Italia

Donne e audiovisivo

Gap&Ciack – primo rapporto del progetto DEA al TFF34

Mercoledì 23 novembre, nell’ambito del 34° Torino Film Festival, è stato presentato Gap&Ciack, il primo rapporto DEA – Donne e Audiovisivo, ricerca triennale realizzata dall’Istituto Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR con il sostegno di SIAE.

Tra le relatrici era presente la nostra socia Mariangela Barbanente. Ecco il suo rapporto per WGI a proposito dell’evento

Il progetto DEA – Donne e Audiovisivo si propone di raccogliere informazioni sulla presenza femminile nelle professionalità creative del settore audiovisivo italiano, di analizzare le cause (e gli effetti) della scarsa presenza di donne, e produrre un impatto concreto non solo in un ambito di conoscenza e consapevolezza, ma anche sui sistemi di produzione e sulle politiche del settore fornendo le indicazioni necessarie a superare questo gap.

Al tavolo, lo scorso 23 novembre, eravamo Maura Misiti, primo ricercatore dell’IRPPS-CNR, Ilaria De Pascalis dell’università Roma Tre ed io, in rappresentanza di Doc/it e del comitato scientifico che supervisiona il progetto di ricerca.

Pochi minuti di conferenza, tra la proiezione di un film e l’altro (il programma del Torino Film Festival è come sempre ricchissimo), in una giornata di pioggia. Forse era per questo che c’erano poche persone – quasi esclusivamente donne – o forse anche a causa di un luogo comune: l’idea che si ha di questi progetti è che si tratti delle solite pretese delle solite femministe, una battaglia ideologica più che di contenuti. Non è così.

È possibile trovare il video dell’evento sul canale youtube del festival; in queste poche righe voglio soprattutto parlare del perché di questa ricerca e soprattutto dell’obiettivo che si pone: ridurre il divario tra donne e uomini nelle professioni creative dell’audiovisivo.

E’ ampiamente dimostrato che il modo in cui descriviamo le cose (e le persone) influenza il modo in cui quelle cose (e persone) possono essere percepite, ricordate e pensate: lo hanno scritto tre sociologi di fama mondiale (Darley, Glucksberg e Kinchla in “Fondamenti di Psicologia”, il Mulino 2005) ed è una verità lapalissiana.

Eppure ce ne dimentichiamo spesso. L’industria dell’audiovisivo ha un’importanza strategica nella formazione (ma anche eliminazione) degli stereotipi di genere, per questa ragione deve essere espressione di sguardi e punti di vista diversi. Questa pluralità di sguardi, però, nel nostro cinema non c’è.

Nell’ultimo decennio circa, soltanto il 9,2 % dei film italiani usciti al cinema era diretto da donne e si tratta generalmente di film a basso budget con una circolazione limitata (spesso a causa della mancanza di investimenti nella promozione). Solo il 12% dei i film che hanno ottenuto un finanziamento pubblico erano di registe e solo il 21% tra quelli prodotti dalla Rai. Percentuali molto piccole se si considera che a monte, nelle Scuole di Cinema, le allieve di regia sono circa il 40% e che gli aiutoregisti sono per circa il 50% donne. Perché c’è questa strozzatura tra il mondo della scuola, dell’apprendistato e il passaggio a ruoli di leadership come quello del regista? E’ solo un problema di carattere? Noi donne gettiamo la spugna prima di fronte alle difficoltà? Siamo troppo autocritiche, abbiamo meno autostima rispetto agli uomini?

Gap & Ciack, il primo rapporto DEA, racconta l’esistente – quali sono i numeri e qual è la situazione italiana (non solo nel settore Audiovisivo ma anche della Ricerca Scientifica, dell’Imprenditoria e della Politica) – mettendolo a confronto col resto d’Europa e dell’America del Nord. Veniamo così a scoprire che, a parte la Svezia, anche il resto del mondo occidentale ha questo problema.

Tra il 2003 e il 2012 solo il 16% dei film europei con una distribuzione è stato diretto da una donna; in Gran Bretagna le donne sono il 13% dei registi, il 20% degli sceneggiatori.

Negli USA nel 2015, nei principali film hollywoodiani, le registe sono il 9%, le scrittrici l’11%; in Italia l’unico dato disponibile al momento (fonte SIAE) ci dice che registe e sceneggiatrici insieme rappresentano il 25% del totale.

Eppure, a fronte di questi numeri, in proporzione i film fatti dalle donne partecipano e vincono più di quelli diretti da uomini nei festival nazionali e internazionali.

Perché in Svezia invece le donne registe sono numericamente pari agli uomini?

Perché negli ultimi anni la Svezia ha attuato una serie di pratiche di discriminazione positiva all’interno delle strategie di finanziamento pubblico. Ha aiutato le donne, inserendo quote. E su questa strada si stanno incamminando anche il British Film Board nel Regno Unito e l’Irish Film Board in Irlanda che punta a raggiungere la parità di finanziamenti in tre anni (2015-18).

E’ importante che la Politica intervenga per bilanciare gli equilibri. Ed è necessario che anche l’Italia si ponga questi obiettivi. È il momento giusto visto che è stata varata la nuova Legge per il Cinema e si stanno discutendo i decreti attuativi. E’ un’occasione da non perdere.

Bisognerebbe cominciare dalla formazione chiedendo alle Scuole di Cinema (in primo luogo a quelle che ricevono finanziamenti pubblici) di assumere personale docente nel rispetto della parità di genere perché è importante che gli studenti abbiano modelli cui riferirsi (e da cui distaccarsi) che siano sia uomini che donne; che le neodiplomate studentesse dei corsi di regia possano usufruire di programmi di mentoring per i loro primi progetti.

Bisogna proseguire nel mondo della produzione chiedendo che tutte le commissioni di valutazione per la distribuzione dei fondi pubblici siano composte almeno per la metà da donne; che per i film e le sceneggiature finanziate si ponga una specifica attenzione a quelli che affrontano disuguaglianze di genere o che sono proposti da una minoranza (come a tutti gli effetti sono le donne registe).

È vero che se un film è bello, da spettatori ci dimentichiamo di chi l’ha girato o scritto. Certo, si può dimenticare l’autore, ma non il suo contenuto e il contenuto è fortemente influenzato da chi lo crea.

La persistenza di stereotipi di genere è una tra le cause principali della disuguaglianza tra uomini e donne, limita le aspirazioni di carriera delle donne, determina discriminazioni sul mercato del lavoro. Finché l’industria cinematografica continuerà a offrire narrazioni e rappresentazioni del mondo dal punto di vista maschile, resteremo una società maschilista e patriarcale.

Il rapporto “Gap&Ciack” – ricco di grafici e ottimamente scritto da Maura Misiti, Ilaria De Pascalis, Adele Menniti e Pietro Demurtas – potete scaricarlo dal sito del CNR QUI

Per tutto il resto, tocca mettersi al lavoro.

Mariangela Barbanente

Il progetto DEA ha il patrocinio di UNESCO – Roma città creativa per il cinema, è promosso da Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani ed è realizzato con la collaborazione dell’Università Roma Tre e del MiBACT.

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