Writers

Silenzio, non si gira!

Capitolo 1

E’ tempo di dire tutto

L’anno passato, gli organizzatori dell’edizione 2015 del Film Festival di Freistadt avevano chiesto un commento sul cinema italiano a Nicola Badalucco che spesso aveva partecipato da vicino e da lontano alle loro iniziative.

Nicola inviò loro un testo di 28 pagine intitolato Silenzio, non si gira!

La famiglia di Nicola, che qui ringraziamo di cuore, ci ha concesso di pubblicarlo. Il testo è lungo e abbiamo scelto di riassumerlo in diversi articoli, segnalando i tagli con il simbolo (…) e lasciando a chi vuole la possibilità di consultare il testo intero scaricando l’allegato di ogni capitolo in pdf.

Sebbene il nostro sito segua la politica dei Creative Commons, il testo di Nicola è protetto dal diritto d’autore e non può essere copiato e arbitrariamente diffuso.

                           L’imperativo categorico:

                                         “Tu devi scrivere, tu devi scrivere,

è necessario che tu scriva”,

     mi ha svegliato. 

W. Nietzsche

 

Se qualcuno sfogliasse uno dopo l’altro i cataloghi del Festival di Freistad pubblicati in un quarto di secolo, alla domanda “esiste ancora il cinema italiano?” certamente risponderebbe: “esiste, è evidente che esiste”.

A me purtroppo questa risposta affermativa non viene fuori, e me ne dispiace. Di che cosa sono vittima, di autolesionismo? No, si tratta di ben altro. Io non vivo a Freistadt, dove il nuovo cinema italiano (povero e senza troppi esemplari) è presente attraverso un’accurata selezione. Io vivo a Roma, dove la selezione la fa il mercato. Qual è il risultato di questa anomalia? Che il pubblico romano, nella sua stragrande maggioranza, non conosce il nuovo cinema italiano, soprattutto quello giovanile. A questo punto, alla domanda: “esiste ancora il cinema italiano?”, la gente risponde evasivamente, perché forse si vergogna a dire “no”.

Di tale assurdità parlo a volte coi familiari, con gli amici, con qualche collega. Ma adesso approfitto di quest’occasione e comincio a scrivere tutto quello che mi passa per la mente, senza reticenze, cioè senza rispettare nessun’altra cosa se non la mia opinione, per quanto aspra possa sembrare.

(…)

L’ultimo paradiso

C’è a Roma, una volta capitale del cinema europeo (quattrocento film all’anno, in competizione con Hollywood nel circuito internazionale) una piccola multisala con cinque piccoli locali che si chiama Eden. E’ proprio là dentro che gli ultimi appassionati di cinema assistono alla proiezione di film innovativi e di qualità che arrivano dall’Italia clandestina e da tutto il mondo sconosciuto, e che rappresentano il meglio del meglio della produzione artistica e innovativa del nostro tempo. Una volta questi film occupavano centinaia di grandi sale, navigavano fra milioni di spettatori coinvolgendoli nel godimento di un’arte nuova che ha già detto molto e avrebbe da dire ancora tante cose. Oggi invece gli spettatori sopravvissuti sono relegati in una specie di catena invisibile composta da una sorta di associazioni segrete.

Se in Italia il gusto del pubblico peggiora ogni giorno di più, una gran parte della responsabilità ricade sulla critica militante e sulla sua dilagante vocazione ruffiana verso i potenti della cinematografia, ma soprattutto ricade sulla televisione. Gravissime colpe sono da addebitare all’azienda televisiva pubblica, la R.A.I., che a torto viene ancora considerata come la più grande azienda culturale del paese.

Una volta la R.A.I. cercava nel mondo del cinema autori di prestigio e giovani talenti, ora invece alleva nel suo interno registi e scrittori addomesticati, piccoli mestieranti aziendali i quali non riescono a manifestare altra virtù che un’obbedienza cieca nei confronti di una direzione politico-burocratica-imprenditoriale, impreparata e autoritaria, votata a una sola religione: i grandi ascolti, cioè il gradimento del mondo pubblicitario, cioè il denaro.

(…)

I primi segnali di questa crisi, che nella scienza medica si chiama paralisi progressiva, si sono avuti alla fine degli Anni ’80. La politica e i sindacati s’impossessarono del Consiglio d’Amministrazione del Centro Sperimentale. Conseguenza: assunzioni smodate di personale inutile. Il quadro complessivo diventò il seguente: 20 docenti, 60 allievi. 120 impiegati che non hanno nulla da fare se non scaldare le sedie e percepire lo stipendio.

Negli anni successivi, alcuni docenti, me compreso, dopo inutili proteste verso chi governa, diedero le dimissioni dal Centro Sperimentale. E così, dopo decenni di esistenza prestigiosa, questa istituzione, nata negli Anni ’30, è diventata una centrale sindacal-burocratica..

Domanda legittima: e allora, quale istituzione si preoccupa di preparare gli autori di domani? E’ quello che vedremo più avanti.

(…)

Il piacere impuro

A Roma è stata istituita una manifestazione che si chiama Roma Fiction Fest e ha il compito di assegnare un premio al miglior prodotto televisivo dell’anno. Nel 2014 faceva parte della giuria uno sceneggiatore che a quanto pare è uno degli autori prediletti dalla R.A.I., il quale ha rilasciato non ricordo a chi una interminabile intervista. Tanto mi colpì il suo ”pensiero” che ho copiato certe sue frasi. Ne cito qualcuna:

“Si possono fare delle cose nuove, ma si deve anche fare in modo che piacciano al pubblico”.

“Se lo sceneggiatore porta un’idea, un’idea forte, deve esserci qualcuno che lo tuteli. E queste persone, per me, sono nell’ordine il produttore e il regista”.

“Io lavoro in un processo industriale e quindi mi sento uno scrittore industriale”.

“Parlo di piacere puro della scrittura”.

Che cosa si può rispondere a simili contraddittorie affermazioni? Semplicemente questo: il piacere puro della scrittura è ben diverso dal compiacere il padrone. Il piacere della scrittura appartiene esclusivamente all’artista e non allo scrittore industriale. Se poi l’opera verrà premiata anche dal successo commerciale tanto meglio, altrimenti l’autore vero deve poter dire, con la massima onestà, ma anche con la massima presunzione: “ho scritto il prodotto della mia immaginazione e l’ho difeso con le unghie e coi denti”.

(…)

Tutte le strade portavano a Roma

All’inizio degli Anni 80, cioè nel periodo della massima espansione e della miglior qualità, la televisione italiana cominciò a scritturare anche attori stranieri di grande prestigio internazionale nel mondo del cinema. Essi accorrevano a Roma con entusiasmo e rafforzavano il prodotto rendendolo di caratura mondiale. Tanto per fare qualche nome: Ingrid Thulin, Klaus Maria Brandauer, Philipe Leroy, Susan Sarandon, Anthony Hopkins, Bob Hoskins, Michael York, Andie MacDowell, Ben Kingsley, Annie Girardot, Helmut Griem e altri artisti di questo stesso livello.

Il destino ha voluto che alcuni film per la televisione a cui parteciparono quegli artisti li abbia scritti io. Si vede che sono nato fortunato, perché ho fatto in tempo a conoscere una R.A.I. ben diversa da quella attuale. Una grande R.A.I. che purtroppo è durata meno di un decennio.

Una precisazione. Quei film-tv erano tutti prototipi, come i film destinati alle sale cinematografiche (e infatti spesso uscivano, soprattutto all’estero, nelle sale cinematografiche e poi passavano in televisione). Vincevano in Europa, attraversavano l’Atlantico e sbarcavano in America. Non era certo lo scrittore o il regista a vincere. Da solo non vince nessuno. Vincevano, tutti insieme, gli scrittori, i registi e gli attori che la televisione italiana sosteneva con fiducia, ma vinceva anche la stessa R.A.I. Certamente quei film costavano molto, ma il mercato internazionale rendeva moltissimo denaro. Quella R.A.I. era per davvero, e non come adesso per arbitraria autodefinizione, la più grande azienda culturale italiana.

Ora la R.A.I. non produce più film prestigiosi, si accontenta di confezionare modelli televisivi chiamati “domestici”, i quali col linguaggio del film non hanno niente a che spartire. Questi prodotti, che sembrano tutti uguali, sono partoriti da una sola mente: quella che governa l’azienda. L’effetto è d(istruttivo, perché in questo modo i telespettatori seduti sul divano di casa vengono paralizzati da una sorta di potente sonnifero. Conseguenza: chi s’addormenta non va più al cinema. Peggio: non sa più che cos’è il cinema.

(…)

segue

Roma, aprile 2015

Nicola Badalucco

Il testo integrale del capitolo Uno di Silenzio, non si gira! è disponibile qui:  Nicola Badalucco cap.1