Scrittori a festivalWriters

Alieni a Capalbio

WGI continua la sua ricerca per creare un ponte tra scuola e lavoro, tra scrittura e prodotto. Abbiamo raccontato l’esperienza di Ivano Fachin al Master RAI di scrittura seriale,  poi quella di Antonio Piazza allo Screenwriters Lab del Sundance Institute.
Torniamo su questo tema con il racconto di un’iniziativa simile, che si è svolta a Capalbio la scorsa estate, l’Italy | Sundance Institute Screenwriters Workshop, rivolto agli sceneggiatori e svoltosi dal 8 all’11 luglio 2015.
Elisa Fuksas è una giovane sceneggiatrice e regista italiana, Tommaso Fagioli è creatore e managere di Good Short Filmspiattaforma web dedicata ai cortometraggi.
Il testo seguente è frutto dell’intervista agli autori del nostro socio Paolo Cingolani.
Quest’anno Capalbio Cinema e il Sundance si concentrano invece sui registi e sulle nuove tecnologie con il Capalbio Future Lab Storytellerdal 29 giugno al 2 luglio.

È dell’estate del 2014 l’idea di scrivere un film a basso budget su un rapimento alieno, un racconto di “fantascienza esistenziale” ambientato a Pantelleria, senza VFX. Inizialmente il titolo che avevamo scelto era La Vacanza, e la storia nasceva da una anomala e personalissima lettura del film L’Avventura di Michelangelo Antonioni. Avevamo ipotizzato che la scomparsa di Monica Vitti fosse un rapimento ordito dagli alieni. Evento che esaudiva il desiderio della protagonista di scomparire dal mondo. Da lì siamo partiti.

All’inizio eravamo entusiasti di pensare temi in gran parte inesplorati dal cinema italiano, e di volerlo fare con uno stile europeo, mediterraneo, che facesse intendere più le conseguenze psicologiche dell’incontro alieno che raccontarlo in maniera realistica o spettacolare. Del resto esiste già una sconfinata filmografia sull’argomento, non ultimi Under the Skin e Interstellar.

Tuttavia trasformare l’intuizione in sceneggiatura si è rivelato più difficile del previsto. Ci sembrava una storia poco avvincente, troppo evanescente. I dialoghi non naturali. Il centro del problema sfuggiva sempre e nulla catturava l’anima della storia. Nel frattempo il titolo del film si era “stabilizzato” in A life beyond Earth e, subito dopo, in Sentimento, dalla bellissima canzone di Patti Pravo che racconta di “un mondo al di là delle stelle” in grado di riscattare le delusioni terrene. Era un ultimo tentativo di dare al film un carattere più sentimentale, con toni languidi e dilatati. E di nuovo non ha funzionato: era più un film di atmosfera che di narrazione. Proprio quello che non volevamo.

Il fatto è che, durante un anno di ricerche, abbiamo avuto spesso la sensazione che la realtà e la scienza fossero sempre molto più interessanti dei nostri tentativi. La struttura classica del film di finzione sembrava inadeguata, quasi obsoleta. Nessuna delle tentate narrazioni riusciva a competere con ciò che giorno dopo giorno scoprivamo. La prova finale, che ha coinciso con l’”abbandono” temporaneo del progetto è stata offerta da un articolo del New York Times.

Era lo scorso giugno quando abbiamo letto: “Il milionario russo Yuri Milner e lo scienziato Stephen Hawking annunciano la “Breakthrough Initiative”, un’operazione da 100 milioni di dollari destinata ad accelerare sensibilmente la ricerca di forme di vita intelligente nell’universo”. L’articolo parlava di due progetti collegati tra loro: il Breakthrough Listen e Breakthrough Message. Il Breakthrough Listen sarebbe stata la più potente e approfondita ricerca mai fatta per trovare segni di vita intelligente oltre la Terra. Il secondo avrebbe finanziato un concorso internazionale, online, per generare messaggi da mandare alle altre civiltà, in grado di rappresentare tutta l’umanità. Eravamo sconvolti. È stato così che abbiamo deciso di sospendere. Ci siamo messi in attesa

Nel frattempo il Festival Internazionale del cortometraggio di Capalbio aveva organizzato un lab in collaborazione col Sundance. Potevano partecipare registi e sceneggiatori esordienti, alla prima o alla seconda opera. Ci siamo iscritti e siamo stati selezionati.

Il lab è durato una settimana, in una bella villa isolata in Maremma. Otto tra sceneggiatori e registi, ognuno con esperienze, età e sensibilità diverse. Al lab partecipavano due tutor del Sundance, Joan Tewkesbury (Nashville) ed Erin Cressida Wilson (Secretary), il direttore del Feature Film Program, Paul Federbush, e il suo assistente, Matthew Takata.

Si trattava di sessioni di gruppo in cui si fornivano gli strumenti e le tecniche richieste per migliorare le sceneggiature, e i metodi per proporre i progetti sulla scena internazionale. E individuali, più focalizzate sullo sviluppo del proprio progetto.

Il lab paradossalmente è stato utile a lasciar morire il vecchio film invece che a perfezionarlo. Senza nostalgia al termine della settimana non avevamo più dubbi.

Paul Federbush ci ha invitato a dare una connotazione italiana al progetto, cosa che viene apprezzata da una sensibilità americana in cerca di mondi e stile diversi dal proprio, esotici, e allo stesso tempo di rendere il film meno atmospheric (noioso), aggettivo non esattamente positivo con cui definiva certi film europei.

Sul fronte della vendibilità del progetto, con Alexia De Vito è stato utile pensare a soluzioni estere, in particolare ai mercati asiatici, in cerca di storie e sensibilità occidentali.

Il suggerimento più importante però è stato quello più semplice. Un pomeriggio bollente da Joan Tewkesbury insiste sulla necessità di trovare la propria “voce”, che non significa trovare il proprio stile ma cercare una modalità espressiva che appartenga in maniera specifica a chi decide di raccontare una storia.

E questa esortazione vale sempre, funziona sempre.

Dopo il Lab, la “sconfitta” della finzione ha rilanciato il sincero desiderio di condividere la nostra personale ricerca “preparatoria” per il film che non volevamo più fare.

La scelta naturale è stata quella di passare dalla finzione al documentario, dandogli un valore estremamente personale.

Il serbatoio di conoscenze è stata la base di questo “romanzo di formazione cosmico”. Dal desiderio di fuga radicale, l’attesa di un deus ex machina dallo spazio, alla conquista di un modo meno egoistico ed egotico di esistere, che comprende e si prende cura degli altri e del pianeta stesso.

L’ipotesi di una intelligenza extraterrestre è attraente perché scombina i nostri parametri antropocentrici e li rilancia su una scala cosmologica. Non importa se effettivamente c’è qualcuno.

E così abbiamo scritto il trattamento del documentario, recuperando il titolo originario A Life Beyond Earth. Albe verrà diretto da Elisa e da Natalie Cristiani, montatrice e regista. Prodotto dall’italiana Costanza Coldagelli e dal canadese Daniel Iron, ha appena ricevuto un finanziamento di co-sviluppo dal Canada Media Fund e dalla Direzione Generale Cinema (DGC – MiBACT).

Organizzati gli argomenti abbiamo deciso, anche grazie allo sguardo di Natalie, che la protagonista del racconto non poteva che essere Elisa.

La “questione privata” è in realtà solo un’esca che aiuta a parlare dei grandi temi esistenziali. Quelli che tutti prima o poi affrontano nel corso della vita.

Milioni di persone sono ispirate e attratte da questi. Sia quando è la scienza a parlarne sia quando è la fantascienza a metterli in scena. Sono le più grandi questioni dell’esistenza.

Siamo i figli unici dell’universo? È il nostro pensiero, l’unico pensiero? O abbiamo “fratelli cosmici” – una famiglia interstellare di intelligenze?

Come diceva Arthur C. Clarke: “In entrambi i casi l’idea è sconvolgente. La sola cosa che dobbiamo fare è prenderne parte”.

Il testo di Elisa e Massimo è stato raccolto da Paolo Cingolani

I Guardiani della Soglia – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di sostenere gli sceneggiatori. Questa rubrica – che prende il nome da uno dei gradini del classico manuale di scrittura Il Viaggio dell’Eroe di C. Vogler – si rivolge ai più giovani e indaga le vie d’accesso alla professione.

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