Scrittori a festivalWriters

Trepalium

La WGI è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati  dagli organi di informazione.
La Writers Guild Italia è membro della FSE – la Federazione degli Sceneggiatori Europei e come tale condivide con le Guild dei vari paesi europei non solo le politiche in difesa del diritto d’autore e della categoria, ma anche una prospettiva culturale di emancipazione dello scrittore europeo a fronte della sfida lanciata dalla serialità USA.

In questo senso, oggi, 31 maggio, mentre il nostro socio Vinicio Canton segue per noi a Bruxelles la giornata della Creators Conference di cui la FSE è parte trainante, vogliamo condividere l’intervista presentata a gennaio sul sito de La Guilde francese (che ringraziamo) ai creatori della serie Tv Trepalium, che è stata presentata al Roma Fiction Fest ed è andata in onda lo scorso febbraio su ARTE.

La serie, scritta da Sophie Hiet e Antarès Bassis, fa parte di un progetto ambizioso, – e per noi italiani ancora impensabile – che consiste di successive serie di 6 episodi che individuano ciascuna un problema del mondo di oggi e lo trasferiscono in un ipotetico mondo del domani.

Il termine “trepalium” appartiene al latino medievale parlato nel territorio francese e indica un sistema di tortura che si basa sui tre pali necessari per legare il cavallo che doveva essere ferrato. Da “trepalium” sono derivati sia il francese “travail” che indica il lavoro, sia l’inglese “travel” che indica il viaggio.

Antarès, Sophie, qual è stato il vostro percorso professionale?

Antarès: Ho studiato cinema all’Università di Parigi, dopo ho realizzato due mediometraggi. Al momento sto cercando i finanziamenti per il mio primo lungometraggio e sto lavorando anche su due documentari. Oltre ad occuparmi di regia, insegno.

Sophie: Ho frequentato la scuola di cinema della Femis in sceneggiatura, da cui sono uscita nel 2001. Abbastanza in fretta ho iniziato a lavorare sia per il cinema che per la televisione. Sono stata dialoghista per la soap Plus belle la vie per quattro anni. Dal lato cinematografico lavoro insieme alla regista Julie Lopes Curval: ho scritto tre dei suoi lungometraggi e una mini-serie per Arté che andrà in onda tra poco. Scrivo anche con Antarès, ho collaborato alla scrittura dei suoi mediometraggi e del suo lungo.

Da quanto tempo lavorate insieme e come vi siete incontrati?

Antarès: 15 anni fa quando ero ancora studente, volevo fare un adattamento di un racconto di Philip K. Dick, Le formiche elettriche, per un cortometraggio. Cercavo uno sceneggiatore che amasse il genere e così ho conosciuto Sophie.

Sophie: Il tema del racconto di Dick era il lavoro e mi interessava molto: si parlava di un dirigente di un’impresa che si taglia la mano in un incidente e scopre così di non essere un umano, ma un androide.

Antarès: Abbiamo lavorato sull’adattamento per alcuni mesi, poi ho chiamato l’agente di Dick a Hollywood per ottenere i diritti della novella e lui mi ha riso in faccia: stava negoziando con Spielberg per Minority Report, chi ero io?! Un povero studente francese? Non c’era nulla da fare! Abbiamo abbandonato il progetto, ma avremmo dovuto andare avanti malgrado tutto.

Il vostro incontro quindi è stato all’insegna del tema del lavoro nel futuro…

Sophie: Si, è vero… Per caso, tempo dopo, un produttore mi ha contattata perché voleva proporre una collezione di film tv sul tema “I cambiamenti del lavoro nel futuro” per Arte. Ho avuto questa idea: in un futuro prossimo il governo è preoccupato perché i consumi stanno calando sempre di più. Per dare più potere d’acquisto ai disoccupati e rilanciare i consumi, si decide di imporre alle persone attive con reddito elevato di assumere un disoccupato presso di loro. Era da capire come andassero impiegati questi disoccupati. La storia si intitolava Il lavoro vuoto. La collezione non si fece, ma Antarès si era innamorato dell’idea e decise di farne un mediometraggio.

Antarès: Mi sono appassionato a questa idea a tal punto che nello stesso periodo mi misi a lavorare su un documentario sul “vuoto sociale” legato alla perdita del lavoro. Sono andato a incontrare i disoccupati a lungo termine, anche dei senzatetto, che avevano perduto tutto. Eravamo molto sensibili rispetto a questo argomento.

Come siete passati da questo mediometraggio alla serie Trepalium?

Antarès: Io e Sophie avevamo perso le speranze. Quando scrivevamo Il lavoro vuoto avevamo prima una versione molto più lunga, che siamo stati costretti a ridurre per poter finanziare il progetto. Sapevamo che la storia, i personaggi e le intenzioni formavano un materiale molto ricco, che avremmo potuto sviluppare comunque, ma non sapevamo bene in che forma: lungometraggio, mini-serie… Ci domandavamo se era possibile fare della fantascienza d’anticipazione distopica in Francia: un genere che non esisteva davvero né al cinema, né in televisione. Abbiamo abbandonato l’idea in un angolo delle nostre teste.

Sophie: Poi sono passati gli anni e vedevamo la situazione economica che si deteriorava, con la crisi dei subprimes, la disoccupazione al galoppo… A volte ascoltando le notizie ci dicevamo: è una follia siamo già in una distopia! Mi ricorda la storia di una fabbrica di cioccolato in Italia dove, per lottare contro la disoccupazione, si proponeva agli impiegati più anziani di lasciare il posto ai loro stessi figli, che non riuscivano a trovare lavoro. Una situazione folle!

Perché avete scelto Katia Rais (Kelija)? È una scelta strana considerato quello che produceva, soprattutto all’epoca?

Sophie: Quando ho lasciato Plus Belle la vie, sono stata chiamata come rinforzo su Bienvenue ches les Edelweiss. È così che l’ho conosciuta. Ed è andata bene. Dopo lei mi chiamò perché cercava dei progetti, quando ancora era a Telfrance. Le ho parlato del mediometraggio che aveva fatto Antarès. Le è piaciuto e così ci siamo lanciati.

Arte era il canale più ovvio per questo progetto?

Antarès Abbiamo pensato ad Arte e Canal+… Su Arte avevano già trasmesso due progetti di fantascienza d’anticipazione, come Une famille parfaite, di Pierre Trividic e Patrick-Mario Bernard, e Les sanguinaires, il primo telefilm di Laurent Cantet.

Vi siete documentati molto?

Antarès: Abbiamo visti parecchi documentari sulla questione, come La Gueule de l’emploi di Didier Cros o La Mise à mort du travail di Jean-Robert Viallet. Questi film ci hanno segnati profondamente. Di fiction c’è tutto un cinema sociale, realista, come Risorse Umane e A tempo pieno di Laurent Cantet…

Sophie: C’è anche il lavoro del sociologo Dominique Méda. Ci piace anche il piccolo saggio Le droit de la paresse (Il diritto alla pigrizia) di Jules Lefargue. Non lavorare più è una bellissima prospettiva, trovo!

Antarès: Da quando la rete ha detto di si, tutto è andato molto velocemente. Se c’erano degli incontri da fare e della documentazione da trovare, non si poteva che fare in maniera indipendente: non c’erano finanziamenti, né dalla rete né dalla produzione, per avere dei consulenti. Ad ogni modo avevamo urgenza di scrivere, non c’era più tempo.

E per i riferimenti legati al genere, da cosa siete stati influenzati?

Antarès: Abbiamo due grossi riferimenti nei film di fantascienza d’anticipazione: Gattaca, scritto da Andrew Niccol e I figli degli uomini, scritto da Alfonso Cuaron, Timothy J. Sexton, David Arata, Mark Fergus e Hawk Ostby, tratto da P.D. James, perché entrambi trattano tematiche attuali e universali in modo sobrio, senza dispiegamento di mezzi, senza effetti speciali magniloquenti. I figli degli uomini sembra addirittura che si svolga al giorno d’oggi. È la stessa modalità che volevamo per Trepalium.

Sophie: Abbiamo visto anche molte serie. Durante la scrittura abbiamo scoperto Real Humans, trasmesso appunto da Arte. Abbiamo adorato il modo di fare fantascienza con quasi niente, di abbordare tematiche appassionanti, al cuore dell’umanità dei personaggi, con questa semplice idea: l’attore che si vede è un robot! Funziona perfettamente, è geniale!

Antarès: Mentre pensavamo ai nostri personaggi del Primo ministro e del Ministro del lavoro, abbiamo visto serie politiche come Boss, House of Cards, Borgen… Anche le serie Rome e The Wire hanno ispirato la scrittura, perché entrambe raccontano il declino di una società, attraverso una città e i suoi diversi punti di vista.

Sophie: E’ stato un piacere inaudito sviluppare la storia e i personaggi nel quadro di una serie, perché in termini di narrazione volevamo giocare la carta del romanzesco, con degli intrecci, delle rivelazioni, dei momenti quasi melò… Lavorare con Judith Louise, che all’epoca era ad Arte, e Adrienne Frejacques è stato molto costruttivo perché eravamo tutte d’accordo: volevamo parlare del mondo attuale ma sfruttando i codici della serie. La parola chiave era romanzesco!

Vi hanno imposto dei limiti nella scrittura?

Sophie: La scrittura è abbastanza classica. Era già abbastanza complicato definire questo universo, volevamo rimanere all’altezza dei personaggi. La nostra paura era di perderci in dettagli dell’universo, del suo funzionamento e delle regole nuove.

Antarès: Avevamo paura che fosse troppo particolare, visto che il rapporto con il genere della fantascienza è difficile in Francia. Volevamo rimanere sobri nella scrittura, ma giocando tutti i codici del genere.

Concretamente quanto tempo ci è voluto per la scrittura? Quali sono state le diverse fasi?

Sophie: Tra l’incontro con la produttrice e la luce verde di Arte è passato un anno. In sei mesi abbiamo scritto un documento con il concept, i personaggi e il soggetto del pilota, che abbiamo mandato ad Arte. Ci sono state un po’ di andate e ritorni prima della loro approvazione a dicembre 2012. In parallelo abbiamo ottenuto il Fondo di Aiuto all’Innovazione del CNC. È stato un aiuto fondamentale, perché la remunerazione dei soggetti da Arte non è granché. È stato davvero prezioso.

Antarès: Inizialmente Arte ci ha commissionato i trattamenti dettagliati dei sei episodi e i dialoghi del primo. Per questo lavoro ci è voluto un anno. Con Sophie abbiamo deciso di fare solo questo. È stato un vero lusso consacrarsi a un progetto solo. Ci è andata bene.

Sophie: In seguito la rete è stata soddisfatta e hanno ordinato le altre cinque sceneggiature. A questo punto il calendario si è accelerato; la produzione voleva girare rapidamente, sono arrivati in rinforzo due sceneggiatori, Sébastien Mounier e Thomas Cailley. Questa accelerazione ha fatto si che la serie si girasse molto in fretta, che può essere considerato positivo visto che le riprese si sono fatte dopo due anni di scrittura – un tempo abbastanza corto in Francia – ma questo si è rivelato anche frustrante per noi, che avremmo voluto lavorare meglio su certe cose.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Sophie: Sto lavorando su un adattamento di Harlan Coben, sei episodi da 52’ per TF1, Juste un regard, e faccio da rinforzo su una serie per Arte di Jean-Xavier de Lestrade e Antoine Lacomblez, ma solo per la fase di scrittura delle sequenze.

Antarès: Sono tornato alla regia di documentari. Ho in progetto la regia di un lungometraggio thriller, scritto sempre con Sophie. E abbiamo molta voglia di proporre un nuovo progetto di serie ad Arte.

La traduzione dell’intervista è a cura di Fosca Gallesio

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