E aspettano che il mare si plachi, per poi tornare su”. Annuisco. Questa era lingua comune, di chi abita l’acqua.

Certo. Nessuno cerca la distruzione, mi sta dicendo. E le tempeste non durano in eterno, mi ha agiunto con questo esempio.

Poi esce dalle considerazioni personali. Il ragionamento la porta per forza ad accennare ad una breve analisi della situazione, di quel che è avvenuto in Russia, delle reponsabilità di chi, da noi, ha investito Putin di speranze che non poteva rispettare.

La piega del suo tono, sempre incredibilmente controllato e misurato, prende un retrogusto, di nuovo, amaro. “Io vedo un paese straordinario, come la Russia, con al comando un uomo che non ha digerito la Storia. Vedo una volontà di potenza, di tipo imperiale, verso chi vuole staccarsi da un giogo quasi millenario…”. Non volevo portarla verso l’analisi politica, ma capisco che è inevitabile. La politica, per lei, non è un discorso da salotto. È un fatto vivo, concreto. Lei è stata dichiarata persona non grata in Russia. La sua Russia. “Quella, capisci, non è una guerra civile. Perché Russia e Ucraina sono due cose nettamente distinte”.

Discutiamo sull’esempio della coppia che scoppia. Sembra calzare. Si arriva ad esemplificare parlando dell’uomo accecato dalla cultura patriarcale, che non riesce ad accettare la fine di un sodalizio e l’emergere di una volontà autonoma dell’altra parte della coppia. E’ così che scatta la violenza. Brutale.

“Quasi più un fatto emotivo, patologico, piuttosto che la risultante di complessi calcoli geopolitici…” la butto lì. Annuisce decisa: “Esatto. Per quanto possa sembrare incredibile, è così. Ma sai, tante cose possono sembrare incredibili. Per esempio che la Russia possa diventare democratica. Questo mito che circola da noi ‘e’ impossibile che diventi democratica…’ ma chi l’ha detto? E’ solo questione di dare tempo ad alcuni processi lunghi, di compiersi…”. Non avevo notato questa nota orientale, questo senso del tempo lungo che sembra aver abbandonato la nostra parte di mondo. Lei ce l’ha, mentre guarda fuori dalla finestra, cercando in quel cielo e in quella composizione di tetti un codice da decifrare. Il senso, forse.

“Pensa” mi dice con un sorriso appena accennato, o soffocato, non so; “Addirittura adesso in Russia bloccano la circolazione delle serie tv che contengono protagonisti single. Capisci? Devono raccontare che è bello fare figli… per la patria, capisci? Come da noi nel ventennio…” ha un ghigno, tra l’amaro e il malevolo. Mi sta parlando di casa sua. E a casa sua c’è una situazione da pazzi. “Pensa che adesso chi usa whatsapp incorre in multe. E tutti sono spinti a fare la spia, magari sfogandosi vero il vicino che non hanno mai raccontato…” si alza, perché quando l’amaro diventa troppo, il corpo ha bisogno di scaricare. “E’ una dittatura, capisci?” ecco perché si è alzata. Per arrivare al culmine dei pensieri in una lite familiare, non si può restare seduti e compiti. In piedi è più libera. “Sì; è una dittatura, ormai. E si stanno tutti conformando…”

Forse ora si può andare avanti.

“Cos’è per te, personalmente, questa guerra?”

“Beh…” pausa. I rumori fanno in tempo a risalire i tre piani. Un motore in manovra. Un altro sfuma.

“Tutta la mia vita è stata volente o nolente legata alla Russia.  All’inizio invadeva la mia vita. Era mio padre. Ma io volevo fare altro. Poi, però, mi sono accorta che tutta quello che cercavo di allontanare, tornava. Ed è diventata la mia vita. Ed è tante cose per me. Con tantissimi progetti.” Il suo tono è calmo. Non c’è più quel lavoro di controllo e misura che avvertivo prima. Niente analisi: lei ora è qui, presente, a parlarmi di un caro che non vede da tempo. “L’ultima volta ci sono stata era il 2022. Ed era la prima volta che non vedevo l’ora di tornare qui in Italia. Perché c’era tensione. Gli amici minimizzavano: ‘non succederà niente’. Ma io sentivo la tensione. Sentivo una grande angoscia.” Poi un silenzio inaspettato. Alzo gli occhi dal taccuino. Sta guardando fuori. Funziona così la parola: per dirla torni a quei momenti;  pronunciarla ti fa essere là, fisicamente ed emotivamente.

E’ stato un attimo. Si volta, mi guarda. Torna da me.

“Io sento che è come se si sia staccato un pezzo del mio corpo. Magari… chissà, potrò rimettere una protesi. Magari tornerò…”

Eccolo. Il punto. Perché un conflitto (“cos’è un conflitto”) è una perdita. Inevitabilmente. E quel che c’è da capire è il senso del tempo. Se è per sempre – ed, eventualmente, cosa sia poi quel ‘sempre’.

“Sai, io ho voluto non restare nell’ombra. Avevo dei progetti, della vita in corso. Li ho continuati. Per farlo mi sono esposta. Ho fatto dichiarazioni. E sono stata dichiarata persona non gradita. Dunque… è come se una parte di me fosse andata in cancrena.”

Il tono è sereno. Non c’è rabbia. E’ constatazione. Come di chi parla di un divorzio diffilissimo e doloroso. Ma ormai è andato.

“Ma il corpo c’è ancora. Ho mantenuto contatti. Però… con quelli che sono usciti per tempo, e che ora stanno qui, ho bellissimi rapporti. Ma con chi è rimasto lì… sai, il tempo agisce. Loro si sono uniformati al pensiero unico. Il conformismo…”

Mi interessa questo corpo. Mi interessa l’incarnazione delle idee che devastano la nostra epoca. Mi interessa la storia che passa attraverso i pori della pelle. Così le chiedo: “La cancrena ci ucciderà?”. (La fine. Eccola. Io sento che bisogna ragionare con la fine come parametro, come limite. Per avere una linea di orizzonte come riferimento in navigazione).

Sull’elegante ovale del viso si stampa un sorrido risoluto. Franco. “Io sono positiva. Sono molto ottimista. La parte marcia si taglia. La casa marcia si abbatte. E si va a costruire altrove. Il Vietnam, nella vita, non serve a nessuno. La via d’uscita deve esserci”.

Si muove nella stanza. Si è sempre mossa pochissimo. Ma la fine della nostra conversazione è prossima. Forse sente la libertà, chissà. Forse ha preso atto che non ci sono trappole esplosive in questi ragionamenti condivisi. Mi guarda meglio, come a mettere a fuoco che sono uno sceneggiatore. Lei è molto attiva in questa Mostra e segue tutto quello che coinvolge la cinematografia dell’est europa. “Ho visto ‘diario di un criminale’. Un racconto ucraino. E mi ha colpito. Questo ragazzo… ad un certo punto è al fronte, e manda messaggi whatsapp alla sua ragazza. Ha una premonizione e gli dice ‘non ne uscirò vivo’. Poi una granata lo centra, e muore. Vediamo il funerale. Poi la sua ragazza va via. Cambia vita. Va in Spagna… il film la racconta. I loro messaggi… ecco, capisci? In un conflitto tu cerchi di portare a casa la pelle. Questa è la sostanza. E spesso non ce la fai. Ma chi sopravvive porta a casa i traumi. Dentro di te, un po’ morto lo sei pure tu”.

Si muove. il discorso è chiaro. Dunque è finito.

Esco. Venezia, battelli e barche da trasporto in movimento. Un vento perfetto e pulito a disegnare cieli perfetti e chiari.

La guerra, questo gridarsi fino a rendersi muti, colpisce tutti. Qualcuno perde un braccio, una parte di sé. Qualcuno ci lascia la pelle.

Ma inevitabilmente, un po’ morti lo siamo pure noi.

Testo e foto di Andrea Vernier
Inviato WGI a Venezia

Il bollettino dello scrittore – I report dell’inviato di Writers Guild Italia (WGI) dalla 82. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica (27 agosto – 6 settembre 2025).