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Migliorare i contratti degli sceneggiatori resta il nostro obiettivo

Parla l’avvocato Andrea Renato, garante dei diritti di Writers Guild Italia: “Cessione dei diritti e retribuzione sono i due problemi principali da affrontare quando si stipula un nuovo accordo. Decisivo il lavoro del sindacato per far crescere le tutele”.

Dal 2018 Andrea Renato è il ‘Garante dei diritti’ di WGI, a lui possono rivolgersi i soci dell’associazione per avere un parere sul rispetto nei contratti dei principi WGI nel momento in cui si trovano a dover sottoscrivere un contratto con una società di produzione.

In questo colloquio spiega come Il quadro dei rapporti di lavoro fra sceneggiatori e produttori sia fortemente “sbilanciato” in favore di questi ultimi; spesso, rileva il garante, nei contratti che vengono proposti dai produttori sono negati diritti fondamentali. “Il primo punto da tenere presente- dice – è che la cessione dei diritti deve essere condizionata al pagamento del corrispettivo, Io non ti cedo i diritti alla firma del contratto ma al momento del pagamento di quanto abbiamo pattuito”.
Inoltre “la cessione dei diritti non dovrebbe mai essere ‘totalitaria’, omnicomprensiva; vale a dire: deve essere limitata nello spazio, al territorio italiano per intenderci, e poi non può riguardare pure internet, le piattaforme, le trasposizioni in libri e via dicendo. -ognuno di questi aspetti va trattato a parte”.

Andrea, che situazione hai trovato quando hai cominciato ad occuparti di questo settore?

C’è un precedente importante che fa testo, in negativo, in molti accordi. In sostanza è accaduto che a suo tempo presumibilmente la Rai stilò un tipo di contratto molto favorevole ai produttori, divenuto poi un modello che ha fatto scuola e ha avuto grande circolazione. Le pagine sulla clausola relativa alla cessione dei diritti vengono replicate a partire da quel modello originario da qualunque produttore, e si tratta di una cessione totale dei diritti, una cosa non accettabile, perché il compenso è legato a un progetto, a un prodotto, per esempio un film. Ma se poi, come talvolta accade, il film in questione ha successo, il produttore lo porta all’estero, ne trae una serie o lo sfrutta in vari modi, all’autore da tutto questo non spetta niente in termini di retribuzione. Lo sceneggiatore prende qualcosa all’inizio quando ancora non si conosce la sorte di quel prodotto; si condivide insomma il rischio, ma se le cose vanno bene non si condivide l’utile, non si condividono i benefici. E il modo per condividere questo successo – alla cui base c’è il lavoro dello sceneggiatore – è dato fra l’altro dall’obbligo di utilizzare lo stesso sceneggiatore in tutte le trasposizioni successive dell’opera (non va dimenticato che l’autore è lui), inoltre va prevista una forma di ulteriore compenso, una percentuale sugli incassi o comunque sull’utile. Quando un film ha successo lo sceneggiatore deve essere remunerato, per altro questo aspetto è già previsto dall’articolo 46 della legge sul diritto d’autore. La legge dice che l’autore – salvo ‘patto contrario’, attenzione – nel caso in cui gli incassi raggiungono una certa cifra, ha diritto a un ulteriore compenso. Il problema è questa definizione, ‘salvo patto contrario’, li patto contrario c’è sempre. Con l ‘eccezione dell’equo compenso quest’articolo 46 viene sempre derogato. Cioè si dice, per esempio, ti pago 5mila euro e là finisce.

Una modalità che non rispetta minimamente l’autore…

Ci vuole una partecipazione al successo. Ho visto contratti in cui si dice allo sceneggiatore: tu lavora e verrai pagato solo se io produttore otterrò i contributi Mibact del ministero.

Ma come si è arrivati a questo punto?

Il problema è il seguente: di lavoro ce n’è poco e gli sceneggiatori sono in un certo modo ‘ostaggio’ del produttore, salvo pochi casi di sceneggiatori più famosi; in questa situazione chi lavora è portato ad accettare qualsiasi condizione, non riesce a negoziare, non ne ha la forza. Il rapporto è completamente sbilanciato dalla parte del produttore. E’ importante che chi lavora non si faccia intimorire; per questo è decisivo che gli sceneggiatori insieme alla Writers Guild Italia lavorino insieme, c’è bisogno di un grande impegno associativo e sindacale anche perché, non di rado, il fatto di rivolgersi a un avvocato in fase di preparazione del contratto, viene visto con grande timore.

C’è però una proposta importante di WGI, quella di adottare un contratto tipo per gli sceneggiatori nel quale si affermano almeno alcuni principi base…

Sì, il contratto-tipo che ho preparato insieme al direttivo di WGI. Certo, normalmente è la società di produzione che propone una bozza di contratto allo sceneggiatore, tuttavia il contratto tipo può essere utilizzato come controproposta, come strumento negoziale, nel momento in cui si arriva alla proposta di accordo.

Cos’è la clausola di recesso libero?

Ci sono delle cose abbastanza assurde nei contratti sottoposti agli sceneggiatori, magari prima c’è scritto che tu firmando il contratto cedi i tuoi diritti poi c’è la possibilità del ‘recesso libero’ da parte del produttore che di fatto nega i diritti dello sceneggiatore in quanto posso – come produttore – interrompere il rapporto in qualsiasi momento. Così magari ti pago il primo step del lavoro e poi improvvisamente non ti pago più, ma tu i diritti li hai ceduti. Una cosa ingiusta. Quello che vedo molto spesso sono anche questi accordi in cui si evitano le inibitorie. In sostanza si dice che anche se io produttore sono inadempiente, cioè non ti pago, tu magari puoi farmi un’azione di recupero credito, una richiesta di risarcimento, ma non puoi bloccarmi un film.

Anche le diverse versioni di una stessa sceneggiatura possono diventare un problema…

Sì, è un’altra cosa nella quale mi capita di imbattermi: a fronte di un pagamento inziale lo sceneggiatore deve fare poi tutte le modifiche al testo chieste dal produttore; pure questo non va bene perché così l’autore rischia di restare in ostaggio per mesi di quel lavoro, di una produzione. Le modifiche devono essere limitate: ti mando una bozza, una seconda, poi il mio lavoro è concluso. Le successive stesure vanno pagate e se io non le faccio non posso essere considerato inadempiente.

Che consigli di senti di dare a chi fa questo lavoro?

La cosa importante è cercare di mantenere una soglia di dignità professionale, cioè stabilire un limite oltre il quale non si scende, sapendo pure che purtroppo quel produttore un altro sceneggiatore che lavora a quelle condizioni può trovarlo, ma questo come è ovvio va a discapito pure della qualità. Io la vedo così: forse sono meglio tre incarichi buoni che sette cattivi, perché nel secondo caso lavori male in quanto sfruttato. Meglio meno cose ma fatte con più qualità.

Quale può essere il ruolo dell’associazione?

In questo senso li ruolo dell’associazione è fondamentale. Dal mio punto di vista c’è ancora troppa frammentazione fra le associazioni del settore; sarebbe opportuno almeno un coordinamento fra le varie organizzazioni, anche per essere più forti quando si incontrano gli interlocutori istituzionali, politici o le controparti.

Che idea ti sei fatto della direttiva Ue sul copyright?

Io credo che ad oggi siamo a livello di enunciazione dei principi, la parte interessante è quella relativa alle piattaforme web: in quest’ambito si afferma che quando le piattaforme utilizzano dei contenuti soggetti al diritto d’autore devono cercare di stipulare un accordo di licenza con il titolare del diritto. Però di concreto ad oggi non c’è niente.

Francesco Peloso

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