Il bollettino dello scrittoreVenezia

Bollettino n. 8

Andrea Vernier,  sceneggiatore e socio della Writers Guild Italia, osserva e vive, dal nostro particolare punto di vista di scrittori, gli eventi della 82. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025)

“Bisogna finirla questa guerra, no? speriamo che sia l’ultima.

Oh, non ti fare illusioni, ritorna alla realtà”

(Jean Gabin nella parte del tenente Marechalda La grande Illusione, di Jean Renoir, 1937)

 

“Come stai?”

“Sono cambiato. Mi ha cambiato. Profondamente. Sono nel pieno dei pensieri. Sono a disagio”.

A volte non serve presentarsi. Perché si è già connessi. Noi lo siamo. Ma forse ora non lo conosco – non più davvero. Davanti a me, seduto come fosse sprofondato in una nebulosa sprovvista di bordi solidi a cui appigliarsi, c’è un uomo che fatica fisicamente, mentalmente, a trovare le parole. Le scandisce piano. Delicato. Come facesse tutto male. Forse – penso soprattutto – faccia male mettere a fuoco le cose. Ovvero capirne la portata.

“Cosa ti mette a disagio?”

“Il bisogno di sventolare bandiere. Di prendere parte in modo fanatico ad un conflitto molto complesso in cui escono tutti perdenti. E invece tutti vedono il torto solo da una parte”.

Si prende lunghe pause. Ha il volto affilato come un santone arso dal deserto. La barba rada ma aguzza, fatta di schegge. E’ provato. Fuori, nello sguardo. Dentro, nel pensiero.

“È quasi metà della mia vita, Israele. E dunque ha delle corde emotive profonde – anche idealizzate, lo capisco… Vedere la fanatizzazione delle masse che cavalca uno sfogo animalesco… mi lascia davvero senza parole”

È come se la voce gli sparisse in gola. Un fatto fisico. Un qualche buco nero che non permette all’energia di uscire, per ricacciarla dentro, nel nero assoluto. Nell’assenza di termini e di suoni.

Io non dico nulla. Non muovo nulla. Solo il cielo chiazzato di bianchi ammassi pensierosi nei suoi occhi. Riprende.

“Mi sento solo. Isolato da un mondo di intellettuali che credevo in grado di pensare, analizzare, capire… e invece vedo la massa, la folla, il mostro conformista… E penso a quelli che erano con me nel bunker. E sono soli, loro. Isolati…”

Ci sono occhi che sono ponti. Ma solo a vederli capisci. Solo respirandoli puoi forse, forse, percepire qualcosa di quel che naviga dentro. Lui sta facendo una fatica enorme per fare da ponte. Noi, qui, sotto cieli in pace. E loro, lì. Nei bunker.

“Non mi era mai capitato di sentire un odio così indirizzato su di me. Su di me in quanto israeliano, e basta…”

Lo vedo torcersi. Forse è il caso di uscire da questa pozza d’angoscia. Provo a razionalizzare.

“Cos’è un conflitto, per te?”

“E’ quando, tra due parti, una non riconosce più l’altra” mi dice dopo aver cercato le parole. “Una cosa è non essere d’accordo. Ma quando non riconosci più l’altro, di fatto lo vuoi cancellare. Questo è un conflitto.”

“La guerra sembra un concetto. Ma tu l’hai vissuta. Dunque: cos’è stata e cos’è la guerra, sentita sulla pelle?”

“La paura della fine di Israele. Sentire fisicamente che sei corcondato da popoli che non riconoscono la tua esistenza e che ti vogliono cancellare.” Sono sorpreso. Gli ho chiesto di lui, personalmente. E ha risposto di getto – ma parlando di Israele. Ecco perché è così, come sfilacciato. Riconoscersi in qualcosa che si sta frantumando. Lo guardo bene. Ne avverto quasi fisicamente la difficoltà. Infatti si contorce sulla sedia. Si piega di lato. Poi si raddrizza. E’ un pino scosso dal vento. “La guerra è la morte tua. Che stai per morire. E’ straziante. Non hai rete. Non hai senso del tempo. Sei appeso all’adrenalina…”

Mi chiedo dove siano in questo istante quelle pupille azzurre limpide. Nel bunker sotto i missili, immagino. Mi vengono i brividi. Lo vedo sbarrato dentro di sé, nel bunker.

“La guerra è sempre guerra. Ci raggiungevano i messaggi che avvisavano dei missili in arrivo, e si andava nei rifugi. Sai; sei nel 2025, con la tecnologia… ma siamo sempre lì: corri nei rifugi. E svanisce il senso del tempo. Sei seduto in un luogo sotto terra e speri che il missile non colpisca l’edificio, che il bunker resista. Per dire; io ho capito solo adesso, ed in pieno, i racconti che pensavo fossero lontanissimi, di alcune guerre del ‘900… La mia angoscia era per la famiglia, che mi era lontana…”

Si stringe la mani attorno alle ginocchia di gambe altissime. Sembra cingersi, tenersi. Per non perdersi.

A lui è capitato che la guerra con l’Iran scoppiasse mentre costruiva percorsi riabilitativi per bambini, assieme ad uno psicanalista di Tel Aviv – un pezzo di quella laboriosa società israeliana aperta al prossimo e con mille progetti fattivi per costruire futuri migliori. E mentre lui cuciva, qualcuno ha strappato. Poi tutto precipita: chi è dentro resta dentro. La guerra trasforma i confini nazionali in prigioni. Perdi all’istante la tua vita normale e diventi un prigioniero.

Voglio uscire da questa cella di silenzio. Parlo.

“Cos’è la fine, per te?”

“Per me è un’angoscia. Perché… La fine, ne sono convinto, è una trasformazione. Intendo che non esiste una fine definitiva. Sono cicli, per me. Ma l’angoscia… l’angoscia è pensare al 7 ottobre; quel giorno era vita, balli, gente comune… e invece ora è la possibilità di una fine imminente. Improvvisa. Mi angoscia profondamente di come quell’azione sia riuscita a costruire una volontà di fine – ora condivisa da moltissime persone”. Si mette seduto meglio, più diritto. Come avesse trovato un perno su cui farsi forza. “Israele è reinventarsi. Si; con grandissima forza inventarsi, reinventarsi. Contro ogni avversità – una costante, nella loro storia. E invece loro si reinventano. Futuro e possibilità; questo è il popolo ebraico per me. E invece ora avverto la minaccia della fine. Magari solo della forma di questa esperienza storica – di cui sono partecipe. Ecco, per me questa tragedia sarebbe la fine”.

E’ storica, politica, la fine. E mi guarda ora dritto nelle pupille, con grandi occhi azzurri, sinceri. Liberati.

 

***

 

La Mostra si avvia alla sua conclusione. Il viale davanti al Palazzo del Cinema sembra Feste di Piazza, di Bennato.

Prima della Mostra si addensavano pensieri, domande oscure come il futuro. Poi è arrivata lei, la Mostra, con la sua grandinata di idee solide. Proposte e letture e sguardi – con appresso la gigantesca macchina organizzativa che trasforma fisicamente tutto quello in prodotti, in viaggi condivisi. E’ un processo solido quanto una massa di corpi da attraversare. Ed erano tanti, i corpi, in questi giorni, qui, al Lido.

Ma qualcuno è rimasto altrove. Forse è ancora prigioniero.

Torneranno cieli diversi. Forse. Un giorno.

Libera nos a malo.

Testo e foto di Andrea Vernier
Inviato WGI a Venezia

Il bollettino dello scrittore – I report dell’inviato di Writers Guild Italia (WGI) dalla 82. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica (27 agosto – 6 settembre 2025).