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Nel segno del potere

Il 7 marzo  2016 si è tenuto nella affollatissima sala Kodak della Casa del Cinema di Roma un incontro con Francesco Nardella (vicedirettore di Rai Fiction), Claudio Corbucci (produttore creativo di Non uccidere e 1992), Ivan Cotroneo (produttore creativo de Una mamma imperfetta) e Stefano Sardo (co-produttore creativo di 1992) sul tema della lunga serialità e del controllo dell’identità della serie dal titolo: Showrunner: lo sceneggiatore oltre la sceneggiatura.
L’occasione è stata la pubblicazione in italiano del volume Showrunner, grandi storie, grandi serie, di Neil Landau, edito da Dino Audino editore che ha organizzato l’evento insieme a WGI – Writers Guild Italia

Giorgio Glaviano che molto si è occupato di serialità USA per la Dino Audino Editore ha rapidamente riassunto gli elementi base come emergono dal volume di Neil Landau: lo showrunner Usa ha potere su tutto (dalla scrittura alla scelta delle luci) e la serie (a partire dal pitch in poi) mette in scena il suo personale mondo narrativo. Semplice.

Massimo Torre, per la WGI, ha spiegato i motivi concreti del nostro interesse: lo showrunner è l’unica figura in grado di assicurare coerenza logica e artistica al prodotto, ormai la competizione internazionale si muove a questi livelli di eccellenza e quando i primi europei non anglofoni – e cioè i paesi nordici – hanno deciso di scendere in campo, hanno mutuato dagli USA, con gli adattamenti del caso, il ruolo dello showrunner. Così i loro prodotti hanno immediatamente fatto il balzo nell’empireo dei migliori.

Anche qui poco da aggiungere: il potere dello showrunner (potere sì, perché è proprio questo che fa paura in Italia) crea industria, prestigio denaro.

Potere a uno scrittore. Il punto vero è solo questo. Il libro di Lindau apre con queste parole: “Nei film, il regista è il re. Nel mondo della televisione, le decisioni le prende lo showrunner”.

Potere a uno scrittore perché, nessuno durante tutta la serata, ha mai messo in discussione che una serie tv vada coordinata da una stessa persona che la segue dall’inizio alla fine. In Italia, in genere, si caricano questo compito, i produttori creativi che sono degli organizzatori o dei registi.

Francesco Nardella, vicedirettore di Rai Fiction, l’ha detto subito: “Vi dò una notizia, lo showrunner in Italia già c’è e si chiama Fabio Sabbioni, produttore creativo di Un Posto al Sole“. Sorveglia la scrittura, determina la fotografia, sceglie i registi e la tipologia a grandi linee delle storie. Si adopera sia sulla forma che sul contenuto. E questo grazie a una macchina fortemente industrializzata.

Ecco il secondo punto: l’industria.

La società Freemantle è l’unica società italiana che possiede un vero know how industriale e che, a partire da Un posto al sole nel 1996, insieme a Rai Fiction e al Centro di produzione di Napoli, ha prodotto prima La Squadra (2000-2007) e poi La nuova Squadra Spaccanapoli (2008-2011) e infine insieme al Centro di Produzione di Torino le 12 puntate da 100′ di Non uccidere.

Fabio Sabbioni però non scrive, non è il creatore ed head writer della serie, mentre Claudio Corbucci che il meccanismo industriale ha appreso per molti anni prima come sceneggiatore de La Squadra, poi come creatore ed head writer de La nuova Squadra, con Non uccidere è finalmente diventato anche il produttore creativo della serie che aveva scritto, avvicinandosi molto alla tipologia USA dello showrunner.

Ecco quindi il terzo punto: l’esperienza.

Quanti sono gli sceneggiatori italiani capaci di essere showrunner?

“Noi”. Lo sceneggiatore Stefano Sardo l’ha detto chiaro chiaro: con Alessandro Fabbri e Ludovica Rampoldi ha creato e scritto la serie1992 (2015) dalla ben nota idea di Stefano Accorsi, (risate in sala ndr) e quando sono arrivati alla fine, dopo due anni e mezzo di lavoro e dopo aver sceneggiato 10 puntate da 50′, erano certi che nessun regista o organizzatore avrebbe potuto mantenere il controllo della serie al posto loro. Così si sono fatti avanti e hanno preteso un contratto. Da showrunner? No, certo che no. Però avevano conquistato il diritto a esprimere il loro parere su alcune scelte. Che vuol dire il primo passo per entrare nel meccanismo produttivo. Che vuol dire imparare. Stefano ha infatti rivendicato il diritto a fare esperienza: sbagliando s’impara, non c’è altro sistema. Non s’impara a casa, non s’impara a lezione. Bisogna essere presenti sul set, durante le letture con gli attori, nelle sale di montaggio… Fortuna che il produttore creativo di 1992  era ancora una volta lo scrittore Claudio Corbucci e c’è stato quindi un rapporto fruttuoso.

Stefano conosceva Claudio già dai tempi de La nuova Squadra e aveva condiviso la riscrittura di 18 puntate in un mese e mezzo, resasi necessaria dopo l’improvvisa scomparsa dell’attore Pietro Taricone. “Un’esperienza massacrante, ma utile. Il pragmatismo lo impari quando scrivi su commissione”.

Ecco il quarto punto: il tempo, la velocità.

Stefano ne aggiunge un quinto: l’originalità.

“Trovo che i modelli narrativi italiani sono troppo simili gli uni agli altri. Mi auguro che si possa diversificare i pubblici, perché altrimenti non è possibile provare modelli narrativi nuovi.” Il nostro mercato dovrà fare questa scelta. Se no, non saremmo competitivi. L’originalità va tutelata. E’ il patrimonio che va protetto. Certo è rischioso: ma il prodotto strano, quello che forse va anche un po’ male, serve ad allargare il paradigma… “Con 1992 abbiamo preso registi, scenografi, che non avevano mai fatto serie… Sì, ci sono cose che non sono andate, ma anche perché eravamo in troppi a dire la propria, c’erano troppe voci… E’ mancato lo showrunner.”

Ivan Cotroneo ha aggirato la questione, l’ha presa dall’altro lato: quando si è messo in testa di realizzare una serie scritta da lui, come la voleva lui (Una mamma imperfetta, 2013, 25 puntate da 8′) ne è diventato direttamente co-produttore. Poi, regista. Insomma, tutto di fatto, ma non formalmente showrunner. Perché? La questione di principio è valida anche per lui: la presa e la competenza sul proprio prodotto appartengono solo allo scrittore, ma… E’ meglio non essere soli. E’ meglio condividere.

E’ tornata sul tavolo – un po’ forzata rispetto al testo – l’espressione usata da Shonda Rhymes ( Grey’s Anatomy, Private Practice, Scandal, Le regole del delitto perfetto) nell’intervista rilasciata a Landau e cioè: tu – showrunner – quando ti siedi nello studio ovale dopo aver scritto STUDIO OVALE – INT. GIORNO e puoi giocare quarantacinque minuti a fare il presidente, sei un dio in quel mondo che è tutto tuo, in un modo che non è salutare, ma che è fantastico (pag. 79 – Showrunner ndr).

Con questa stessa pienezza, certezza di esistere, Claudio Corbucci ha citato Flaubert: Non uccidere sono io. 

E qui, dopo essersi reciprocamente confermati per più di un’ora che lo showrunner è essenziale, che se il mercato doveva andare avanti non c’era scelta, è tornata la resistenza tutta italiana a consegnare la serie chiavi in mano allo scrittore.

Pro e contro?

  • il lavoro è collettivo. certo lo sceneggiatore deve andare sul set e imparare a dire la sua, MA deve anche sapere delegare, suddividere, condividere…
  • Ma se lo sceneggiatore  va sul set, lo devi pagare… Sono costi.
  • Sì, bisogna pagare. Solo così si viene riconosciuti elementi utili e non ospiti inutili.
  • Sorrentino sul set di The young pope non ha certo bisogno di uno showrunner
  • Però, il regista ammette che lo sceneggiatore ne sa di più.
  • Però, non vorrei essere sempre lo showrunner, come non vorrei essere sempre il regista delle serie che scrivo.
  • Vorrei poter delegare allo scrittore che ha talento, ma la RAI produce al 95%, come si fa? Non è sempre possibile potersi fidare di uno sceneggiatore come ci siamo fidati di Claudio Corbucci.
  • l’Italia è pronta a una serialità industriale?
  • Non credo all’automatismo
  • Nessuno di noi sogna di fare sempre lo showrunner, ma lo showrunner è l’unico che può garantire una visione al prodotto, una visione che resta nel tempo, un universo che genera racconto, che può produrre stagioni successive.
  • Sono skills faticosissimi
  • Ma non bisogna fermarsi, il coinvolgimento di chi ha scritto la serie deve essere automatico.

Insomma, mentre il modello USA è chiarissimo, mentre l’Europa del nord, la Francia e la Spagna introiettano quel modello e producono serie innovative, l’Italia s’impunta nel suo caos: perché non c’è mercato delle idee. E non essendoci mercato (la RAI  produce al 95%) non c’è industria  e non essendoci industria non c’è ritorno economico.

Si chiede infatti Stefano Sardo: Se lo scrittore che ha creato la serie non ha nessun ritorno economico dalla vendita internazionale, perché ha ceduto tutti i diritti e non c’è clausola contrattuale che lo mandi in giro per il mondo a tutelare nelle varie riedizioni l’identità del proprio prodotto, perché dovrebbe mettersi in gara? Che gl’importa? Tanto vale scrivere il main stream e portare a casa la paghetta…

Si torna al punto chiave: il potere. Il potere dello scrittore.

Il mercato internazionale lo chiede: lo scrittore funziona meglio, economicamente risolve.

Il mercato interno fa orecchie da mercante, ma cambierà: sarà costretto.

Perché paradossalmente se i network che si propongono come apparenti innovatori, Sky e Netflix,  per quel poco che producono possono sopportare un sistema artigianale, aristocratico e un poco autarchico, di strette di mano e faccio tutto io che sono il produttore, RAI ha bisogno di diventare industria: per Francesco Nardella non ci sono dubbi. La capacità viene solo da un lungo training, Ci devono essere serie lunghe, di tipo industriale perché coltivano il talento. L’interfaccia con un solo showrunner semplifica il sistema. Certo, portare sul mercato internazionale uno showrunner italiano, nel caso di coproduzioni non è facile, però…

Succederà. Bisogna insistere e creare futuro, creare competenze.

Patrizia Pistagnesi, sceneggiatrice di lunga esperienza e docente di scrittura seriale alla Scuola Volonté l’ha annunciato: a partire dal prossimo corso di studi, ll’autore della sceneggiatura che risulterà migliore e verrà prodotta come film di diploma dovrà entrare nella realizzazione come executive producer. In modo automatico, come auspicava Corbucci. E ci saranno lezioni propedeutiche per showrunner in collaborazione con Writers Guild Italia.

Il report è a cura di Giovanna Koch

Showrunner – WGI – Writers Guild Italia è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori, in quanto motore dell’industria dell’audiovisivo e vero garante della identità delle serie tv: per questo ritiene necessario istituire anche in Italia, così come avviene nel resto del mondo, la figura dello showrunner.

L’evento del 7 marzo 2016 è stato moderato da Fabio Morici e organizzato da Francesca Onesti per Dino Audino editore e da Carla Giulia Casalini per la WGI, che ringraziamo.

Un sincero grazie va anche a Giorgio Gosetti, direttore artistico della Casa del Cinema per l’ospitalità.

Segnaliamo anche un’intervista sul tema a Dino Audino e un intervento del nostro socio Umberto Francia.

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