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L’Era Legale

La WGI è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati  dagli organi di informazione.

Enrico Caria ha scritto e diretto il film L’era legale”, uscito nelle sale a gennaio 2012.

Il tema, la storia e finanche il titolo di questo lungometraggio hanno molte assonanze (e altrettante dissonanze) con il film “L’ora legale”, scritto dal nostro socio Nicola Guaglianone con Edoardo De Angelis, Fabrizio Testini e la coppia di registi-interpreti Salvatore Ficarra e Valentino Picone, uscito nelle sale a 5 anni esatti di distanza, e cioè a gennaio 2017.

WGI ha pensato che intervistare entrambi fosse un’ottima occasione per fare un omaggio alla creatività degli autori (una stessa idea non obbliga a un medesimo sviluppo, anzi…) ed evidenziare un fenomeno tutto italiano, la diversità del percorso produttivo e distributivo legato alle differenti tipologie di narrazione e alle condizioni del sistema in atto, per rafforzare il quale è nata la nuova legge cinema.

Qui l’intervista parallela a Nicola Guaglianone.

Caro Enrico, il primo passaggio obbligato è il pitch: chissà se già dalle prime cinque righe i due film appariranno diversi… Che cosa racconta L’era legale?

Racconta come Amore batte Camorra, nel senso di Nicolino Amore,  una sorta di Chance il giardiniere, che diventa sindaco grazie al suo candore, ma siccome non è fesso, capisce che a soffocare Napoli sono le narcomafie. E poiché siamo nel futuro legalizza le droghe e così taglia le gambe alla camorra. Una favola a lieto fine.

Il film era già pronto nel 2010, ma è uscito nel 2012, dopo essere stato presentato al TFF del 2011… Quali sono state le difficoltà prima produttive e poi distributive?

Mi stai chiedendo se trovare soldi per un mockumentario satirico sul fallimento delle politiche proibizioniste nel paese della Fini-Giovanardi (dove pochi giorni fa un ragazzetto trovato con qualche grammo di hashish si è suicidato), sia stato complicato? Diciamo che davanti a un film che affronta un tema così delicato, i grandi produttori, la Rai e il Ministero… hanno qualche difficoltà a farsi coinvolgere. Allora con Renzo Rossellini e Patrizio Rispo (oltre che protagonista anche co-produttore del film) siamo andati a caccia di tax credit e dato che il copione faceva ridere, siamo riusciti ad alzare un piccolo budget. Moltiplicato grazie agli attori che hanno lavorato in partecipazione e ai tecnici venuti al minimo sindacale. Location gratis, comparse con la frittata di maccheroni… insomma un gran bel clima, perché tutti sentivamo il film come necessario.

Quando hai pensato al film ti sei posto il problema del pubblico?

La mia grande passione oltre al cinema è la satira politica. E sono anni che inseguo nuovi linguaggi per un cinema civile che sia anche divertente: dalla parodia alla black commedy, dal docu-film al mockumentary. Per L’Era Legale i miei riferimenti erano Zelig di Woody Allen, e Micheal Moore per l’uso drammaturgicamente funzionale delle interviste. Con un occhio a Sacha Cohen per le scene e le reazioni delle gente rubate… giravamo sempre con pacchi di liberatorie così. Insomma, linguaggio sperimentale ma barra sempre dritta sul divertissement. E quando il film ha incontrato il suo pubblico è andata molto bene: le prime due settimane di programmazione era addirittura il secondo incasso per copia. E questo senza un quattrino per copie e lancio. Ciò nonostante alla terza settimana l’hanno smontato. Purtroppo a non porsi il problema del pubblico (nel senso che avrebbe il sacrosanto diritto a un’offerta variegata) sono certi meccanismi distributivi.

La scelta della tipologia del film, il mockumentary, è stata una scelta motivata dal budget o più dalle tue esigenze espressive?

La seconda che hai detto.

Un sindaco di Napoli. La tua storia ha in parte a che fare con l’elezione di De Magistris a primo cittadino?

Quando Giggino è stato eletto il film già in montaggio da un pezzo. E’ lui che si è voluto riconoscere nel sindaco del film, tanto che col Comune abbiamo fatto una campagna di affissione antiracket tappezzando Napoli con Rispo nei panni di Nicolino Amore che dice: “chi paga il pizzo avvelena anche te. Digli di smettere”

Hai messo in scena una grande città, ne hai portato il sindaco a New York… Stavi parlando di tutta l’Italia?

I danni provocati dalle politiche proibizioniste sono globali. Nel mondo intere nazioni sono ostaggio dei narcos e in Italia vasti territori e buona parte dell’economia. Su questo tasto ora batte finalmente anche Saviano.

Come ne L’ora legale l’elezione è dovuta al caso: la casualità è un passaggio obbligatorio delle commedie o rappresenta in questo caso una diffidenza nei confronti del sistema? La politica non può mandare al potere in maniera automatica gente davvero onesta?

Non mi pare: il paese di Ficarra e Picone elegge il suo sindaco proprio perché onesto. E pure il mio.

Seconda similitudine con L’ora legale: appena il sindaco viene eletto, si lavora per buttarlo giù. Idem come sopra. Noi italiani abbiamo un problema specifico con la democrazia?

A cercare di abbattere Nicolino Amore sono le vecchie lobbies, non chi l’ha eletto. Da noi si dice che ‘o pesce fet’ (puzza n.d.t.) da ‘a capa. E io ci credo

Il tuo sindaco, in dissonanza con l’altro film, è uno sbandato che impara a vivere, a capire le cose e a comportarsi bene in galera. Spirito di contraddizione, necessità di creare un personaggio oppure pensi davvero che a Napoli la cultura dei libri non basti, che bisogna essere un poco camorristi per tener testa alla camorra?

In galera Nicolino non impara mica a delinquere, si dedica a studi di filosofia politica. Poi, lui che viene dal basso, combina cultura fai-da-te con le passate esperienze di vita, anche dure, ma mai di camorra. E una volta sindaco, tentenna davanti ai privilegi, infine si riscatta e salva la città. E i napoletani ne fanno una sorta di santino, un supereroe… ma più che un Superman, un SuperPippo.

Altro elemento simile all’altro film è l’importanza data ai rapporti familiari che ispirano la soluzione della storia. Al di là della bontà, che per noi scrittori è evidente, di far partire l’idea risolutiva da un’esperienza personale, mi colpisce che in tutti e due i film sia la paternità il rapporto più importante. Le mogli, le donne, alla faccia di House of cards non contano niente. Che mi dici di questo?

Mica è così! La risoluzione di tutta la vicenda si deve proprio a una donna tosta, Idra Duarte, la camorrista pentita del film interpretata da Cristina Donadio, mentre il povero padre di Nicolino, è più che altro un omaggio a ‘O Zappatore di Mario Merola. Poi c’è la madre di Nicolino che in punto di morte gli sussurra una frase di apparente nonsense, in realtà un antico detto cinese, che lo guida nelle scelte più difficili.

Una politica che non sia punitiva è l’unica, per il tuo film, che potrebbe portare Napoli (e forse il paese) verso il riscatto. Sono passati cinque anni dal tuo film, e anche grazie agli effetti del terrorismo, il clima in Italia sembra marciare verso una direzione opposta poliziesca, di super controllo… Credi ancora nel tuo finale positivo o cambieresti qualcosa nel tuo film se tu potessi girarlo oggi?

L’Era legale è una favola la cui morale è in coda al film:

Storta va, dritta vene //semp’ storta nu può gghi, //spiss’ ‘o mmale puort ‘o bbene,//po tardà, ma adda venì!

Il tuo film è divertente, ma talvolta pare andare al di là della finzione e trasformarsi in un vero e proprio documentario che discute gli effetti positivi della liberalizzazione della droga. Volevi che fosse così, pensi di aver influenzato in qualche modo in senso “difficile” il suo percorso?

Che non fosse il film di Natale qualche dubbio lo tenevo, ma che le buffe avventure di Nicolino Amore siano un film difficile… siamo seri. Difficile è fare un film low-budget, difficilissimo uscire in sala senza prevendite televisive a garanzia del distributore, impossibile incassare milioni sopra al milione se non esci con un centinaio di copie. Ma bastava ci avessero lasciato una cinquantina di sale e l’Era Legale avrebbe probabilmente incassato tre, quattro, volte il suo budget. Cifre piccole in assoluto, che non attirano la grande industria, ma operazioni comunque virtuose che andrebbero agevolate.

Visto che abbiamo introdotto la definizione “difficile”, parliamo un attimo della nuova legge, per la quale film “difficili” come il tuo hanno un percorso diverso dai film di cassetta ai fini del futuro ottenimento di ulteriori fondi, proprio perché non hanno incassato abbastanza. E’ un sistema che risulta punitivo per i filmmakers. Molti autori pensano che sia giusto, che un film che non incassa non ha senso e l’autore non merita ulteriori aiuti. Tu che ne pensi?

Premesso che alla terminologia vagamente jettatoria di film difficile preferisco quella di film coraggioso, proviamo a invertire i termini: perché noi contribuenti dovremmo assumerci il rischio d’impresa per progetti che hanno tutte le carte in regola per fare buoni incassi? Non ci dimentichiamo che se oggi la mano pubblica può finanziare il cinema è in base a una norma europea ottenuta grazie alle lotte degli autori: quella dell’“eccezione culturale”, che dice che sono ammessi aiuti di Stato alle imprese che producono, appunto, cultura. In Francia per esempio, dove si sbiglietta il doppio che da noi, le sovvenzioni al cinema industriale e quelle al cinema indipendente sono divise al 50%.

In Italia invece abbiamo scelto di puntare, più che sulla qualità delle sceneggiature e sulla coerenza del film con la storia del regista e del produttore, quasi tutto sulla solidità commerciale del progetto. Ma senza le idee innovative di autori e produttori indipendenti, il nostro cinema rischia l’appiattimento. Non ci resta che essere ottimisti: se è vero che in assoluto ci saranno più risorse a disposizione, speriamo che alla fine ci saranno più occasioni anche per i film coraggiosi.

Auguriamoci che i decreti di attuazione in via di approvazione aggiustino un po’ il tiro.

L’intervista è a cura di Giovanna Koch

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