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Ciao Napoleone

Con grande soddisfazione dedichiamo la prima intervista dell’anno al nostro nuovo socio Fabio Di Ranno, un autore dai molti talenti che dopo una lunga esperienza nella serietà televisiva, firma la sceneggiatura e la regia del lungometraggio di animazione “Ciao Napoleone”.  L’animazione è un settore purtroppo trascurato nel nostro mercato, che invece offre molte possibilità per raccontare storie da un punto di vista più universale e permette di raggiungere un’audience internazionale, come dimostra l’accoglienza ricevuta dal film al Festival du cinéma italien de Bastia dove è stato presentato in anteprima la scorsa settimana.

Fabio, di solito iniziamo le interviste chiedendo un breve pitch del progetto. Facci il pitch. Ne avrai fatti un’infinità.

Credo sia la prima volta che lo faccio di questo. Ciao Napoleone è la storia di un’amicizia inattesa. L’uomo più potente del mondo, Napoleone Bonaparte, nel 1814 per avverse fortune è costretto a lasciare Parigi e sceglie l’Isola d’Elba come sua nuova residenza. Qui grazie all’aiuto di tre ragazzini ritroverà forza e determinazione e ritornerà sulle scene d’Europa come protagonista. Va bene?

Perfetto, cosa ci puoi dire invece per quel che riguarda il genere del racconto e il pubblico di riferimento?

Il film è un family. È pensato ovviamente per raccontare ai più piccoli un personaggio molto importante e famoso che ha lasciato il segno anche nella storia d’Europa. L’approccio è rilassato: non siamo seriosi, per quanto molto attendibili dal punto di vista storico; siamo anche divertenti perché è il racconto di un’amicizia e facciamo vedere Napoleone sotto un’ottica diversa rispetto a come di solito viene raccontato…

Di leader, comandante…

Sì, lo cogliamo in un momento in cui è molto vulnerabile. Non raccontiamo le battaglie, vi accenniamo soltanto all’inizio del film, ma poi stiamo molto sulla figura dell’uomo, anche sulle sue paure. Quello precedente a quello dell’Elba è un periodo un po’ particolare di Napoleone. Ci viene raccontata l’immagine di questo condottiero sul cavallo capace di spronare eserciti. È stato anche quello Napoleone, però era anche un uomo di una certa profondità, un timido; ecco, questa è l’idea che mi sono fatto e so che sembra strano.  Forse è stato anche bullizzato da adolescente. Visto che si relaziona con dei ragazzini abbiamo messo queste tematiche nel film.

Come nasce l’idea di questo progetto?

Nasce perché nel 2014 c’è stato il centenario di Napoleone all’Elba e quindi per volere di Orlando Corradi di Mondo Tv è venuto l’input di realizzare qualcosa che avesse a che fare con questo episodio e da lì, insieme a Valeria Giasi, che è mia moglie, ho sviluppato questa storia.

Ed è nato subito come progetto in animazione?

Sì, perché Mondo Tv per cui ora prevalentemente lavoro è una società che fa animazione, una delle poche in Italia che la fanno soprattutto ormai a livello internazionale.

Quali sono le differenze tra scrivere per il cinema, per l’audiovisivo e scrivere per l’animazione? È vero che c’è più libertà?

Ci sono diverse libertà. Quella principale è che al contrario dei film con attori reali si può pensare liberamente, cioè se una cosa la pensi, la puoi realizzare visivamente. L’altra libertà molto forte è quella di poter scrivere con minori vincoli rispetto a quelli televisivi, anche se la responsabilità è grande perché ti rivolgi a un pubblico in prevalenza di ragazzi. È indicativo che le storie che ci ricordiamo meglio sono quelle che abbiamo visto da piccoli e ci rimangono dentro, da queste attingiamo per formare il nostro immaginario e quindi si sta contribuendo alla formazione della persona anche da un punto di vista linguistico. Ricordo le parole di Zero Calcare, un fumettista molto bravo, che diceva che il suo approccio al registro aulico della scrittura e al potere della parola li ha appresi attraverso I cavalieri dello Zodiaco.

Grande epos per altro…

Grande epos infatti. Insomma ti relazioni a un modo di parlare differente rispetto a quello della quotidianità e anche io e Valeria nel nostro piccolo stiamo molto attenti: ci piace l’uso corretto del congiuntivo piuttosto che andare verso il linguaggio più vicino alla lingua parlata. Quindi hai anche delle responsabilità, piacevoli ovviamente.

Quali sono stati i riferimenti specifici per questo progetto?

Ovviamente c’è stato a monte un grande lavoro di lettura e ricerca. Sinceramente pensavo che sul periodo di Napoleone all’Elba ci fosse di più, non è stato scritto molto, ma quel poco è stato fondamentale. Tra l’altro un testo irreperibile sono riuscito a trovarlo on line, una libreria dell’università di Cambridge, scritto in un italiano del 1888, alcuni anni dopo l’esperienza dell’Elba. Il più recente risale al ’74, quindi tutta roba non attuale. Per avere attendibilità storica era fondamentale scoprire chi aveva raccontato questo periodo prima di noi e con mezzi differenti. La documentazione è stata molto interessante e ci è servita pure per prendere spunti da riutilizzare in una chiave più fiction.

Per esempio c’è una diceria molto carina: Napoleone a Parigi utilizzava dei ragazzini dislocati ovunque in città per raccogliere informazioni, poiché nessuno faceva caso a loro mentre giocavano. Questo meccanismo divertente lo abbiamo preso e riutilizzato in un contesto diverso con molta efficacia.

Mi puoi raccontare come è andato il processo di scrittura? Voi, marito e moglie, siete già una coppia lavorativa assodata. Come avete strutturato il film? Quante stesure ci sono state? Come è stato articolato?

Si noi lavoriamo insieme da tanto tempo. Dal punto di vista della scrittura, dopo il periodo di raccolta di informazioni siamo andati abbastanza speditamente, perché siamo abituati a lavorare insieme e la divisione del lavoro è immediata. Ti dico i tempi tecnici. Abbiamo impiegato un mese a fare la prima stesura: avevamo le idee molto chiare. Ci sono state un paio di stesure prima di cominciare la fase dello storyboarding, dei disegni e dell’animazione che ho seguito coi disegnatori e cogli animatori; poi la fase del montaggio che è durata all’incirca un altro mese.

Una volta fatta la prima stesura che è successo? Non molti sanno come si lavora sull’animazione.

Fatta la prima stesura si parte con i disegnatori, con gli storyboard artist, realizzando i disegni inquadratura per inquadratura. Bella esperienza perché ti consente di correggere il tiro immediatamente: una cosa funziona bene nella tua testa poi quando la vedi disegnata ti rendi conto che è meno efficace; poi consente di contenere i costi, perché tutto quello che vai a realizzare ha già passato il vaglio della fase di storyboarding.

Quindi c’è una messa alla prova del funzionamento visivo delle scene?

Esattamente, anche dei movimenti, della messa in scena; in alcuni casi anche dell’efficacia del disegno dei character, dei protagonisti, perché ti accorgi che qualcosa funziona meno quindi chiedi dei rifacimenti. Non è il caso di Napoleone perché il characters’designer Igor Chimisso è un disegnatore spettacolare che lavora pure per Disney e ha un tratto fantastico; quindi su alcune cose siamo andati molto molto spediti. Vuoi che ti dica tutti tutti gli step?

Sì, perché l’animazione è una cosa di cui si parla poco. Io non ho neanche idea di quanti disegnatori lavorino a un progetto.

Diversi… I disegnatori non sono tantissimi: c’è chi si occupa dei personaggi, chi del background, chi degli oggetti di scena; è settoriale quindi è difficile che chi fa i personaggi poi faccia anche le location. Questa è la prima fase. Fatta questa si passa allo storyboard. Dopo inizia la fase dell’animazione: vengono animate le varie sequenze poi inglobate in quello che si chiama compositing che è una forma grezza di animazione in cui tutte le sequenze sono messe una appresso all’altra.

Come una specie di montato grossolano?

Forse si può definire un montato fatto tramite accetta con grossi pezzi. Dopodiché si procede con la fase dell’editing vero e proprio e contemporaneamente, molto importante, tutta la parte legata al suono: c’è un sound designer che lavora durante tutta la fase di editing; il doppiaggio ovviamente è fondamentale. Poi si arriva alla conclusione.

Nella costruzione dei personaggi anche rispetto all’intervento dell’attore poi in doppiaggio volevo sapere se c’è un margine di creatività anche per il lavoro dell’attore oppure se è un po’ più vincolato.

Ci può essere un margine. Tieni presente che per i ruoli di adulti ci sono i grandi professionisti che fanno doppiaggio normalmente; i ruoli dei ragazzini vengono affidati di solito alle ragazze, alle donne perché hanno la voce più acuta. Tendenzialmente c’è una libertà ma anche molto legata alla verosimiglianza, alla coerenza di quello che è stato scritto, di come il personaggio si muove. Quindi è una libertà un po’ ridotta. È evidente che il lavoro è differente rispetto a quello di un attore sul set: dai la voce a un personaggio che ha già un suo modo di muoversi.

Quali sono stati i riferimenti stilistici di disegno rispetto al film?

Abbiamo lavorato per dare delle indicazioni che fossero poche ma precise. L’animazione italiana in sala quando arriva e se arriva è molto differente da quella cui siamo abituati; non è Pixar, non è Disney, non è l’animazione degli anime giapponesi, è qualcosa che ha delle caratteristiche europee. In alcuni casi spinge di più verso un’interpretazione autoriale. Nel caso nostro volevamo valorizzare molto la storia: essendo sceneggiatore per me è alla base di tutto. I disegni non dovevano essere faticosi: se avessero avuto velleità artistiche sarebbe stato difficile per un bambino seguirlo; dovevano essere piacevoli e catturare l’attenzione, avere anche un qualcosa di non eccessivamente moderno, segnare la differenza tra la serie televisiva dove ci sono ragazzini che combattono e si trasformano in dinosauri o robottoni. Doveva avere il passo, il respiro di un certo tipo di narrativa.

Di narrativa per ragazzi…

Sì, la narrativa del romanzo di crescita, anche cinematografica: pensa ai Goonies  e a tutti i film che portano alla scoperta di aspetti della vita che non immaginavi per via dell’inesperienza. L’incontro di questi tre ragazzini con Napoleone segna tutte e due le parti: grazie a loro trova il coraggio per riprendersi e allo stesso tempo dà loro degli insegnamenti. Ad esempio una delle sottotrame è una storia di bullismo e avere l’imperatore che ti da delle dritte su come ti devi comportare se qualcuno ti rompe le scatole è interessante, ti segna.

Quindi il tema profondo del film è il confronto col potere?

Napoleone è un uomo che potere ne ha avuto molto. Quando arriva prende l’Elba e la rivoluziona completamente: fa costruire strade e scavare miniere di carbone, insomma non sta un attimo fermo, nessuno riesce a stargli appresso. Però anche questo è indice del fatto che non riesce più a trovare la sua dimensione: essere abituato al potere, al comando e ritrovarsi costretto in un’isola che è grande, come dice lui, quanto una pietruzza, non è una cosa bella. Quindi sì, sotto certi aspetti raccontiamo anche il potere in una forma differente. Inoltre la storia di ragazzini che condividono un carattere sensibile e vengono bullizzati è comune: Nora vuol diventare una pianista, Giuseppe, il protagonista, desidera fare lo scrittore, Francesco il pittore, e in un contesto scolastico simile a quello odierno, in cui la sensibilità non è molto apprezzata, sono emarginati e presi di mira. L’arrivo di Napoleone gli dà una marcia in più per ribaltare una situazione di partenza che li vedeva un pelino schienati sotto questo punto di vista.

Collaboravi già colla produzione? Hai fatto altri progetti seriali d’animazione?

Da anni collaboriamo. Tantissimi progetti. Sia io che Valeria ne abbiamo seguiti diversi come headwriter, come editor, come sceneggiatori. La nascita di nostra figlia è stata determinante: volevamo vedere insieme a lei qualcosa, perché ciò che facevamo ovviamente non poteva guardarlo, quindi ci siamo avvicinati ai cartoni animati e abbiamo cominciato a essere più informati e abbiamo deciso di provarci; siamo stati fortunati nel trovare questa strada che ci ha appassionato e portato a sviluppare una decina di serie.

L’animazione è un settore di cui in Italia si parla poco. Per gli sceneggiatori tendenzialmente non c’è tanta formazione, forse più per chi viene dal fumetto…

Probabilmente sì, ci sono delle affinità nel senso che ha a che fare con una messa in scena che è differente rispetto a quella cinematografica o televisiva, cioè le serie. Quella dell’animazione è una bella chance per poter cimentarsi con un prodotto che non è limitato al territorio nazionale, ma che viaggia tantissimo.  Considera che le serie che abbiamo realizzato sono state vendute in tutto il mondo, ovviamente doppiate, ma vendute in tutto il mondo: è una bella esperienza perché difficilmente capita a uno sceneggiatore di poter vedere le cose che scrive viaggiare fuori e andarsene un po’ per conto loro.

Dimmi il titolo di qualche serie che hai realizzato. Penso che questo mercato sia sconosciuto anche ai giovani sceneggiatori. Chi non ha figli ignora questo settore, chi non è abituato a vedere i canali tematici dei cartoni animati non valuta questa possibilità che potrebbe interessare i giovani autori cui noi ci rivolgiamo e che lamentano l’assenza di opportunità lavorative.

Le serie di cui ti parlo sono andate tutte su canali tematici tranne una, credo, su Rai Gulp e un’altra su Italia 1. Ti dò qualche titolo. Uno è Dinofroz, storia di alcuni ragazzini che tornano al tempo della preistoria, si trasformano in dinosauri da combattimento e tentano di salvare il futuro della terra sconfiggendo dei draghi; abbiamo fatto due stagioni che sono andate in onda in Italia su K2. Un’altra l’abbiamo sviluppata in collaborazione con Ferrari e racconta il mondo racing, quello delle corse, però in un contesto futuristico dove i piloti sono dei ragazzini che manovrano delle auto vere utilizzando una specie di capsula e queste macchine posso fare di tutto: non è la classica corsa da Formula 1 come la immaginiamo oggi ma sono macchine che volano e fanno cose spettacolari; anche questa è stata venduta in tutto il mondo. Poi abbiamo fatto delle cose più classiche come Sissi la giovane imperatrice, due stagioni, e anche in questo caso ci siamo divertiti perché abbiamo apportato delle varianti sul canone narrativo di Sissi, ci siamo differenziati dal cinema.  Un’altra serie spettacolare in cui robottoni che incarnano materia e antimateria se le danno di santa ragione merita di essere menzionata: Atomicron. Un’altra si intitola Mostri e pirati e ha un sapore salgariano anche se ci sono elementi fantastici.

Qualche parola su elementi tecnici come i formati utilizzati?

Di solito i formati sono due. Il primo è l’episodio di ventisei minuti, quindi con un respiro più ampio, che di solito viene utilizzato quando hai delle storie che arrivano a un target che copre fino a dieci anni. Dagli undici anni in poi i cartoni animati non li vede più nessuno e passano ai live action. L’altra pezzatura è quella del formato da 12 minuti che di solito viene utilizzato per delle produzioni con un target prescolare, per i bimbi più piccoli: l’esempio può essere Peppa Pig.

Con una narrazione un po’ più semplice…

Oddio… narrazione semplice… in realtà è più complicato. Molti credono che se scrivi pochi dialoghi fatichi di meno. In realtà è ancora più complesso perché devi dare delle indicazioni molto precise di regia e i tempi devono essere rispettati al millesimo, altrimenti non funziona.

Cioè? I tempi di reazione delle scene?

Assolutamente sì. Devi tener conto delle giuste pause, anzi il ritmo diventa ancora più fondamentale perché in una narrazione più convenzionale lo dà il dialogo. Se non hai il dialogo devi ricorrere ad altre cose: la musica diventa a quel punto un elemento narrativo in più perché va molto spesso a contrassegnare i movimenti, le situazioni, i punti di svolta anche all’interno della scena, i cambi di registro, i toni. In realtà è più complesso.

Il fatto che lo sceneggiatore abbia anche il ruolo di regista è comune?

Ti direi di no, tranne pochissimi casi non credo che sia così comune, infatti mi ritengo prevalentemente uno sceneggiatore. A parte questa esperienza bellissima e altre nei videoclip – sai, mi piace anche molto la musica e suono – non ho mai cercato di diventare un regista del mio film semplicemente perché odio i tempi troppo lunghi: chi dirige sacrifica minimo due anni per realizzare un unico progetto mentre io in due ne faccio diversi. Insomma sarebbe bello però un po’ mi spaventa. Come ti dicevo i tempi dalla scrittura alla realizzazione nel caso di Napoleone sono stati brevissimi, cioè non cinematografici: ad aprile abbiamo iniziato a scrivere il soggetto e a ottobre abbiamo finito; poi avevamo questa spada di Damocle di fare una presentazione in sala all’Elba in concomitanza colla ricorrenza quindi siamo arrivati con un progetto che ancora non era completo cioè una sorta di work-in-progress molto avanzato; in seguito però io mi sono preso del tempo per modificare delle cose in editing e rifare il mix audio insieme ad alcuni miei collaboratori e il film è stato finito per la circolazione nelle sale l’anno scorso. Se ci fosse qualche distributore interessato sarebbe una bella cosa.

In Italia c’è l’impressione che al cinema ci sia poca animazione…

Lungometraggi al cinema ce ne sono pochissimi, proprio pochi perché non tutti hanno voglia di competere con i campioni internazionali: o trovi una strada tua, personale, che è molto differente e non va sulla scia delle grandi produzioni o diventa complicato, anche se con la nuova legge sul cinema forse c’è un rinnovato interesse nei confronti dell’animazione.  Si spera che tutto questo si concretizzi, che ci siano investimenti importanti sia a livello produttivo sia a livello di distribuzione e di visibilità. Potrebbe essere una buona strada quella del lungometraggio di animazione in sala, ovviamente nel momento in cui si trova anche una cifra stilistica… non parlo solo di scrittura, ma anche di realizzazione complessiva che sia più personale, non autoriale ma più specifica, forse più europea: in Francia c’è una maggiore tradizione di disegni e fumetti e lì il graphic novel è un prodotto importante che trovi in quasi tutte le librerie. In Italia si sta muovendo qualcosa adesso anche al cinema: è uscito un film italiano, Leo Da Vinci, che francamente non so come sia andato però già è lodevole il fatto che sia riuscito a trovare la strada per la sala.

Rimpiangi le sceneggiature di fiction tv, il live action?

Mi piacciono e ne ho scritte tante negli anni e inoltre sono un grande fruitore di serie tv come tutti noi che scriviamo: Netflix a manetta insomma. Ogni tanto ci ritorno, quando mi capita. Non faccio solo cartoni animati, sono abbastanza poliedrico. I cartoni sono una parte importante; un’altra è la musica; un’altra…

Suoni anche?

Suono e compongo, faccio canzoni. Ho un progetto ultimato adesso che è un tuffo negli anni ottanta, si chiama Milano84, fatto insieme a Fabio Fraschini con Laura Serra alla voce. Ho scelto gli anni ’80 perché penso facciano capire cosa ci può essere d’aiuto per comprendere il futuro; a parte che il decennio non è mai terminato, quello che siamo diventati iniziò in quel periodo, quindi se lo capiamo bene possiamo prevedere quale direzione prenderemo. In realtà non è noioso come sembra, anzi è tutto molto divertente, emozionante: l’elettropop anni ottanta attualizzato, questo tipo di cose. E poi realizzo cortometraggi e videoclip. Insomma ho la fortuna di poter fare tante cose molto differenti e per questo non mi annoio.

Dunque la scrittura non è la tua attività principale, non è l’unica.

No, sicuramente è quella preponderante anche nell’economia della giornata; sembro una pallina impazzita: la mattina scrivo il soggetto, il pomeriggio faccio il montaggio del cartone animato, più tardi vado a fare le prove musicali e a letto prima di addormentarmi mi viene l’idea del testo della canzone. Ogni cosa nutre qualcos’altro; la sinestesia è bella, è bella la possibilità di poter scrivere immaginando la musica e pensare alla musica come scrittura vera e propria.

Bella la composizione. Alla WGI abbiamo fatto una masterclass in cui abbiamo avvicinato i principi dell’armonia della composizione musicale alla struttura delle sceneggiature.

È fondamentale. Non so se valga per tutti gli scrittori: vedo che Valeria ha un approccio completamente diverso dal mio. Io mentre scrivo immagino la musica, la vedo proprio, vedo il colore che ha, e accade qualcosa di simile quando compongo cioè immagino la struttura della canzone così come immagino la struttura di un film o di una puntata, e tutto nutre qualcos’altro… Interessante.

Non ti annoi mai sicuramente…

No, la noia è una cosa che per fortuna non mi riguarda poiché sono molto curioso. La cosa che in realtà mi piace di più è leggere e se mi pagassero per leggere farei solo quello. Ho fatto il lettore, per Cattleya: è stato uno dei periodi più belli della mia vita perché mi pagavano per leggere tonnellate di sceneggiature e avrei continuato.

Progetti per il futuro? Puoi dire qualcosa che hai in cantiere?

Un progetto cui tengo molto cioè quello di realizzare una serie animata non pensata soltanto per un pubblico di ragazzini sulla scia di Boejack Horseman di Netflix. Poi sul versante musicale c’è l’album M di cui ti dicevo.

Adesso il film che speriamo giri…

Sì, adesso il film che speriamo giri. C’è un altro progetto di film, sempre d’animazione… Insomma i piani non mancano, poi è ovvio che ognuno ha i suoi tempi di maturazione.

Visto che hai accennato alla legge cinema ti chiedo cosa ne pensi tu per il settore?

Premetto che lascio dire cose più intelligenti a chi la conosce meglio. A me sembra abbia delle buone intenzioni e possa essere rilevante; mi auguro che darà una nuova linfa soprattutto alle giovani generazioni. Chiunque può notare che in un mezzo non passa tutto. Ad esempio la scrittura per il web è molto differente rispetto a quella per il cinema: lì funzioni solo se sei ammantato di sarcasmo, ironia, anche un po’ di cinismo. Il sogno, il romanticismo invece non passano sul web e se lo fanno vengono considerati pallosi; al cinema – testimone il grande successo del film di Guadagnino, Chiamami col tuo nome – c’è ancora la possibilità di raccontare passioni e storie forti, qualcosa che è destinato a restare. Questa legge valorizza un certo tipo di produzione che va nella direzione della durevolezza. Mi pare fondamentale tutto ciò. Vedremo.

L’intervista è a cura di Fosca Gallesio

WGI si racconta – La Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori e tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione. Questa rassegna offre uno spazio alle singole storie professionali dei nostri soci.

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