Bollettino n. 10

Vi avevo promesso un seguito del mio bollettino. L’ultimo. Eccolo.
Era estate piena. Pur essendoci ancora lontani, La Mostra già cominciava a definirsi all’orizzonte – non come isoletta, ma come un vasto continente da esplorare. Serviva attrezzarsi. Così ho raccolto voci di colleghe e colleghi.
È stato come raccogliere messaggi nella bottiglia, portati dalle correnti – o conchiglie sulla battigia, ancora luccicanti di mare.
Le trovate, queste conchiglie, cliccando sui numeri dei diversi capitoli che appaiano via via a fianco del testo di questo articolo.
1
Non è più il mio mondo

Non siamo tutti uguali.
Alcuni cercano di isolarsi, alcuni hanno proprio bisogno degli altri.
E magari non sembrerebbe, a vederli – fino a che non te lo dicono proprio.
Come lei.
2
Noi siamo una comunità

“Qual è, ancora, il senso?”
Si, ok; ero partito alto – in qualche modo vago.
Per via di quel suo modo di ragionare, articolato e allo stesso tempo secco. Sempre sorprendente – come un autoarticolato pieno zeppo di cose, che ogni volta non ci giureresti.
Dunque volevo darle il maggiore spazio di manovra possibile.
3
Manca totalmente il desiderio

“Cos’è il cinema, oggi? E cosa l’audiovisivo?”
Parto secco, per via del tempo, della fretta, come avessimo un appuntamento da mezzogiorno di fuoco, per regolare i conti.
Lui è pronto.
È sempre pronto.
E senza perdere un secondo, spara.
4
A me interessano le storie

Alcune persone lo capisci che, mentre aspettano, hanno quasi un sorriso – non stampato nel viso, ma dentro. Come una predisposizione benevola a quel che sta per arrivare.
Lui lo sento, mi sta aspettando sorridendo – dentro. Sardonico.
Parto. “AI; produttori; stato generale del cinema… a che punto è questa benedetta notte?”
5
È come se mancasse una politica del racconto

“Allora…”
Ci sono persone che sono diligenti e pazienti, come se la vita fosse stare in mezzo al traffico, e tocca armarsi di pazienza.
Lui ha quest’aria da brava persona, e un lieve sorriso appena accennato, come a non eccedere. Parte.
6
Bisogna tornare a studiare i grandi maestri

“A che punto è la notte?”
“Sono molto disincantata. L’arte, le opere, sono solo dei volenterosi.
Solo qualche sparuto si mette oggi a fare arte… perché dai, oggi conta solo macinare soldi.”
7
La notte è notte.

Il bello delle telefonate è che tolgono potere alla tecnologia, riportandoci nel mondo dell’immaginato.
Io la conosco casa sua, dunque ora che sento la sua voce squillante al telefono mi immagino che sia a parlare seduta comoda nello studio, così elegante e morbido. Magari invece è in tutt’altro posto, magari in pigiama. Vai a sapere… ma no, ecco; non ce la faccio proprio a immaginarla in pigiama – perché ci sono persone che sono sempre perfettamente ‘in ordine’, in qualunque situazione. E lei è una di queste. Questione di controllo, certo. Ma anche di rigore, di disciplina. Come a voler essere pronta, sempre. Perché bisogna esserlo.
“Come vedi la nostra situazione generale? A che punto ritieni sia la notte?”
8
Noi non riusciamo davvero a raccontare le cose nostre

“Come vedi la situazione oggi? Il cinema e l’audiovisivo, nel 2025…”
“Noi raccontiamo la contemporaneità. Ma il nostro mondo è alla fine. Se ne prepara un altro, di mondo. E a volte lo vedo inquietante. Per esempio… guarda i momenti di pausa che ci sono in una giornata; tutti sul cellulare… non esiste più il tempo della noia. E bada bene: la noia porta alla riflessione. Ecco; le ultime generazioni corrono questo rischio – e ovviamente senza saperlo. Ma… ok, io sono di un altro mondo… vedo questo cambio, ecco. E sono curioso del cosa verrà…”
Questa non è la prima intervista che faccio. Ormai è un po’ che incrocio sguardi. A questo punto non posso non notare che tornano vari temi; uno è una qualche consapevolezza di appartenere a mondi passati. In questo caso, però, non colgo dolore o rassegnazione, ma pura curiosità. Asciutta. Pronta.
9
È la fine di una civiltà. Dobbiamo avere voce.

Tra tutti i fumatori lui è il più silente e in ombra. Sembra una figura da cinema degli anni settanta – a costruire mondi di idee con caparbietà e dedizione, silenziosamente, mentre la festa, in un’altra stanza, fa rumore. Dunque gli faccio la solita domanda quasi con circospezione, come a saggiarne le prese di posizione pubbliche – che raramente espone al sole.
“Lo sai, no, che il punto più buio sono le 03 della notte? Ecco; noi siamo alle 01,30. Dunque… al peggio manca ancora qualcosa…”
E questa era solo la risposta alla domanda “a che punto è la notte…”! Ok; ha la mia attenzione totale.
10
Il modello Netflix impererà.

“Guarda, per me c’è un problema industriale: troppi film. E dunque diciamo quello che ci fa fatica dire: noi sceneggiatori stiamo lavorando male…”
Come cominciare col botto. Decisa e dritta al punto, come suo costume. Non perde nemmeno un secondo e va al cuore della faccenda.
11
Siamo finiti nelle sabbie mobili.

E poi c’è lei. La voce che ogni tanto sento per fare il punto. Per fare la rotta. Lei è un punto cospicuo, su cui poter traguardare per ricavare il proprio punto nello spazio. E lo è pur essendo un continente – non certo un singolo punto.
“La malattia del cinema italiano è il suo rapporto con la realtà, capisci?”
Non ho mai capito che rapporto ci sia tra la sigaretta e la distillazione del pensiero, ma qualcosa ci deve essere. L’ennesima sceneggiatrice che parla e fuma, pensa e fuma, e più la sigaretta consuma, più il concetto si fa luminoso come una brace. Lei poi ha questa voce; un po’ nasale, un po’ arrotata. Un rasoio.
12
Non c’è un modo civile di consumare ciò che è morto: bisogna separarsene.

Ci ripenso, a quello che ci siamo detti, mentre trascrivo gli appunti. Come sempre il setaccio fa emergere il deposito portato dalla corrente. E mi rendo conto che lei, tanto per cambiare, aveva colto in pieno l’intento dell’intera operazione di interviste: l’intento era quello di provare a portare meglio allo scoperto dei pensieri che esistono dentro la pancia ed il cervello di WGI; quei pensieri hanno bisogno di essere visti e letti. E fin qui tutto bene.
Ma il vero punto, la vera scommessa, era cercare questo benedetto passaggio a nord ovest, quello che tutto risolve: il rapporto tra la nostra epoca e la nostra capacità (o meno) di rappresentarla. Lei ha centrato in pieno questo aspetto. E pure con lei avevo cominciato come con tutti, con il canonico “a che punto è la notte”. perché davvero di questo si tratta: di provare a capirlo. Ma lei è partita da quello, per andare dove bisognava: il rapporto tra il reale e l’immaginario, tra dato reale e dato percepito. Vento reale e vento apparente. È quello che ho cercato di indagare quest’anno.
E poi c’è un ultimo aspetto. Che definirei di metodo nello sguardo. Perché se tutti provano a trovare risposte alle domande che faccio, lei è l’unica che parte da una mia domanda e come risposta mi rimanda una raffica di domande. Insomma, più che risposte nel ragionare trova domande. E questo mi piace. Mi piace maledettamente. Perché ci riconosco una attitudine all’indagine, al cercare fino allo sfinimento il minimo comun denominatore – o chiamiamolo il senso, forse. A trovarlo.
Ecco perché navighiamo: per cercare un senso. Ecco perché abbiamo bisogno di farci domande – e di dare alle risposte la forma di racconto.



