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Delta

Lo sceneggiatore Fabio Natale: «il selvaggio è soprattutto quello che si ha dentro»

È stato definito un ‘western fluviale’, perché “Delta”, diretto da Michele Vannucci e da lui scritto con Massimo Gaudioso, Fabio Natale e Anita Otto, è la storia di una comunità di pescatori del Po che si scontra con un gruppo di bracconieri venuti dall’est in terra di confine, in parte abbandonata dallo Stato.

Il film vede protagonisti due uomini, Elia (Alessandro Borghi) e Osso (Luigi Lo Cascio), travolti dalla violenza cieca e dalla sete di vendetta. I due si affrontano tra le nebbie del Delta scoprendo la propria vera natura in un duello che non prevede eroi.

Lo sceneggiatore e nostro socio Fabio Natale racconta la nascita e lo sviluppo di una storia profondamente umana, ma dai contorni sfumati.

 

Fabio, in che senso “Delta” è un ‘western fluviale’?

In tutte le interviste Michele [Vannucci] parla di un “western fluviale” per questo film, perché si tratta della storia di una comunità di pescatori ecologisti che si trova a scontrarsi con quella dei bracconieri. Il racconto è ispirato alle storie reali del Delta del Po, nel ferrarese tra l’Emilia e il Veneto. I bracconieri fanno una pesca distruttiva utilizzando l’elettrostorditore e uccidendo i pesci, mentre le guardie ittiche cercano di preservare la natura del posto. Da questi presupposti nascono una serie di eventi tragici che portano i due personaggi protagonisti, Osso, la guardia ittica, interpretato da Luigi Lo Cascio, ed Elia, bracconiere del posto, interpretato da Borghi, ad affrontarsi. Al centro del film c’è la lotta dell’uomo contro la natura e, in senso traslato, della ragione contro l’istinto, in una terra di frontiera dove l’autorità non ha potere, la legge dello Stato non attecchisce e bisogna farsi giustizia da soli.

Cosa significa che si tratta di un film ambientato in una terra di frontiera?

Questi due personaggi si trovano ad affrontarsi proprio fisicamente in una terra dove l’equilibrio sociale è dettato molto più dal singolo individuo che reagisce all’ambiente circostante, piuttosto che da norme calate dall’alto. La nostra frontiera non è il lontano West dei pionieri americani, dei cowboy e degli indiani, ma il Delta delle Po che è un luogo dove la vita segue il ciclo della natura. Il Po dà vita e genera uno dei microcosmi con più biodiversità al mondo e con tantissime specie di flora e di fauna. Allo stesso tempo il fiume fa paura, è selvaggio, va domato e porta distruzione anche al livello interiore perché rappresenta la metà non illuminata della nostra anima. Il film parla un po’ di questo: il selvaggio è soprattutto quello che si ha dentro. Questo luogo, raccontato anche attraverso la bellissima fotografia di Matteo Vieille, molto cupa, molto nordica, non sembra quasi Italia, è un vero e proprio elemento drammaturgico del film perché forgia questi personaggi.

Chi sono Osso ed Elia?

Osso, il personaggio di Luigi Lo Cascio, lavora in una diga quindi doma il fiume, cerca di arginarlo, è molto razionale, manuale, cerca di dominare la natura e a un certo punto metaforicamente questo fiume straripa. Luigi Lo Cascio è stato incredibile nell’incarnare tutto quello che era soltanto su carta. Osso affronta questa situazione e ha una trasformazione da uomo pacifico, ecologista. Il suo principale compito è quello di contrastare le industrie che sversano materiali inquinanti nel fiume, ma ha anche una storia personale drammatica alle spalle: il padre è morto di tumore proprio per questi sversamenti. È un personaggio che evita in tutti i modi il conflitto, vive in una comunità che si sente minacciata, aggredita dall’ingerenza degli stranieri che vengono a pescare nel loro fiume, che è la loro vita e di cui loro rispettano tutte le regole strettissime. Dal punto di vista delle autorità, però, la questione è di poco conto; quindi, nasce una volontà di farsi giustizia da soli. Osso è un vero eroe tragico nel senso più classico del termine, si trova a fronteggiare un destino spietato, rimette in discussione tutto e si abbandona alla sua parte più nera, più primordiale, diventa un animale. Il personaggio di Borghi, Elia, ha una tensione contraria. Fa un percorso per cercare di affrancarsi dall’istinto, dall’animalità. Vive in questa comunità di Bracconieri, ma cerca una sorta di redenzione attraverso l’amore. Anche Elia fa un percorso, aspira alla normalità, a un riconoscimento sociale. In questo senso i due protagonisti sono due personaggi speculari. Quello di Luigi Lo Cascio subisce una fascinazione per quello di Borghi, perché è un personaggio a suo modo represso, che non ha mai avuto modo di esplorare quali fossero veramente le proprie aspirazioni, i propri desideri, la propria interiorità, e ha dovuto prendersi cura della sorella dopo la morte del padre. Questi due personaggi si incontrano ed è un continuo passare da vittima a carnefice. Elia si ritrova a dover reagire, a prendere delle decisioni in pochi istanti, forse sbagliate, ma per garantire la sopravvivenza della propria famiglia, e si ritrova ad uccidere. Nel film c’è un doppio punto di vista, portato dai due personaggi e abbiamo cercato di raccontare sia l’umanità che le ragioni di entrambe le fazioni.

Come avete lavorato alla sceneggiatura del film?

Michele era rimasto affascinato dalla storia delle guardie ittiche e dei pirati del Po. Ha fatto un lungo lavoro e ha cominciato a incontrare queste persone, a parlarci. Sicuramente molti meriti vanno al regista, ma si è trattato di un lavoro collettivo, c’è stato un grande spirito di squadra. Massimo Gaudioso in particolare per me è un vero e proprio maestro, non solo è stato letteralmente il mio insegnante alla scuola di cinema, ma è stato anche la persona che mi ha fatto avvicinare a questo mondo. Anni fa mi ha consentito il privilegio di cominciare a collaborare con lui su diversi progetti. Ho seguito tutta la scrittura de “Il racconto dei racconti” dove ho conosciuto anche Ugo Chiti con cui poi ho lavorato dopo.

L’intervista è a cura di Vania Amitrano

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