Noi li vogliamo in sala
Il Roma Creative Contest crede nei corti.
Si sta svolgendo nella capitale il Roma Creative Contest (13 settembre – 4 ottobre) organizzato per la quinta volta dalla Associazione Images Hunter, con un concorso di cortometraggi con varie sezioni e un inedito Screenplay contest, ovvero una prova di scrittura in tempo reale che si è tenuta al Maxxi sabato 19 settembre.
I corti vengono proiettati al Teatro Vittoria (13,19,27 settembre) dove si svolgerà anche la serata finale della premiazione il 4 ottobre.
Presidente Onorario del Festival è Giuseppe Tornatore, che ha rilasciato – il 19 al Maxxi – una lunga intervista pubblica, a mo’ di masterclass, con Mario Sesti.
Raffaele Inno è uno dei direttori artistici del Festival: gli abbiamo chiesto cosa ne pensa delle proposte e dei giudizi sui corti uscite a Venezia, sul loro utilizzo come accesso alla professione.
Raffaele, fai parte dell’Associazione Culturale Images Hunters e della direzione del festival internazionale di cortometraggi Roma Creative Contest, che arriva oggi alla quinta edizione. Chi nasce prima il festival o l’associazione?
Prima l’associazione che è stata fondata da Lorenzo Di Nola e Brando Bartoleschi con lo scopo di promuovere il cinema. Siamo tutti appassionati, lavoriamo ciascuno in un settore diverso della cinematografia. Abbiamo anche una piccola società di produzione con cui realizziamo dei corti, da soli o in co-produzione.
Soprattutto sosteniamo il miglior corto che vince il festival, in partnership con Division, uno tra i rental più importanti d’Italia che mette a disposizione tutta l’attrezzatura necessaria per quindici giorni di riprese. Tutte le persone che lavorano qui al festival sono tutti soci, tutti professionisti, tutti volontari, tutti giovanissimi.
Perché avete fondato quest’associazione, non c’era spazio per voi altrove?
Tutti noi abbiamo realizzato giovanissimi dei corti, abbiamo partecipato ad altri festival e ci è venuta voglia di farlo noi un festival, non soltanto come occasione di cultura, ma anche di divertimento.
Come vi siete conosciuti?
Io sono di Napoli, ma ho studiato a Roma dove ho conosciuto Lorenzo e Brando, che avevano da poco fondato l’associazione. Abbiamo lavorato assieme su un progetto a distanza, negli anni il gruppo si è ingigantito: anche i concorrenti e i vincitori dei vari festival hanno aderito perché hanno trovato un ambiente piacevole, di coetanei, a cui comunque non abbiamo imposto limiti.
Cioè, chiunque può entrare nella vostra associazione, anche non professionisti, anche semplici fan, anche non giovani?
Certo, purché motivati e disposti alla condivisione
Torniamo al premio, alla realizzazione del corto vincitore.
Il nostro premio è un incentivo, un aiuto concreto. Il primo anno ha vinto Giuseppe Marco Albano, con un corto Stand by me. Poi, grazie al nostro premio ha realizzato Thriller che ha vinto i David di Donatello. Anche il corto La partita è nato grazie al nostro premio. Come valore di fatto possiamo calcolare un impegno sui 15 mila euro, calcolando materiale e attrezzisti al top di gamma.
Come trovate i soldi?
Quest’anno abbiamo preso il contributo del MIBACT, partecipando al bando per le iniziative di promozione cinematografica, e poi abbiamo degli sponsor privati, tra cui Unicredit, Acea ed Enel. Noi che ci lavoriamo non prendiamo nulla ed è già un contributo economico importante. Poi, otteniamo il sostegno ai diversi premi offrendo visibilità a ditte specializzate in settori dedicati alla cinematografia che trovano il loro interesse ad entrare nella manifestazione e nella realizzazione dei film.
A Venezia, è stato detto che il 10% dei corti non vengono distribuiti e quindi non c’è rientro. Soldi buttati?
Be’, finché il cortometraggio verrà considerato un genere minore e quindi si continua a tenerlo lontano dal grande pubblico, ragionando solo in termini di rientro economico, sì saranno soldi buttati. Però, l’investimento sui corti, in genere ha finalità diverse dal rientro monetario: serve a mettere in luce il talento dei giovani registi.
Vuoi dire che il corto è sempre un’autoproduzione dell’autore?
No. Chi sa meglio produrre sa anche meglio vendere. Non in Italia, magari, dove c’è poca cultura del cortometraggio: altri paesi, se il tema è “internazionale”, possono essere una buona piazza, soprattutto in termini di visibilità. Noi, grazie anche all’aiuto del nostro Presidente Onorario Giuseppe Tornatore, stiamo cercando di far tornare in sala i corti ripristinando l’obbligo di legge della proiezione prima del film.
Avete già parlato con Franceschini?
No, stiamo preparando una petizione e una serie di progetti per incentivare la micro produzione, di cui uno è lo Screenplay Contest che ha avuto la sua prima edizione quest’anno, con un numero altissimo di partecipanti, più di 200 scrittori, professionisti e dilettanti, di tutte le età. Abbiamo consegnato loro un dialogo di quattro battute attorno al quale dovevano scrivere la sceneggiatura di un corto di tre minuti.
Perché tre minuti?
Perché per scrivere una storia così corta devi essere capace di sintesi (quindi la selezione è forte) e poi perché tre minuti è la misura giusta per inserirsi (il nostro obiettivo) in uno spazio tra le pubblicità e il lungometraggio.
Come vi è venuta in mente questa formula delle quattro battute?
Lo fa la Bombay Sapphire che produce alcolici e sostiene un concorso con questo sistema: 4 battute e un corto da costruire attorno. Loro ne premiano cinque, sei, con un budget altissimo a disposizione, e ne escono corti bellissimi: anche se le battute sono le stesse, le soluzioni sono estremamente diverse e varie. Noi abbiamo aggiunto al loro schema un limite di tre minuti del corto e di otto ore per scrivere la sceneggiatura.
Ci sveli quali sono queste quattro battute?
Eccole.
A Venezia, il corto è stato anche visto come uno strumento per generare poesia e proteggere la cultura europea da quella americana. Tu che ne pensi?
In parte è vero: la brevità è un limite ed uno stimolo per arrivare all’essenziale e, dove c’è talento, ad un linguaggio riconoscibile e personale. Ti cito la nota espressione di Blaise Pascal: “Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve”. I corti più belli sono quelli dove la storia inizia, finisce e c’è tutto: sei appagato. L’autore ha saputo raccontare tutto quello che serviva, nel miglior modo possibile.
A Venezia, hanno proposto di distribuire i corti nei concerti…
Noi lo faremo. Il 25 settembre ci sarà un concerto enorme, con Danger. Per festeggiare la quinta edizione porteremo sul palco di Eutropia uno dei maggiori rappresentanti dell’elettronic music francese.
Secondo te i corti corrono il rischio di diventare autoreferenziali, sono il contrario dell’industria?
Noi spingiamo perché alla produzione di un corto concorrano tutte le figure professionali, ci siano regista, sceneggiatore, produttore come nella grande industria. Quando si riesce a condividere, vai oltre quello che hai pensato e il risultato è certamente migliore. L’autoreferenzialità direi che è un problema dei registi, non della misura del film.
Altrove, in Danimarca e in Francia, lo Stato si preoccupa di creare un ponte tra scuole di cinema e mercato. Secondo te ci vorrebbe anche in Italia?
Uno spera che le scuole abbiano l’obiettivo di formare delle persone e inserirle subito nel mercato. Perché poi non ci si riesca, è un mistero.
Qualcuno di voi ha frequentato il Centro Sperimentale?
No. Nessuno di noi.
L’intervista è a cura di Giovanna Koch