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21 gradi

La webseries 21 gradi nasce all’interno del LUISS Creative Business Center dall’idea di una docente – la sceneggiatrice e socia WGI Amy Pollicino – e di sette studenti –Bernardo Bricca, Andrea Beluto, Angelo Callerame, Andrea Cancellario, Giulio De Arcangelis, Dario Ferrari, Luigi Tilocca – selezionati all’interno della Writing School for Cinema e Television. La serie offre un’ottima opportunità di riflessione sul branded content, nuova frontiera per il lavoro degli scrittori.

Abbiamo intervistato Amy Pollicino non solo in qualità di head writer della webseries ma anche in quanto “motore” di tutta la faccenda: è lei, infatti, la persona che ha messo in piedi la triangolazione azienda-università-scrittura.

Amy, partiamo dall’inizio. Raccontaci com’è nata 21 gradi.

Da una chiacchierata con un amico, Alfonso Cometti, capostruttura delle produzioni Fiction di Mediaset, è venuta l’idea di proporre a un’azienda il progetto per la realizzazione di una webseries. Attraverso un mio contatto personale con un’importante azienda petrolifera, la TotalErg, ho poi ottenuto il budget per realizzarla.

Poiché dal 2009 insegno scrittura dell’audiovisivo all’interno di un Master Luiss, ho pensato che avrei potuto sviluppare il progetto con un gruppo di studenti, in modo da unire l’aspetto creativo a quello aziendale e didattico. Ho proposto l’idea al direttore del Master, Luca Pirolo, che l’ha accolta immediatamente. L’azienda è stata dunque una sorta di mecenate moderno che ha scommesso sull’innovazione.

Sull’innovazione e sulle storie, aggiungerei. Di cosa parla la vostra webseries?

E’ la storia di due benzinai. Angelo è un giocatore costantemente nei guai. Amedeo è un “sommelier” della benzina, un maniaco dell’idrocarburo. Angelo è bello, simpatico e ama le donne. Amedeo non esce dalla stazione di servizio da tempo immemore, e di nascosto dal gestore Luigi, dorme in un magazzino dove elabora i suoi alambicchi. La storia parte quando, per caso, Angelo scopre che Amedeo ha creato una benzina potentissima la cui immissione nel mercato (nero) potrebbe risolvere i suoi problemi economici, e soprattutto quando l’incorruttibile Amedeo teme, equivocando, che il gestore Luigi voglia licenziarlo. Così scatta il piano “criminale” a cui si associa anche Margot, figlia ribelle di Luigi, che con il ricavato della vendita clandestina, vorrebbe aprire una pasticceria biologica. Ovviamente il piano fallirà, ma le vite dei tre protagonisti cambieranno direzione fino a un finale di stagione aperto a molte possibilità.

Una storia surreale. Le webseries prediligono l’horror, la fantascienza e la sketch comedy: in che genere faresti rientrare 21 gradi? A chi e a che cosa vi siete ispirati?

Direi che si tratta di una black comedy molto cinefila. Dentro ci sono citazioni da Breaking Bad, La donna che visse due volte, Shining, ma anche da Frankenstein junior e da I soliti ignoti. Lo sforzo fatto in scrittura è stato quello di costruire una vera storia con un inizio un centro e una fine, seppure aperta, e con personaggi forti e dotati di un arco di trasformazione. Tutto doveva comunque stare dentro segmenti temporali molto brevi. Non è stato facile ma ci siamo riusciti.

Come siete arrivati a elaborare il tutto (idea, soggetto, sviluppo…)? Avete fatto da soli o vi siete confrontati con qualcuno (marketing dell’azienda, agenzia pubblicitaria…)?

Il brainstorming è stato un vero e proprio corso di scrittura per gli studenti, che hanno risposto in modo creativo, partecipando con entusiasmo. Ci siamo anche confrontati con i dirigenti del marketing dell’azienda, che ha fornito pure le location, il materiale per i costumi e le scene, e l’esperienza dei gestori delle stazioni di servizio.

Definisci in poche parole una brand-webseries. Cosa la distingue dalla pubblicità e dal product placement?

E’ un modo nuovo e ancora sperimentale di unire la dimensione creativa a quella aziendale. Si tratta di utilizzare la grammatica seriale per evocare tematicamente il mondo di un brand. A differenza dalla pubblicità, la storia non ha come fine quello di proporre un prodotto, ma al contrario usa il prodotto o il campo semantico relativo a esso, per proporre a un vasto pubblico una narrazione il più possibile efficace. Se la narrazione arriva, se il pubblico si fidelizza, il brand ha un vantaggio enorme, che costa infinitamente meno della pubblicità intesa in modo classico.

Scrivere per un brand sembra creativamente un limite. Viene da pensare che la storia debba essere per forza di cose accomodante. Poi, a ben guardare, forse non è differente dover accontentare un brand o dover accontentare un editor di rete: sempre valori e prodotti si vendono. Tu che ne pensi?

Scrivere per un brand è una scommessa interessantissima. Soprattutto per due ragioni. La libertà che l’autore ha di poter realizzare la sua idea senza passare attraverso troppe mediazioni una volta scelta la direzione da seguire con il brand. E la sfida creativa: raccontare una storia avvincente, emozionante, divertente, dentro i limiti imposti dal format, ripropone l’antichissima questione dell’artista e del suo committente. Faccio un esempio paradossale, Caravaggio dipingeva santi e madonne per il più forte brand mai esistito, ma dentro riusciva a metterci anche altro, o no?

Hai reso il concetto, anche se qui si aprirebbe tutta la questione sull’identità di noi sceneggiatori, divisi tra chi si sente più artigiano – io, per esempio (Fabrizia, ndr) – o più artista. Tornando invece al punto. Pensi che questa delle brand-webseries possa essere un’opportunità lavorativa reale per gli sceneggiatori? Il mercato è in espansione?

Certamente, anche se è necessario essere reciprocamente molto rispettosi. Il brand deve rispettare la dimensione creativa degli autori. Gli autori devono assumersi la responsabilità di saper evocare al meglio il mondo del brand, anche sdrammatizzandolo o rielaborandone con fantasia i contenuti, ma con una grande onestà intellettuale e professionale. E’ una relazione dove ognuno deve fare la sua parte. Nessuno deve sfruttare l’altro per i suoi soli fini. Così può funzionare.

Ripeterai l’esperienza, con o senza finalità didattica?

Mi piacerebbe molto, la strada ormai è aperta. E’ stata una delle esperienze più interessanti e coinvolgenti che abbia mai fatto.

Writers Guild Italia pensa che ogni prodotto debba arrivare sul web accompagnato da una carta d’identità, al fine di tutelare i diritti degli autori dal saccheggio delle loro opere. Tu cosa ne pensi?

Penso che sia un principio giustissimo. Sono d’accordo con la linea della WGI. Penso che anche i consumatori dovrebbero difendere i diritti degli autori, è l’unico modo per far arrivare a loro prodotti migliori.

Grazie mille, Amy.

Grazie a voi.

L’intervista è a cura di Fabrizia Midulla

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.

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